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Birra Pilsner: origini, caratteristiche, gradi e abbinamenti

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Chissà quante volte l’avrete ordinata senza saperlo? Al bar, al pub, al tavolo di un ristorante o al truck di un evento di street-food… ogni volta che avete esclamato o sentito esclamare: “Per me una media chiara, grazie!” – si stava parlando di una birra. E non di una qualsiasi, bensì di una pilsner: la birra più conosciuta e diffusa al mondo, che prende il nome da una città della Repubblica Ceca, dov’è nata e si è consolidata una tradizione capace di definire uno stile. 

Pilsner, la “bionda” più famosa del mondo

Sede della birra Pilsner
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La birra vanta una storia antichissima, con le prime tracce di bevande ottenute dalla fermentazione alcolica di zuccheri e amidi – motivo per cui viene definita anche “pane liquido” – che riportano al quarto millennio a.C. La culla delle antenate della moderna birra sembra essere la Mesopotamia, nonostante poi il corso della storia l’abbia trasformata in un prodotto facilmente associabile alla cultura anglosassone. Oggi, poi, l’evoluzione del mondo brassicolo è ancora più articolata e coinvolge anche l’Italia, con un fitto e variegato universo produttivo, come visto coi birrifici artigianali della Sardegna, dell’Abruzzo, delle Marche o del Trentino Alto-Adige, solo per citare alcune regioni. 

Ma se c’è una birra che più di tutte è stata capace di affermarsi a livello mondiale, questa è senza dubbio la pilsner. Chiara, limpida, moderatamente frizzante, dal gusto amarognolo e con quei 5 gradi alcolici che la rendono al tempo stesso dissetante e beverina. Si potrebbe quasi dire che, insieme a Marilyn Monroe, è lei la “bionda” più famosa del mondo. Se siete curiosi di sapere che tipo di birra è la pilsner, come nasce, a quali abbinamenti culinari si presta e altre curiosità, come la differenza tra “pils” e “lager”, questo è il posto e il momento giusto per scoprirlo… 

Dove nasce la birra pilsner?

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La storia della birra pilsner è abbastanza recente e rimanda alla metà dell’Ottocento. Più precisamente al 1842, anno in cui il mastro birraio tedesco Josef Groll produsse la prima cotta di uno stile che doveva favorire l’incontro fra il metodo produttivo della bassa fermentazione e le materie prime del territorio. Il territorio in questione è la Boemia, regione centro-occidentale della Repubblica Ceca dove si trova la città di Plzeň. Qui, all’epoca, c’era già una radicata cultura birraria, fatta perlopiù di tante piccole produzioni domestiche. Mancava qualcosa per renderla una fonte di sostentamento, in un contesto dov’era soprattutto la vicina Germania a dominare la scena. In particolare da quando, pochi anni prima, era stata messa a punto la tecnica della bassa fermentazione che, contando su ambienti naturalmente freschi, garantiva un ammostamento ottimale e quindi un prodotto finale stabile, con un grado di conservabilità che ne permetteva l’esportazione – e quindi l’accesso anche ai mercati vicini. 

Proprio per questo motivo venne ingaggiato il giovane Josef Groll. Figlio di un esperto mastro birraio, doveva importare in Boemia il sapere dell’arte brassicola bavarese. E lo fece combinando le proprie conoscenze a risorse autoctone, come l’acqua delle sorgenti locali, più povera di sali minerali e capace quindi di strizzare l’occhio a una maggiore scorrevolezza, e soprattutto il luppolo Saaz. Una varietà nobile, che prende il nome dalla città ceca di Žatec, patrimonio Unesco proprio per gli aspetti paesaggistici legati alla coltivazione del luppolo: usata in robuste dosi, ha da un lato accentuato il carattere erbaceo e amaricante della birra e, dall’altro, ne ha migliorato notevolmente il grado di conservazione. Il luppolo del resto è un conservante naturale, elemento chiave ad esempio dello stile IPA (India Pale Ale), nato in Inghilterra per l’esportazione nelle colonie indiane e destinato quindi ad affrontare lunghi viaggi transoceanici. L’altro aspetto decisivo nell’opera di Josef Groll fu il ricorso ai malti inglesi, essiccati con l’innovativo metodo dell’esposizione ad aria calda, anziché la fiamma diretta, che li rende invece più tostati e scuri. In questo modo la limpidezza cristallina dell’acqua sorgiva, già povera di residui minerali, si mantiene tale durante la fase di ammostamento per un prodotto finale dall’impatto visivo più accattivante. 

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Il successo di questa birra fu immediato, al punto che la produzione si diffuse presto in tutta la regione. In assenza di un brevetto registrato, si poteva liberamente fare ricorso all’aggettivo pilsener (ovvero “di Plzeň”), motivo per cui l’azienda titolare dell’originalità della ricetta registrò in seguito il marchio Pilsner Urquell (dove “urquell” nella lingua locale sta per “sorgente”), con cui è nota ancora oggi. Il nome ha poi subito diverse declinazioni, tra cui pilsner (che è la trasposizione in lingua tedesca) e l’abbreviazione pils: tutti termini equivalenti, che fanno riferimento allo stile creato dall’estro del mastro birraio Josef Groll, nel frattempo cresciuto a livello mondiale. 

La maggior parte dei marchi internazionali che oggi dominano il settore birrario nella grande distribuzione hanno nella birra pilsner il loro prodotto di punta. Tra questi trovano spazio la storica Pilsner Urquell – prodotta ancora oggi – a Plzeň e la Budweiser Budvar, che ha ottenuto la denominazione IGP. Ma se siete amanti del genere, l’ideale è assaporarla in loco, come vi abbiamo raccontato nel nostro articolo su dove bere una buona birra a Praga. Visitare gli storici birrifici della città e deliziarsi con una pinta appena spillata è un’esperienza impagabile.

Che differenza c’è tra birra pils e lager?

Oltre a pilsner, un altro termine in cui si imbatte spesso chi legge la descrizione o semplicemente l’etichetta di una birra è lager. Ma qual è la differenza tra lager e pilsner? In breve, con lager si intendono tutte le cosiddette birre a bassa fermentazione, di cui fanno parte anche le pilsner. Di fatto, la pilsner è quindi una particolare tipologia di lager. Quella della bassa fermentazione è una filosofia produttiva basata sull’impiego di lieviti della famiglia Saccharomyces pastorianus, carlsbergensis o uvarum. La loro caratteristica è quella di agire a temperature comprese tra 6 °C e 10 °C. È in questo range che lavorano al meglio, trasformando gli zuccheri contenuti nel mosto in alcol e anidride carbonica. Il processo è lento e dura almeno una settimana, e spesso anche oltre, al termine della quale i lieviti esausti vanno a depositarsi sul fondo del recipiente di ammostamento. 

Una differenza sostanziale rispetto all’altra grande famiglia di birre, quelle ad alta fermentazione, meglio conosciute come ale, per il quale si usa il lievito Saccharomyces cerevisiae, che trova largo impiego anche nella panificazione e nella produzione vinicola. Lavorando a temperature più alte (12-23 °C), rende il processo di fermentazione più rapido: nel giro di pochi giorni, infatti, i lieviti esauriscono la loro azione e risalgono fino a rimanere sospesi sulla superficie del liquido. C’è poi una terza categoria, quella delle birre a fermentazione spontanea, lo stile più antico: qui i lieviti non vengono inoculati dall’esterno, ma si lasciano agire quelli naturalmente presenti in apposite cantine dotate di vasche di fermentazione. Quest’ultime rappresentano una nicchia del mondo brassicolo, mentre una fetta più cospicua va alle ale, che negli ultimi anni stanno conoscendo una stagione di rinascita, grazie soprattutto al movimento dei birrifici artigianali. A dominare la scena, tuttavia, sono proprio le lager, che rappresentano circa il 90% della produzione globale e di cui le pilsner rappresentano la tipologia più diffusa.   

Che tipo di birra è la pilsner?

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Se la famiglia allargata delle lager comprende tipologie di birra con schiuma più o meno pannosa e persistente e tonalità cromatiche che possono spingersi dall’ambrato delle bock all’ebano di alcune schwarzbier, una pilsner ha dei tratti che la rendono riconoscibile già nell’aspetto. Colore giallo, la cui intensità può variare dal pallido al dorato, limpidezza, schiuma bianca e cremosa: ecco l’inconfondibile biglietto da visita di questo stile.

La luppolatura influenza in maniera decisiva il gusto, che risulta quindi tendenzialmente erbaceo, col malto più in secondo piano. Questo ne fa una birra in cui l’amaro prevale sulle note amabili, delineando un finale secco e asciutto. La discreta carbonatazione, che si traduce in una solleticante effervescenza, e il volume alcolico contenuto – difficilmente oltre il 5% – la rendono scorrevole e dissetante. La classica birra che si beve facile anche da sola e che dà sollievo e refrigerio nelle serate estive.

In quanto agli abbinamenti più azzeccati, essendo leggera e beverina, la pilsner si accompagna meglio a piatti non troppo strutturati, quindi carni bianche, pesce, insalate. Ma anche taglieri di salumi e formaggi, pizza, focacce, fritti e stuzzicherie varie, grazie alla caratteristica astringenza che ripulisce efficacemente il palato a ogni sorso.

 

Noi ve l’abbiamo raccontata, a voi l’onere… o piuttosto il piacere di berla! Conoscevate già storia e caratteristiche della birra pilsner?

 

Immagine in evidenza di: Hsien su/shutterstock

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