È il primo “emporio di comunità” in Italia, uno spazio dove trovare prodotti alimentari e per la casa prodotti nel rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori, ma anche uno spazio sociale dove le persone possono tradurre i valori in buone pratiche. Si chiama Camilla il primo emporio solidale italiano, esiste da due anni a Bologna ed è un’esperienza virtuosa che ha già fatto scuola. Per conoscere meglio questa realtà e come funziona abbiamo intervistato uno dei soci fondatori, Giovanni Notarangelo.
Dai GAS all’emporio di comunità: la nascita di un esperimento
La sostenibilità è una priorità crescente per gli italiani, anche quando fanno la spesa. Ed esistono sempre più opportunità e opzioni per fare acquisti che siano solidali, etici ed equi. Ci sono tanti modi per fare una “spesa sostenibile” come, ad esempio, rivolgersi direttamente ai produttori e ai negozi di prossimità – trend in crescita durante i primi mesi del 2020 – fino all’attivazione dei Gruppi di Acquisto Solidale. Proprio da uno di questi è nata, a Bologna, l’idea di sviluppare uno spazio fisico dove trovare cibo di qualità, ma che fosse anche un laboratorio di idee e buone pratiche.
“Volevamo passare dal fare acquisti solidali una tantum alla vendita stabile in un luogo che avesse orari di apertura più ampi, distribuiti durante tutta la settimana, dove le persone potessero venire a comprare: ecco Camilla” ci racconta Giovanni Notarangelo che ricorda come si tratti di un’esperienza, al tempo, unica in Italia. Esistevano, invece, realtà simili altrove, in particolare uno dei modelli è stato quello delle “food coop” negli Stati Uniti, ma anche di quanto accade in Belgio, Francia o Regno Unito. “Ci siamo inseriti sulla scia di un movimento piccolo, ma globale. Si percepisce che esiste una nicchia di consumatori interessati a sostenere determinate produzioni, una nicchia disposta anche a mettersi in gioco e dedicare parte del proprio tempo per raggiungere degli obiettivi comuni.” Uno degli elementi cardine delle “food coop” che troviamo anche in Camilla è, infatti, il fatto che i soci mettono a disposizione parte del loro tempo per la gestione e l’apertura dell’emporio.
Consumatori consapevoli più vicini ai produttori
Camilla è, oggi, uno spazio attivo con oltre 560 soci che, in larga parte, dedicano due ore e 45 minuti al mese all’emporio contribuendo alla garanzia del tempo di apertura per tutti e tutte le attività necessarie al funzionamento di un negozio. “Siamo partiti dalla relazione già forte con i piccoli produttori sul territorio della rete di Campi Aperti” ci spiega Notarangelo, “e abbiamo sviluppato un’iniziativa che ci permettesse di essere più incisivi sia dal punto di vista dei produttori costruendo nuovi canali distributivi sia in quanto consumatori responsabili.”
Camilla è nata a Bologna non a caso. Nel capoluogo emiliano esisteva già una sensibilità “dal basso” verso le tematiche della sostenibilità e della ricerca di strategie di acquisto alternative ed etiche. È stato necessario un anno di lavoro, incontri e confronti per elaborare l’idea e aprire l’emporio solidale – formula inventata proprio dal gruppo – che si configura come una cooperativa di consumatori.
Camilla, l’emporio solidale di Bologna: come funziona?
Camilla è, dunque, un’iniziativa che prevede una partecipazione attiva di chi desidera fare acquisti solidali all’emporio. Il primo passaggio è quello di diventare soci della cooperativa, la quota sociale è di 125€ una volta soltanto, a quel punto, si richiede le disponibilità per organizzare i turni di apertura e si entra a far parte della vita sociale del gruppo. “Si può partecipare agli acquisti e, su base volontaria, decidere di occuparsi anche di altre attività come la selezione dei nuovi produttori, la comunicazione, la progettazione, e così via.”
Progressivamente è cresciuta la proposta del punto vendita dove oggi si trovano prodotti alimentari lavorati, freschi e casalinghi, con una particolare attenzione allo sfuso. “L’idea è che uno socio possa trovare tutto ciò di cui ha bisogno da Camilla” spiega Notarangelo. I prodotti vengono selezionati seguendo alcune linee guida concordate all’interno della cooperativa: “prediligiamo il biologico, i piccoli produttori e le realtà, come SOS Rosarno, che pur non essendo a km 0, hanno un forte impatto sociale sui loro territori di riferimento.”
È allo studio un modello di valutazione “interno”, un sistema di garanzia partecipata che si baserà sulla condivisione di informazioni e sulla formazione interna. Ciò è finalizzato all’aumento della consapevolezza dei soci/consumatori che, progressivamente, possono diventare sempre più capaci di riconoscere autonomamente un alimento realizzato rispettando l’ambiente e le persone.
Inoltre, la cooperativa si è già attivata per realizzare alcuni trasformati a marchio “interno” costruendo e monitorando una filiera trasparente e vicina. Il primo esperimento è stato la salsa di pomodoro “Pomilla”, presentata lo scorso anno e che verrà riproposta anche nell’estate del 2020.
Camilla fa scuola: gli altri empori solidali in Italia
Il modello di Camilla, costruito a partire dall’esperienza bolognese, in pochi anni si sta allargando anche ad altre parti d’Italia. Oggi esistono, infatti, altri tre empori solidali, a Ravenna, Parma e Cagliari, basati sulla stessa idea di condivisione del tempo e delle energie per essere consumatori più attivi e consapevoli. “I valori sono gli stessi” spiega Notarangelo, “ovvero la cooperazione, l’assenza di scopi di lucro, la sostenibilità ambientale, il rispetto dei diritti umani, il desiderio di realizzare qualcosa che abbia un impatto sociale sul territorio.”
Notarangelo definisce Camilla come “non un semplice ‘negozio’, ma uno spazio di discussione e di proposta. Ci siamo inventati una formula che tiene insieme la parte di vendita, ‘emporio’, e la parte sociale, ‘comunità’. In Italia non esiste una normativa specifica su questo tema, però poi con piacere abbiamo sostenuto altre realtà autentiche, piccole che promuovono un’attività alternativa.”
Il sogno è quello di allargare la platea di persone che partecipano alle attività. “Insieme a altre associazioni, stiamo cercando di coinvolgere persone con diverse possibilità economiche, anche nella consapevolezza degli effetti dell’emergenza Covid.” Durante il lockdown, è stata enfatizzata questa esigenza attraverso l’attivazione di iniziative solidali come quella dell’arancia sospesa. “Non è un percorso facile perché è un processo culturale che deve mettere al centro la sostenibilità economica sia per chi produce sia per chi consuma, ma siamo fiduciosi.”
Un passo alla volta a Bologna è nata, e cresce, una realtà concreta e alternativa. La conoscevate già?