Giornale del cibo

Caffè, tracciabilità e qualità: come riconoscere quello buono, pulito e giusto

Per chi avesse ancora un regalo da fare, o per chi volesse cominciare l’anno con una buona azione, ecco un suggerimento che potrebbe essere anche un buon proposito per il 2017: acquistare, per regalarlo o per sé, un caffè buono, giusto e pulito. Per superare il muro dell’assuefazione, che oggi ci porta a consumarne grandi quantità senza ben distinguerne il valore e le proprietà, e capire che dietro le grandi produzioni mondiali c’è anche un caffè vero, sano, non contraffatto, e non passato per il setaccio delle multinazionali.
Abbiamo già analizzato, nell’articolo “come riconoscere un buon caffè”, la grande varietà di colture, i metodi di produzione e raccolta, la tostatura e la differenza tra uno normale e uno gourmet. Ora proviamo a capire come e dove il consumatore può scorgere un prodotto non solo buono, ma anche giusto e pulito: che non passi attraverso lo sfruttamento indiscriminato dei lavoratori e della terra da cui proviene e che non alimenti il business delle multinazionali, né traffici di altro tipo.

chicco caffè

Il caffè: da droga a colosso del commercio

Sarà perché la caffeina è una droga, sarà che le droghe finiscono per monopolizzare i mercati, sarà che è buono. Fatto sta che il caffè è un’abitudine talmente radicata, in tutto il mondo, da diventare routinaria.

Se ne bevono ogni giorno 4 miliardi di tazzine, ed è quindi ovvio che sia diventato un business, ma anche qualcosa in più. Lo ha spiegato di recente Alessio Baschieri, torrefattore e grande esperto bolognese, nell’incontro “Alla ricerca del cibo perduto” organizzato da Unipol a Bologna. “Dietro il caffè c’è un intreccio di politica e finanza. L’80% della produzione è in carico a microcoltivatori, soprattutto in Africa e Sudamerica, spesso isolati, me chi c’è dopo di loro? Perché funzioni l’attuale sistema di prezzi alterati, questo intreccio tra multinazionali e coyotes (che acquistano dai microproduttori e rivendono), è necessario che a un certo punto il caffè scompaia e riappaia sotto forma di brand nel paese dove verrà consumato”.

Come riconoscere un caffè buono e pulito

Così il sistema caffè sta in piedi. Se rimanesse tracciato lungo il percorso non funzionerebbero più logiche di prezzo e l’intero sistema, quello che ha fatto lievitare il suo valore fino a collocarlo al secondo posto per peso degli scambi dopo il petrolio. Un “oro nero” dietro l’altro. Come si fa a ridare dignità al prodotto? Un metodo efficace, sostiene ancora Baschieri, è “il godimento: se sono in grado di apprezzare nel mio prodotto sapori, sentori e caratteristiche che provocano piacere, modificherò le abitudini di consumo ma selezionerò quel che mi serve nelle quantità che mi servono. Non sprecherò. Il nostro gusto è l’arma più potente”.

Leggere l’etichetta

La maggior parte degli italiani, tra i principali consumatori al mondo, non sa bene cosa beve quando prende in mano una tazzina. È diventato ormai un rito, più che una degustazione. In alcuni casi, come spiega bene Slow Food in una sezione del suo sito dedicata al caffè equo, “basterebbe leggere con attenzione le etichette per essere più certi di cosa si ingerisce, anche se a volte è impossibile distinguere una buona qualità da un’altra, anche per i palati più fini. Il rischio è alto quando si parla di caffè già macinato, ma raggiunge l’apice se si considera quello solubile: semi di soia tostati, farina di patate, caramello, glucosio, amido, polvere di cicoria, rametti, gusci di caffè, orzo tostato, grano tostato sono solo alcuni degli elementi “miscelati” che alcune grandi aziende fanno passare col nome di caffè”.

Le torrefazioni italiane

Leggere un’etichetta potrebbe aiutare a eliminare le contraffazioni, che dominano una fetta del mercato mondiale. Ma per arrivare ad un caffè veramente pulito (ossia rispettoso dell’ambiente e libero da inquinamento) e giusto (cioè rispettoso dei lavoratori, che spesso invece sono sfruttati e sottopagati) può non bastare. Così come affidarsi al proprio gusto richiede delle conoscenze che aiutino il gusto a selezionare aromi e sentori e scartare così i prodotti “ingiusti”. Come fare allora? A chi affidarsi per fare il regalo equo di cui parlavamo all’inizio?

Slow Food ci viene in aiuto, segnalandoci 16 torrefattori italiani che aderiscono ai 3 presidi scelti per valorizzare altrettanti tipi di caffè: la robusta di São Tomé e Príncipe, il selvatico della foresta di Harenna, la robusta di Luwero. Importati in Italia dall’impresa sociale piemontese Equoqui, vengono lavorati e danno origine a prodotti di assoluta qualità e pulizia. Da Bologna a Taranto, da Bergamo ad Arezzo, marchi sconosciuti al grande pubblico ma garanzia di qualità. Oppure ci si può affidare all’associazione Caffé Speciali Certificati, che monitora tutte le fasi delle lavorazione e produzione per assicurare al consumatore un caffè di alto livello.

C’è un universo complesso, dietro la tazzina di caffè che ogni giorno consumiamo. C’è anche un mondo di grande sfruttamento nelle grandi piantagioni, con metodi che ricordano da vicino il nostro caporalato. Qualcosa del genere avviene anche in Italia, come l’incredibile situazione di cui parla il documentario The Harvest, di cui abbiamo parlato in questo articolo a proposito della situazione degli indiani Sikh nell’agro pontino.
Se si vuole contribuire a eliminare situazioni di questo tipo, allora il modo ideale è fare regali all’insegna della legalità, come quelli cui abbiamo accennato nell’articolo sui doni antimafia.

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