Cosa c’è dietro una bottiglia di birra artigianale? Un mondo, potremmo rispondere. In alcuni casi, in realtà, molto di più: come la Birra T21, realizzata da ragazzi e ragazze con sindrome di Down, o Birracca, il birrificio sociale di Civitanova Marche (Macerata). Quest’ultimo progetto, nato da un’idea di Gioia De Angelis, unisce il piacere della birra all’impegno per l’inclusione lavorativa di giovani adulti con diagnosi di autismo. Un piccolo passo per cercare di rompere le barriere – e gli stereotipi – su certe categorie di persone, creando ponti. “La birra è il simbolo perfetto: quando ci si vuole incontrare fuori casa e stare in mezzo agli amici, una delle frasi che si dicono di più è ‘andiamo a prenderci una birra?’. Per noi questo prodotto è diventato un mediatore di unione” spiega De Angelis che abbiamo intervistato per farci raccontare com’è nata Birracca e cosa c’è dietro.
La nascita di Birracca: dalle origini dell’Accademia al birrificio sociale
A Civitanova Marche, nel 2020 prendeva forma un’idea. Gioia De Angelis è una psicologa e Analista del Comportamento BCaBA ®, che per anni ha lavorato con bambini – anche molto piccoli – con disturbi dello spettro autistico. “A un certo punto, mi sono resa conto di un problema: questi bambini di cui io e altri colleghi ci stavamo prendendo cura stavano crescendo, e con lo sviluppo cambiavano necessariamente le esigenze, ma non c’era un progetto strutturato che potesse aiutarli in questo”. Questa consapevolezza, unita alla voglia di voler cambiare le cose, ha portato nel 2021 alla nascita di un’associazione di promozione sociale, A.A.A. Astuta Ability Academy, che si occupa della formazione di ragazzi con diagnosi di autismo con l’obiettivo, lavorando su abilità funzionali, di renderli autonomi, indipendenti e realizzati e in piena relazione con il contesto in cui vivono. Dall’acquisizione delle competenze di vita quotidiana, come saper prepararsi un pasto, fare la doccia da soli o usare i mezzi pubblici, al bisogno di inserirsi nel mondo del lavoro, la necessità di andare oltre l’educazione scolastica è diventata evidente.
[elementor-template id='142071']Dopo anni di lavoro sulla formazione e di inserimento di alcuni di questi ragazzi nel mondo del lavoro, De Angelis ha deciso di creare qualcosa di più. “Sapevamo che per molti ragazzi mantenere il lavoro fisso e stabile sarebbe stata una sfida: alcuni di loro dipendono infatti fortemente dall’aiuto dell’adulto, ed è abbastanza impossibile pensarli in un progetto lavorativo di autonomia totale e reale, cosa che purtroppo il mondo del lavoro richiede. Ero arrivata ad un punto in cui mi mancava qualcosa” continua a spiegare la psicologa. “Mi sono ritrovata con dei ragazzi che non ‘riuscivo a mandar via’ dall’Accademia, perché questo è poi il nostro obiettivo. Ho deciso allora di creare un’impresa sociale che in qualche modo potesse chiudere il cerchio, dando vita a una rivoluzione che fosse legata sì all’Accademia, dove questi giovani si sono formati, ma parlasse anche di altro: di imprenditoria”.
Infatti, come accade in altre realtà, da PizzaAut, Frolla Microbiscottificio sociale o le Fonderie Ozanam, uno dei grossi problemi è proprio quello di riuscire a dare un lavoro a persone, adulte e meno adulte, con diverse forme di fragilità o provenienti da situazioni difficili.
Verso l’imprenditoria: l’impresa sociale “senza;rete” e Birracca
Così nel 2023 a Macerata nasce l’impresa sociale “senza;rete”, e con essa il progetto Birracca, un birrificio sociale che offre ai ragazzi la possibilità di lavorare in un ambiente supportivo, dove imparano a gestire attività quotidiane legate alla produzione e alla vendita della birra. Il nome l’hanno scelto gli stessi ragazzi, che chiamano appunto “Acca” la loro Accademia. L’impresa, grazie a Birracca, devolve parte dei propri utili all’Accademia per permettere a tanti altri giovani di crescere e acquisire autonomia e indipendenza.
Sul perché del nome dell’impresa sociale e la scelta di quel punto e virgola, De Angelis risponde: “Volevo dare l’idea che non fosse stato messo un punto ai progetti e lavori precedenti ma che ci fosse un proseguimento, che questo fosse un racconto allo stesso tempo in linea ma anche parte distinta di uno stesso periodo. Basti pensare ai ragazzi: sono passati da diverse fasi di vita fino a diventare dei giovani lavoratori, ma sempre in un continuum rispetto al loro percorso di apprendimento all’interno dell’Accademia. Il punto e virgola dà l’idea di una storia che vuole continuare a esistere e prosegue all’interno di una frase”. Per quanto riguarda il nome “senza rete”, spiega l’intervistata: “Banalmente, perché all’inizio ero da sola. Quando ho raccontato per la prima volta questo progetto ad alta voce ho detto: ‘Senza la rete non si va da nessuna parte’. Ad oggi una rete non c’è e bisogna crearla: il motivo per cui siamo nati è proprio questo”.
Il simbolo della birra: oltre gli stereotipi
La scelta della birra non è stata casuale. “Non volevamo fare qualcosa di pietistico” afferma Gioia. “La narrazione di questi ragazzi come ‘risorse’ o ‘persone sempre eccezionali’ è sbagliata: la verità è che è difficilissimo farli diventare una risorsa. Però, una caratteristica che hanno e va rispettata è che lavorano sodo e hanno voglia di costruirsi la propria vita. Il nostro obiettivo è questo, non di restituire loro chissà quale dignità, come spesso si dice, perché la dignità ce l’hanno già di per sé. Di certo, non posso fornirla io dall’alto”. A proposito di un certo tipo di racconto che, spesso, accompagna questo tipo di progetti, continua: “Si dà per scontato che il mio mestiere sia una missione e che io abbia una vocazione. Ma non è così: per arrivare dove sono ora ho studiato, banalmente. Non sono votata al martirio, i ragazzi non sono sempre e comunque persone eccezionali. Sono sempre e comunque persone, alcune simpatiche, altre meno, alcuni molto in gamba, altri con meno abilità, e così via” sottolineando come sia ora di decostruire certe narrazioni che, ormai da troppo tempo, si portano avanti.
Con questo progetto, De Angelis voleva evitare un approccio che sfruttasse la tenerezza o la compassione, preferendo un prodotto che potesse essere apprezzato per la sua qualità. E che fosse a suo modo simbolico, in quanto secondo lei la birra diventa mediatore di un’unione che realmente ci può essere. Ciò che l’intervistata si augura è che questo possa essere un piccolo passo per il futuro: “Forse questa azienda non cambierà niente, ma il poter anche solo parlarne, affinché questo dialogo diventi una parte sempre più integrante del nostro modo di ragionare, è già tanto. Di solito, prima si pensa bene e poi si agisce, qui proviamo invece ad agire bene per innescare un cambiamento di pensiero”.
Inclusione lavorativa e autonomia: un progetto di vita
Al momento, all’interno di Birracca, sono sei i ragazzi coinvolti. “Purtroppo non ci sono ragazze, anche per via della statistica: l’autismo ha una prevalenza maschile in un rapporto di 5 a 1” illustra la psicologa. “Oltre a loro, però, ci sono altri ragazzi che con gli anni abbiamo inserito in altri contesti lavorativi che chiamiamo per eventi, collaborazioni sportive, feste e altre occasioni in cui abbiamo bisogno di un aiuto in più”.
All’interno del birrificio, i ragazzi di Birracca lavorano in diverse fasi della produzione e vendita della birra. “Molti hanno imparato a far tutto, dalla preparazione degli ordini all’imbottigliamento e all’etichettatura, fino alla gestione delle spedizioni, del magazzino e delle vendite” – spiega ancora Gioia. Il lavoro viene gestito tramite agende visive, uno strumento fondamentale per permettere ai ragazzi di organizzare il loro lavoro quotidiano e di essere il più possibile autonomi, soprattutto considerando la variabilità del lavoro. “Siamo aperti solo tre giorni alla settimana, ma in quei giorni i ragazzi si occupano di tutto, dalla pulizia del birrificio alle spedizioni”. Sebbene il mastro birraio gestisca la parte tecnica della produzione e della cottura della birra, i ragazzi contribuiscono attivamente occupandosi anche delle mansioni più pratiche.
Al momento la produzione è di tre tipologie di birra, con nomi altrettanto simbolici:
- ACCAde, una Pilsner a bassa fermentazione dal colore giallo-oro, schiuma bianca e compatta, snella, rinfrescante e dissetante.
- dACCApo, una German Ale ad alta fermentazione dal colore dorato chiaro, limpida, schiuma bianca, cremosa e di buona persistenza, ma pulita e beverina.
- bACCAno, un’American Wheat ad alta fermentazione chiara e bilanciata, con note agrumate e di frutta tropicale, ma fresca e piacevole.
Il futuro di Birracca: un birrificio per la comunità
Il progetto è in continua evoluzione, con prospettive di espansione grazie a un finanziamento regionale che permetterà di spostare il birrificio in una sede più grande, a partire dall’anno nuovo. “Vogliamo creare un luogo che diventi un punto di incontro per la comunità” anticipa De Angelis. L’idea è quella di trasformare il birrificio in uno spazio dove tutti possano sentirsi i benvenuti, non solo per acquistare birra, ma anche per partecipare a eventi e attività sociali.“Il nostro sogno è che la comunità possa affacciarsi al nostro mondo, proprio come noi ci affacciamo al loro. Sarebbe bellissimo incontrarsi a metà strada, in uno spazio di vera inclusione” conclude.
Per tornare alla domanda iniziale, avete visto come dietro una Birracca c’è molto di più, ed è un punto di partenza per qualcosa che, ci auguriamo, possa innescare un cambiamento. Il prossimo anno, tra i birrifici artigianali marchigiani da visitare, avrete un nuovo indirizzo da segnarvi!
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