Pensando all’ultimo trentennio, si potrebbe immaginare che l’alimentazione si sia evoluta positivamente, migliorando l’apporto nutrizionale a beneficio della salute, intesa sia nella sua dimensione individuale che pubblica. Per quanto atteso, tuttavia, secondo gli studi questo progresso non si è concretizzato, almeno non per tutti e nella misura che si poteva sperare. La diffusione di prodotti poco sani, e talvolta anche il ridotto accesso al cibo sano e di qualità per via dei prezzi più alti, infatti, frenano il vantaggio dovuto alla maggiore disponibilità di vegetali e alimenti consigliati dalle linee guida nutrizionali, tanto che diversi Stati, come abbiamo visto, hanno già pensato di introdurre una tassa sui cibi spazzatura.
Quali sono, dunque, i cambiamenti delle abitudini alimentari negli ultimi trent’anni? Considerando i risultati delle ricerche, valuteremo come si è evoluta la dieta e quali sono le caratteristiche più significative di oggi rispetto a ieri.
I cambiamenti delle abitudini alimentari: lo studio sul periodo 1990-2018
Come tutti gli aspetti della vita e delle abitudini, anche l’alimentazione nel tempo è cambiata, per adattarsi a nuove tendenze ed esigenze. Questo processo è spinto da dinamiche socio-culturali, come dalla crescente consapevolezza rispetto agli effetti sulla salute e sull’ambiente delle scelte alimentari, ambiti sempre più importanti nell’orientare la dieta. Dal secondo dopoguerra a oggi, l’industrializzazione del cibo e l’era dell’abbondanza – almeno nel mondo occidentale – hanno plasmato un nuovo approccio, che nell’ultimo trentennio ha vissuto a sua volta un significativo capovolgimento di prospettiva. Benessere, etica ed ecologia, infatti, hanno progressivamente spodestato il primato della “quantità”, nella sua concezione legata ai vantaggi di una maggiore disponibilità di cibo grazie allo sviluppo economico e industriale. Ma questa propensione alla qualità, sul piano nutrizionale si è davvero tradotta in un miglioramento effettivo della dieta? E se si è concretizzato, ha coinvolto tutta la popolazione o solo alcune fasce ne hanno tratto beneficio? Le risposte a queste domande sono importanti sia sul piano scientifico sia su quello sociale, perché possono contribuire a orientare le politiche pubbliche, rispetto alla distribuzione del cibo, alle indicazioni sulla nutrizione e sull’educazione alimentare, all’impostazione di eventuali incentivi, tassazioni e divieti su determinati prodotti o pubblicità.
Le ricerche realizzate in passato, però, non avevano mai offerto una visione completa su questi temi, lacune che ha cercato di superare uno studio della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tuft University di Boston, in collaborazione con la McMaster University di Hamilton (Canada), pubblicato nel 2022 su Nature Food. I dati analizzati, riferiti al periodo 1990-2018, sono stati elaborati partendo dal progetto Global Dietary Database, una mappatura che raccoglie informazioni sulle abitudini alimentari di persone di 185 nazioni del mondo e di tutte le età, con più di 1.100 indagini specifiche. Le analisi hanno considerato sette grandi aggregati geografici e socio-economici: Asia orientale-sudorientale, Europa centrale e orientale e Asia centrale, Stati ad alto reddito, America latina e Stati caraibici, Medio Oriente e Nord Africa e Africa subsahariana.
Allo scopo di offrire una rappresentazione di facile comprensione, i ricercatori hanno utilizzato lo schema Alternative Healthy Eating Index, realizzato nel 2006 all’Università di Harvard. Questa sorta di punteggio va da 0 e 100, dove lo 0 corrisponde a un alto consumo di junk food e di cibi dalla pessima qualità nutrizionale, mentre 100 significa la perfetta aderenza alle linee guida ufficiali sull’alimentazione sana. Inoltre, sono stati considerati e misurati i livelli di aderenza alla dieta Dash, che come abbiamo visto è mirata soprattutto alla riduzione dell’ipertensione, e alla dieta mediterranea (Dietary Approaches to Stop Hypertension e Mediterranean Diet Score), proposti nel 2014 e in seguito confermati per una nutrizione bilanciata e salutare.
L’alimentazione è migliorata meno di quanto ci si poteva attendere
Considerando il trentennio preso in esame, era lecito pensare a un miglioramento consistente della qualità alimentare, ma i risultati hanno invece evidenziato che nel mondo si mangia piuttosto male. Nel 2018, infatti, il punteggio medio globale era pari a 40,8, con notevoli differenze regionali: da 45,7 dell’Asia meridionale, dove tradizionalmente è maggiore il consumo di verdure, legumi e vegetali in genere, a fronte di 30,3 dell’America Latina, dove invece quello di cibo-spazzatura e zucchero è superiore. Quasi a metà si è attestato il raggruppamento dei Paesi ad alto reddito, con una media al di sotto dei 40 punti.
Solo in dieci nazioni – che insieme rappresentano meno dell’1% della popolazione del mondo – si è superata quota 50. Tra i Paesi più popolosi, dal punto di vista nutrizionale si mangia meglio in India, Iran, Vietnam e Indonesia, mentre diete meno sane caratterizzano Brasile, Messico, Stati Uniti ed Egitto.
In generale, è stata rilevata una sostanziale omogeneità dei punteggi nelle diverse fasce di età, eccetto nell’Europa centrale e orientale, nel Medio Oriente, nell’Africa settentrionale e negli Stati ad alto reddito, dove i bambini mangiano mediamente peggio degli adulti e degli anziani, e quelli più piccoli meglio di quelli più grandi. Nella prima infanzia, quindi, sarebbe fondamentale indirizzare la dieta verso cibi salutari, al di là delle comprensibili preferenze dei bambini. Consolidare al più presto abitudini sane, infatti, è molto importante per la salute dei futuri adulti. Proseguendo con quanto emerso, l’alimentazione delle donne è risultata mediamente migliore di quella degli uomini, così come quella delle persone più istruite rispetto a quella di chi ha un titolo di studio inferiore, come abbiamo visto occupandoci di obesità e disuguaglianza economica. L’interesse e il marketing dei produttori di junk food, non a caso, si concentra sulle fasce più svantaggiate da questo punto di vista. In molti casi, peraltro, l’accessibilità economica spinge ampie fasce di popolazione verso la povertà alimentare e una dieta carente o non salutare, come abbiamo visto occupandoci di diritto al cibo sano.
Dove si verificano i miglioramenti più consistenti?
Nel trentennio esaminato, sono stati lievi i progressi dell’alimentazione globale, anche se in molte nazioni si è beneficiato di una crescente disponibilità alimentare e di consumi di prodotti salutari, quali legumi, frutta secca e vegetali in genere. La qualità dell’alimentazione, secondo gli studiosi, è stata però bilanciata in negativo dall’aumento del consumo di cibi come carne rossa, sale e bibite zuccherate.
Il miglioramento è stato pari a +1,5 punti in cinque delle sette macroaree, un dato non particolarmente significativo e differenziato dal punto di vista geografico:
- nell’Europa centro-orientale e nell’Asia centrale il dato superiore (+4,6);
- seguono i Paesi ad alto reddito (+3,2);
- l’Asia sudorientale e orientale (+2,7);
- il Medio Oriente e il Nord Africa (+2,2);
- chiudono la classifica in positivo l’America Latina e Caraibi (+1,3).
Nell’Asia meridionale, invece, nessun cambiamento (0), mentre nell’Africa subsahariana si è addirittura registrato un peggioramento (-1,1).
Con una visione globale della rappresentazione grafica dello studio, nei risultati si nota un miglioramento della qualità da Ovest verso Est, ovvero dall’America verso l’Asia. Rispetto agli andamenti temporali, invece, l’orientamento è opposto, con l’evoluzione positiva più rilevante nel Nord America, rispetto all’Asia, all’Africa e all’America Latina. Secondo i ricercatori, questo progresso si deve alla diffusione delle informazioni e della consapevolezza, che hanno aiutato le persone nelle loro scelte alimentari, prevenendo con efficacia le malattie associate a una dieta sbagliata. Nel complesso, è evidente come in questi tre decenni l’andamento sia stato disomogeneo, e in diversi casi si siano accresciuti gli svantaggi per le aree più povere del mondo. L’alimentazione sbilanciata, hanno ricordato i ricercatori, attualmente è una delle principali cause di patologie, e globalmente del 26% di tutte le morti prevenibili.
L’evoluzione dei trend negli ultimi dieci anni
Recentemente, l’ultimo decennio delle abitudini alimentari (2012-2021) è stato preso in esame dal Food Trends & Innovation Report, realizzato dall’istituto di ricerca Censuswide per HelloFresh. L’analisi, in particolare, si è concentrata su cultura del cibo, modo di cucinare e selezione degli alimenti, e sono state realizzate 11.500 interviste ad adulti in 16 Paesi. Nel mondo, nell’ultima decade si sono verificati cambiamenti significativi per il 70% degli intervistati, dato che sale al 78% in Italia, dove gli intervistati hanno affermato che il modo di cucinare e di scegliere gli ingredienti è mutato, come anche il modo di consumare i pasti (76%), e si attendono ulteriori evoluzioni in futuro.
Concentrandosi ancora sull’Italia, per il 43% degli intervistati cucinare è un modo per divertirsi, partendo da un uso crescente di Internet e dei social network, per cercare nuove ispirazioni (49%) e per sentirsi a proprio agio nel ruolo di chef di casa (40%). Per il 38% degli intervistati, questo ha portato a valorizzare la cucina casalinga e gli ingredienti di stagione, e il cibo è un’importante occasione di socialità (33%).
Parlando di qualità del cibo, il 46% è interessato alla provenienza degli alimenti, e rispetto al passato è disposto a spendere di più; il 43% acquista prodotti locali e cerca di fare acquisti più sostenibili (39%). Con una panoramica complessiva, l’87% degli italiani valuta come positivi i propri cambiamenti nelle abitudini alimentari.
Dieta sana, sperimentazione e consumo responsabile
Da notare, oltre all’attenzione per un’alimentazione sana e bilanciata, è l’apertura verso le novità: il 52% degli intervistati vuole sperimentare nuovi tipi di cucina e il 34% è pronto a utilizzare ingredienti diversi rispetto a quelli abituali. Allo stesso modo, cresce l’attenzione per un consumo responsabile e sostenibile, con il 47% che usa maggiormente ingredienti di provenienza locale, mentre il 43% è più attento all’origine del proprio cibo. La riduzione degli sprechi, infine, è prioritaria per il 30% dei consumatori.
Nel complesso, quindi, le ricerche mostrano un quadro di cambiamenti significativi, ma anche uno spaccato di evidenti disuguaglianze tra le diverse fasce sociali, che chiamano i decisori politici a intervenire in modo mirato per migliorare la nutrizione di tutti.
Come è cambiata la vostra alimentazione negli ultimi anni?