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Dal pane avanzato alla birra: ecco “Biova”, il progetto contro lo spreco alimentare

Foto di Birra Biova

 

Come dare vita a un progetto anti spreco alimentare, creando un prodotto di qualità e di largo consumo: questo è, in estrema sintesi, ciò che sta dietro il marchio Birra Biova. Grazie all’intuizione dei tre soci fondatori e all’esempio di altre realtà europee, il pane avanzato ogni giorno da ristoranti e locali vari diventa materia prima essenziale per la produzione di birra con metodo artigianale. Si innesca così un circolo virtuoso che consente di contrastare lo spreco alimentare e, al contempo, di dare nuova vita e nuovo valore a un alimento basilare come il pane. Curiosi di sapere come nasce e come si sviluppa il progetto Birra Biova? 

Il pane, da possibile rifiuto a nuovo valore

Emanuela Barbano
Foto di Birra Biova

Birra Biova nasce ufficialmente nel 2019 dall’idea di Emanuela Barbano, Franco Dipietro e Giovanni Giovine. Ex colleghi in una multinazionale del settore pubblicitario, intraprendono strade diverse, che li portano a dedicarsi al mondo del no profit e dell’impegno sociale: proprio in quest’ambito maturano consapevolezza e sensibilità verso il tema dello spreco alimentare. “Collaborando con una onlus che si occupa di recuperare le eccedenze alimentari dai catering per destinarle ai bisognosi, ci siamo accorti di quanto pane avanzi su ogni tavola” racconta Emanuela Barbano, “e di quanto sia difficile riproporlo. Perfino le mense dei poveri ne hanno troppo e non lo prendono volentieri”. Da qui, l’idea di dare vita a un’iniziativa capace di creare valore da un bene che altrimenti finirebbe col diventare rifiuto. La passione comune per la birra e l’esperienza professionale maturata nel corso degli anni hanno fatto il resto. “Abbiamo messo in campo tutto quello che sappiamo fare in termini di comunicazione e sensibilità, unendo profit e no profit in un’unica battaglia contro lo spreco alimentare”. Ci siamo fatti raccontare da due dei soci fondatori, Emanuela Barbano e Franco Dipietro, com’è nato e cresciuto il progetto Birra Biova e, soprattutto, quali sono le sue prospettive di sviluppo.

Birra Biova: dai primi passi alla grande distribuzione

Foto di Birra Biova

“Un Paese come l’Italia produce circa 13mila quintali al giorno di scarti di pane, gran parte del quale non raggiunge neanche le tavole degli italiani. Rimane sullo scaffale, invenduto.  Ecco allora l’intuizione, trasformare quel potenziale scarto in un nuovo bene da rimettere in circolo”: questa, come racconta Emanuela, è la miccia che ha innescato il progetto Birra Biova. Perché poi si è pensato di destinare il pane recuperato proprio alla produzione di birra? Il primo motivo è che il pane, sia per i lieviti in esso contenuti, sia per l’aroma tostato tipico degli alimenti a base di cereali, ben si presta al processo di ammostamento, fondamentale nell’attività brassicola. Non a caso, la birra al pane era già presente nella cultura degli antichi Egizi e nell’est Europa, con particolare riferimento alla Russia, dove la tradizione della birra Kvass (a base di pane di segale, a bassa fermentazione e dal ridotto tenore alcolico), nata intorno al X secolo, non è mai tramontata. Il secondo motivo è la passione comune dei tre soci fondatori per la buona birra. 

Così, coinvolgendo un birrificio artigianale della provincia di Cuneo, è nata la prima cotta. “Una cosa iniziata quasi per gioco e che ci ha sorpreso, invece, per quanto accaduto dopo” confida Franco. “Ci hanno chiamato dalla trasmissione radiofonica Caterpillar, da Rai 2, da Virgin Radio: tutti incuriositi dal nostro progetto”. Era solo il 2017 e, da allora, dopo una serie di esperimenti, prove, sbagli e correzioni in corso d’opera, Birra Biova è cresciuta, fino a conquistarsi anche uno spazio nella grande distribuzione. “Coop è stato il primo grande marchio della GDO che siamo riusciti a coinvolgere. Oggi stiamo riscontrando interesse anche da parte di altri players, quali Unes Supermercati, Carrefour, Panorama” precisa ancora Emanuela. “Ma la nostra intenzione è creare dei veri e propri centri di raccolta dell’invenduto su tutto il territorio nazionale. In questo modo saremo davvero efficaci e capillari nella lotta allo spreco”.  

Dal pane avanzato alla birra: tutti i passi di un circolo virtuoso

Foto di Birra Biova

Birra Biova è attualmente prodotta in tre versioni, espressione di altrettanti stili birrai: una bionda classica tipo Kölsch, una IPA e una Cream Ale. “L’idea però è quella di creare una birra per ogni entità con cui collaboriamo” precisa Franco.

Ma come funziona il circolo produttivo di Birra Biova? Come si arriva quindi dal pane avanzato al prodotto finale? Semplicemente instaurando rapporti diretti con ristoranti, panifici e operatori del settore alimentare, occupandosi di andare a recuperare da loro tutto il pane invenduto e destinato a diventare rifiuto. “Lo scorso anno, ad esempio, grazie a uno dei birrai cui ci appoggiamo, siamo entrati in contatto con Mac Bun, slow fast food di Torino, che ha cinque punti vendita in città” racconta Franco. “A partire dal pane per gli hamburger, abbiamo creato una birra apposta per loro: una IPA, che abbiamo chiamato Mac Biova”. 

Il legame con la città di Torino è forte (anche perché “biova” è il pane comune piemontese). È proprio qui, infatti, che Birra Biova ha sede, anche se, come precisa Franco, si tratta di una realtà dinamica: “non abbiamo un birrificio perché ogni volta affittiamo quello più vicino al posto dove recuperiamo il pane. Questo ci permette di poter lavorare vicino al luogo di recupero del pane senza innescare un traffico di spostamenti su strada”. Una birra a chilometro zero, dunque, prodotta sempre appoggiandosi a una serie di birrifici artigianali, che mettono a disposizione la loro esperienza e i loro impianti per dare vita alle ricette di cui Biova è titolare. Questo permette di avere una certa flessibilità produttiva, differenziando le birre anche a seconda della materia prima di base, ovvero realizzando una cotta diversa per ogni tipo di pane recuperato. 

Prossimamente, invece, l’intenzione è quella di avviare un’iniziativa solidale per coinvolgere San Salvario, il quartiere della “movida” torinese. “Una delle zone della città che ha certamente sofferto di più durante il lockdown seguito all’epidemia dovuta al Covid-19” spiega Emanuela. “Per dare un po’ di linfa al quartiere abbiamo stretto un accordo coi panettieri di San Salvario: a partire dal loro pane invenduto, realizzeremo una birra che loro stessi e i locali della zona potranno vendere direttamente. Il ricavato verrà poi devoluto a CeloCelo Food, onlus impegnata nel ritirare eccedenze dai piccoli commercianti per creare dei pacchi spesa da dare ai bisognosi. Un modo per amplificare i nostri valori e fare qualcosa di veramente concreto contro lo spreco”.

Biova: un progetto antispreco che va oltre la birra 

Foto di Birra Biova

Birra Biova è dunque solo la punta d’iceberg di una filosofia di ampio respiro, attenta al contrasto allo spreco alimentare e fondata su principi di solidarietà e attenzione a tematiche sociali e ambientali. Basti pensare che, a ogni 2500 ml di Birra Biova prodotta, corrisponde un risparmio di circa il 30% di malto d’orzo e 1365 Kg di CO2 in meno immesse nell’ambiente. Quello della produzione e della commercializzazione di birra, tuttavia, è solo il primo passo, come tiene a sottolineare Emanuela: “Biova non è ‘solo’ una birra: è un vero e proprio progetto di recupero alimentare innovativo. Abbiamo iniziato con la birra, ma abbiamo allo studio altri prodotti, sempre nell’ambito del recupero di alimenti cui dare nuova vita. Il nostro futuro quindi non è aprire un birrificio, ma allargare un modello che idea e sviluppa beni a partire da quelle eccedenze altrimenti destinate a diventare rifiuti”.

Vi abbiamo dunque portato a scoprire Birra Biova: il nome di una birra artigianale italiana di qualità, dietro cui c’è però una storia e un progetto, che sono espressione di sensibilità e attenzione a tematiche ambientali e sociali. Cosa ne pensate di realtà come questa? 

 

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