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Caporalato alla conquista del nord Italia: ecco i dati

Salari non pagati, contratti inevasi, alloggi indecenti, impiego di caporali, aggiudicazione illecita di appalti. Quattordici degli 80 distretti agricoli italiani in cui secondo i più recenti studi si pratica il caporalato sono al nord: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, provincia di Bolzano, con un numero di lavoratori “sommersi” paragonabile ai più celebri casi meridionali. La lente delle forze dell’ordine è da tempo puntata in particolare sul Piemonte, e se l’ultima inchiesta riguarda il blitz dell’Astigiano dello scorso agosto, l’attenzione nell’anno appena iniziato è più alta e in particolare durante l’estate porterà a nuovi controlli.

Caporalato: l’esercito degli sfruttati del nord Italia

I Numeri del Caporalato al Nord

Lo studio più recente è quello di European House-Ambrosetti e Agenzia italiana delle agenzie per il lavoro (Assocom), che hanno presentato un dossier sul lavoro in somministrazione (ex interinale) in agricoltura con un focus sul caporalato. Le cifre di questo approfondimento sono quelle che la Flai Cgil ha raccolto nel 2014 nel secondo rapporto sul caporalato agroalimentare, numeri che oggi non dovrebbero essere molto diversi e che disegnano una situazione fortemente a rischio.

 

campo pomodori

Lo dimostrano i dati sui lavoratori irregolari presenti nel rapporto Cgil: al sud il tasso complessivo di irregolarità raggiunge il 24,4% (praticamente identico a quello nazionale, 24,5%), con punte estreme in Campania (29,4%) e Calabria (29,4%); al Centro il tasso medio è pari al 21,8% con il Lazio al 28,2; è dunque il Nord a far salire la media, perché il dato si attesta al 25,7%. In particolare, la percentuale del sommerso in agricoltura è cresciuta in Lombardia dal 16,4 al 31 in 10 anni (2000-2010), in Piemonte dal 13,6 al 19,6, in Veneto dal 18,4 al 27,7, in Emilia Romagna dal 14,7 al 25,2. Complessivamente sono almeno 80 i distretti agricoli in cui si pratica il caporalato: in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro indecenti, in 22 sono state rilevate condizioni di lavoro gravemente sfruttato, negli altri si consuma l’intermediazione illecita di manodopera.

I lavoratori coinvolti, su tutto il territorio nazionale, sono 400mila, dei quali oltre 300mila stranieri e almeno 100mila soffrono anche un disagio abitativo e ambientale. Il salario, infine: la paga giornaliera è del 50% inferiore rispetto a quella prevista dai contratti nazionali (tra i 25 e i 30 euro per più di 12 ore di lavoro). Il danno complessivo per lo Stato è valutato in circa 600 milioni di euro l’anno.

Le Aree a Rischio

Come ben descritto dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto, sono distribuite in tutto il Settentrione. In Piemonte le aree dove maggiore è la produzione sono i distretti di Cuneo (Saluzzo e Bra), Alessandria (con Tortona e Castelnuovo di Scrivia al primo posto), Asti (con Canelli, Castigliole e Motta), Verbania (con Cusio-Ossola). Queste aree, sostiene il sociologo Francesco Carchedi nell’analisi dei dati, “sono anche quelle che si caratterizzano per la presenza di stranieri stanziali”. In Lombardia spiccano per numero di stagionali, soprattutto stranieri, i distretti di Lecco, Mantova, Pavia (con il Pavese, l’Oltrepo e la Lomellina), Monza e Milano.

 

Nella provincia di Bolzano l’area di maggior confluenza è il Laives, mentre in Emilia Romagna lo sono le aree di Ravenna, Cesenatico e Ferrara (con i distretti di Codigoro, Argenta, Copparo, Alto ferrarese, Ferrara e Portomaggiore). Va da sé che in alcune di queste zone gli intervistati hanno raccontato di condizioni particolarmente negative: in Piemonte i distretti delle province di Cuneo, Alessandria e Asti, in Lombardi tutti quelli già menzionati più Brescia con Franciacorta e Basso bresciano. È così anche per Laives e, in Romagna, per Rimini.

Il caso Piemonte

Qui gli occupati nel settore agro-alimentare sono 70.641, di cui oltre 19mila stranieri. Un lavoratore su 4 è dunque immigrato. Le collettività straniere maggiormente occupate sono cinesi, marocchine, romene e albanesi, e in parte arrivano anche dal Meridione, soprattutto da Rosarno (nel Reggino) e da Nardò (Foggia). Nella regione si registra un fenomeno analogo a quello osservabile in tutta Italia: essendoci una diversa periodicità da provincia a provincia, i lavoratori si spostano stagionalmente da una all’altra. La transumanza degli sfruttati, una migrazione nella migrazione.

Quanto alle condizioni di lavoro, sono definite indecenti in particolare nella provincia di Alessandria, e si registrano casi di caporalato nell’Astigiano. Qui, tra Canelli e Carmagnola, tra serre stracariche di peperoni e le vigne dello spumante, la guardia di finanza ha scovato lo scorso agosto 106 lavoratori in nero e quasi 150 coop agricole che sottopagavano (anche 2 euro all’ora) i braccianti. Qui, proprio a Carmagnola, lo scorso luglio è stata registrata una delle 10 croci dell’estate 2016, la stagione nera delle morti per caporalato: un 45enne romeno stroncato dai 50 gradi di una serra.

Le buone pratiche contro il caporalato

Tra le misure varate dal Governo per arginare lo sfruttamento dei lavoratori, il caporalato e le infiltrazioni mafiose nel comparto, ecco la Rete del lavoro agricolo di qualità, varata dal Mipaaf lo scorso settembre. Possono aderirvi le imprese agricole che dimostrano di non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia, di non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative, di essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.

L’obiettivo ultimo è un organo trasparente che medi tra domanda e offerta di lavoro. Il problema, finora, è stata la partenza del progetto, lentissima: appena 207 aziende avevano aderito alla rete a dicembre.

 

Fonte immagine in evidenza: Richard Thornton / Shutterstock.com

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