di Martino Ragusa.
Fra le varie testimonianze che attribuiscono alla Valchiavenna la maternità della bresaola ci sarebbe anche l’etimologia del suo nome che deriverebbe dall’italiano arcaico “brasa”, cioè “brace”, in dialetto “brisa”. In realtà, le bresaole un tempo venivano asciugate al caldo delle braci e quella chiavennasca non solo è l’unica a essere ancora affumicata, ma è anche l’unica a essere chiamata più correttamente “brisaola” aderendo all’etimologia originale. Naturalmente è solo un’ipotesi.
Secondo altri la bresaola in origine era un salume fatto con carne di cervo, e il nome deriverebbe dall’unione della parola “breont” che in alcune lingue indoeuropee vuol dire cervo e “sal”, sale. Comunque, documenti storici provano l’uso della salagione delle cosce di manzo in Valchiavenna a partire dal 1400.
Nel breve percorso dalla Valchiavenna alla Valtellina, la brisaola non ha cambiato solo il nome ma anche la ricetta, ed è facile intuire che questa mutazione non sia stata determinata dai pochi chilometri di viaggio, quanto dalla trasformazione da prodotto artigianale, quale era e continua a essere in Valchiavenna, al salume industriale che è diventato in Valtellina. Di fatto, l’antica e pregiata “brisaola” chiavennasca al momento è un dinosauro gastronomico sopravvissuto in pochi esemplari dentro a qualche macelleria di Chiavenna.
Io sono andato a visitare quella dei fratelli Aldo e Enrico Del Curto a Chiavenna ed è stato Enrico a raccontarmi le differenze tra la brisaola e la bresaola:
“La bresaola che va di moda e che conoscono tutti è quella di punta d’anca perché è la più magra. E’ la più pregiata, ma al gusto è migliore quella di sottofesa, che è marezzata con filini di grasso. Quel po’ di grasso fa una grande differenza, perché la rende più morbida e per contrasto esalta il sapore della parte magra. Solo che a Milano non la vogliono. Sono convinti che quel po’ di grasso gli rovini la salute e che una volta nel piatto la fetta non sia bella a vedersi. Per questo la bresaola industriale è tutta di punta d’anca. Ma la migliore di tutte è la bresaola di noce intera, che però non fa più nessuno perché la noce ha due grossi difetti per l’industria: ha troppo scarto ed è un taglio grosso che dà bresaole enormi e poco commerciabili. Noi la facciamo ancora perché è il massimo della bontà. Ma è anche vero che i problemi di un artigiano sono diversi da quelli di un industriale“.
Oltre il taglio, quali sono le altre caratteristiche della Brisaola chiavennasca?
“Che è leggermente affumicata e non è speziata. In Valtellina non l’affumicano e aggiungono spezie, come pepe, chiodi di garofano, cannella, insomma, ogni produttore mette i suoi aromi. Queste sono le differenze, per il resto so che anche nelle industrie salano le bresaole a mano, ma se lei è stato da Del Zoppo l’avrà visto con i suoi occhi. A proposito, gliel’hanno fatta assaggiare? ” “Sì. Era una punta d’anca” “Allora assaggi questa di taglio meno nobile e con un po’ di grasso. Poi mi dice se avverte differenze”.
La prova assaggio, ha confermato la differenza tra i sapori delle due bresaole. Non vi dico se ho preferito la glamour o la ruspante per non fare torto a nessuno tra due buoni prodotti. Posso solo dirvi che la chiavennasca, introvabile fori di qui, merita il viaggio. E voglio farvi una raccomandazione, se vi trovate davanti a una buona bresaola, mangiatela “santa”, come dicono qui, senza olio né limone con solo una fetta di pane nero.