Immemori dell’origine del picnic, rassegnati allo snack all’ora della merenda e recentemente sopravvissuti anche alla moda del brunch – che ha arricchito il vocabolario e le domeniche mattine di molti – ecco comparire un’altra parola dal sapore anglosassone. È il brinner (unione di breakfast e dinner) e definisce l’usanza di sostituire la cena con la colazione. A dire il vero, il termine non è del tutto nuovo: coniato nei primi anni Duemila, è però passato in sordina soprattutto se paragonato al suo cugino fortunato, il brunch appunto, almeno come modo di dire. Non però come modo di fare: quella di cenare con gli alimenti tipici della colazione, infatti, è un’abitudine piuttosto frequente. Per accorgersene basta dare un’occhiata agli oltre 98 mila post raccolti sotto l’hashtag #brinner su Instagram. E tuttavia c’è una bella differenza tra il brinner all’inglese e quello all’italiana perché, di fatto, c’è una bella differenza tra una colazione inglese (o americana) e una italiana. Vediamo allora come è nato il brinner e quali sono le principali tendenze quando si tratta di breakfast per cena.
Il principio fu la colazione, australiana
Nel 1990 Bill Granger era un semplice studente di arte di Sydney che, per mantenersi agli studi, trovò lavoro nella cucina di un ristorante. Tre anni dopo, a soli 22 anni, Bill aprì il suo primo locale – Bill’s – che divenne famoso per le sue colazioni servite su lunghi tavoli da condividere. Presto Bill si accorse che uova, pancakes, waffles e bacon erano richiesti ben oltre il periodo mattutino e così decise di servirle a tutte le ore, specializzandosi nella loro preparazione anche a pranzo e a cena. Da allora Mr Granger ha aperto i suoi Bill’s a Seoul, Tokyo, Honolulu e Londra e si è fatto un nome come autore di libri e articoli di settore.
Quello che l’allora giovanissimo chef australiano aveva intuito era che la colazione non è importante solo in termini nutrizionali, ma anche psicologici ed emotivi, poiché diventa spesso sinonimo di comfort food. Una “coccola di cibo” – per dirla in altre parole – che nelle giornate frenetiche della vita contemporanea, quando il rientro a casa è spesso tardo e la voglia di cucinare scarsa, risponde in breve tempo al bisogno di mangiare qualcosa di buono, semplice e nutriente. Non è un caso se, con l’affermarsi di nuovi stili di vita e abitudini alimentari, l’idea di Bill sia stata accolta e replicata in numerosi altri format: dalla catena Benedict di Tel Aviv in cui la colazione viene servita senza limiti di tempo, alla “M” più famosa della ristorazione fast in cui il menù della McBreakfast con i suoi McMuffin può essere ordinato tutto il giorno.
Eppure, quella che può sembrare una moda passeggera è invece il risultato di cambiamenti del comportamento alimentare di più lunga durata che riguardano tanto le modalità quanto le tempistiche di consumo dei pasti. L’abitudine di mangiare da soli è infatti sempre più diffusa con la conseguenza che ciò che si mangia è spesso determinato dall’umore del momento più che da riflessioni su quantità e qualità del cibo. Dall’altro lato, i mutamenti delle convenzioni sociali hanno fatto sì che, nel giro di due secoli, si modificassero radicalmente anche gli orari in cui colazione, pranzo e cena venivano, e vengono ancora adesso, comunemente fruiti. È quello che spiega Alessandro Barbero che dedica il suo libro “A che ora si mangia?” proprio alla storia di come questi tre momenti della giornata abbiano variato, tra Sette e Ottocento, il loro significato fino a produrre sovrapposizioni o vuoti lessicali (è il caso del diner e del souper francesi) o nuove abitudini. Dallo slittamento in avanti del dinner inglese, che da pranzo diventa cena, dipenderebbe infatti l’introduzione dell’attuale lunch (il pranzo di mezzogiorno) e della breakfast, l’italiana “colazione”, a sua volta frutto di un prestito linguistico francofono.
Oggi viviamo un momento molto particolare di “politeismo alimentare”, come già definito da Coldiretti, in cui gli orari o, meglio, i menù tendono a confondersi mentre inclinazioni nutrizionali apparentemente opposte si incontrano. Secondo una recente ricerca condotta da Barilla sul cibo del futuro, tra queste spiccano anche l’appagamento del gusto personale, l’attenzione alla salute, l’orientamento al passato e il tempo. Dunque attualmente edonismo, benessere, tradizione e rapidità sono da considerarsi come principi guida, insieme ad altri, delle scelte a tavola. In effetti la colazione mattutina o serale risponde bene a tutti questi requisiti: piace, che sia dolce o salata; se ben fatta è un’importante fonte di energia ed è solitamente abbastanza veloce da preparare. Che dire poi del fattore memoria? Anche se per “memoria” si intende primariamente il recupero dei sapori e dei metodi di cottura tradizionali, nel caso del brinner si traduce anche in un senso più intimo, quello del ricordo, condiviso dai più, del pane e caffelatte della nonna o della tazza di latte caldo data da bambini prima di dormire.
Bisogna infatti ricordare che se Mr Granger ha fatto del brinner una proposta ristorativa affermata, è altrettanto vero che la cena con latte e cereali, con latte biscotti o all’americana maniera, non è un’invenzione di oggi e probabilmente tra le mura domestiche si consuma da più tempo e con più frequenza di quanto si pensi.
Brinner mania: la colazione a cena in Italia e all’estero
Fortunatamente, nonostante gli intensi processi di gentrificazione del cibo a cui siamo esposti, le abitudini alimentari variano ancora molto da Paese a Paese, così le materie prime impiegate e, di conseguenza, le ricette. Questo vale per i pasti canonici e codificati, così come per quelli di importazione, almeno lessicale. E il brinner non fa eccezione.
Il brinner anglosassone
Tra le battute più amate dei promotori del brinner c’è quella del film del 2007 “Juno”, in cui la mamma di uno dei protagonisti cerca di convincere il figlio a mangiare dicendogli “But it’s breakfast for supper. Your favorite, Paulie. I made French toast and sausage” (“Ma c’è la tua colazione per cena preferita, Paulie. Ho fatto i toast e la salsiccia”). Oltre che confermare la consuetudine del brinner, la citazione ci ricorda una delle principali differenze tra la colazione – e quindi il brinner – all’italiana e quella inglese: solitamente dolce e non cucinata la prima, più elaborata e con diverse preparazioni ai fornelli la seconda. Secondo Barbero questa differenza dipenderebbe proprio dall’ottocentesco slittamento degli orari a cui, però, non è corrisposto un vero aggiornamento di menù: “il breakfast” – scrive Barbero – “tornato a essere consumato al risveglio, ha conservato la sua nuova connotazione di pasto caldo cucinato, che oggi distingue così nettamente le abitudini dei paesi anglosassoni da quelle dei paesi latini.” Ma quali sono le ricette tipiche di una colazione per cena anglo-americane?
- French toast: si chiama “francese” ma la sua paternità è tutta a stelle e strisce. In questa specialità made in USA il pane da toast viene immerso in uova, latte e aromi e tostato in padella.
- Full English breakfast: la tradizionale colazione inglese può essere replicata anche a cena, l’importante è che nel piatto ci siano uova strapazzate o all’occhio di bue, il bacon croccante, salsicce, funghi, pomodori e in alcuni casi anche i fagioli.
- Pancake e sciroppo d’acero: le frittelle dolci che abbiamo visto in moltissimi telefilm cosparsi di sciroppo d’acero, si alternano agli altrettanto golosi waffle, anche in abbinamenti salati.
A parte forse i pancake, per molti di noi queste proposte non suonano poi così anomale, proprio perché si tratta di piatti veri e propri che, in qualche modo, proponiamo anche noi nella nostra quotidianità senza percepirle come una contravvenzione alla norma. Diverso è il caso della colazione all’italiana che, se fatta per cena, può invece costituire un pasto singolare.
A cena, latte: il brinner all’italiana
Non c’è brinner senza breakfast, questo è chiaro. E per gli italiani, non c’è breakfast senza caffè, latte o un mix dei due. Secondo la recente indagine pubblicata dalla società di ricerca YouGov nel gennaio 2019, il 62% degli intervistati (un campione di quasi 1.000 persone) non può fare a meno del caffè la mattina, il 38% non rinuncia al latte e il 29% predilige cappuccino e marocchino. Tra tutti coloro che dichiarano di fare colazione ogni mattina, il 44% la preferisce dolce, mentre solo il 7% sceglie il salato. Ampio spazio dunque a biscotti, brioches o merendine, fette biscottate, cereali, yogurt per i primi; e a toast, affettati e uova per i secondi. Tendenza confermata anche dalla quantità e dai contenuti degli spot pubblicitari dedicati a questo pasto, in cui panificati e biscotteria dolce la fanno da padrone. Stando poi all’analisi sul carrello della spesa per la prima colazione svolta nel 2018 da Nomisma, i prodotti acquistati dagli italiani sono sempre più Bio. Una scelta consapevole e salutista che premia in particolare le uova, le confetture, le gallette di cereali soffiati, le bevande sostitutive del latte, il latte fresco, la pasta di semola, l’olio extra-vergine di oliva, lo yogurt intero, la verdura di quarta gamma e i biscotti. Cosa ci dice tutto questo? Che, quando di brinner si tratta, è probabile che in tavola ci siano gli stessi ingredienti della colazione, quindi prevalentemente dolci accompagnati da una bella tazza di latte.
Inoltre, secondo una convinzione popolare solo parzialmente confermata da evidenze scientifiche ma piuttosto diffusa anche online, il latte è una specie di sonnifero naturale. Se davvero bere latte prima di dormire abbia effetti positivi sul sonno o se, addirittura, faccia dimagrire, è infatti ancora al centro di esperimenti che si concentrano sugli effetti del triptofano (aminoacido di cui il latte è ricco) e del microbiota intestinale sull’apparato digerente e sulle sostanze che regolano il ritmo sonno-veglia del corpo umano. Finché queste teorie non verranno confermate e i falsi miti sul latte non cesseranno di circolare, cenare con il latte può rimanere uno strappo alla regola che ogni tanto è confortante concedersi.
E a voi, è mai capitato di fare colazione per cena? Scrivetecelo nei commenti!