Nessuna azione può essere compiuta dall’uomo senza che venga consumata energia e, di conseguenza, quest’ultima non può essere immediatamente riutilizzata. Non è infinita, anzi il contrario. E una parte viene sempre dispersa o sprecata, come avviene per il calore quando un corpo pratica attività fisica o per l’organismo che non trasforma interamente le calorie presenti nei cibi in energia.
Lo stesso avviene lungo la filiera agroalimentare: ciascun passaggio della produzione del cibo comporta degli scarti che, attualmente, non possono essere riutilizzati per produrre energia. Tuttavia, negli ultimi anni, sono stati avviati alcuni progetti visionari che mirano all’applicazione dei principi dell’economia circolare (ovvero un sistema di produzione strutturato per rigenerarsi e minimizzare gli sprechi) al settore agroalimentare. La sfida è produrre energia dagli scarti tramite le biomasse, scopriamo come!
[elementor-template id='142071']Rifiuti e inquinamento: che fine fanno gli scarti della filiera?
Produrre un bene genera dei rifiuti e questo è del tutto naturale. Ciò su cui si può agire, però, è la tipologia di questi scarti e, soprattutto, la possibilità di riutilizzarli, attraverso un corretto smaltimento che non comporti, a sua volta, dei danni per l’ambiente. Secondo i dati raccolti dal Centro Nazionale di Ricerche (presentati ad Expo 2015), sono i paesi in via di sviluppo quelli dove gli scarti della filiera agroalimentare hanno un impatto maggiore: si parla di 767 milioni di tonnellate di materiali dispersi durante i processi di produzione tra Asia e America Latina.
In Europa, la filiera agroalimentare genera 80 milioni di tonnellate di scarti. E, nel complesso, i ricercatori del CNR evidenziano come la quantità di rifiuto è sistematicamente più significativa di quella al consumo, rispetto al quale, soprattutto in Europa e in Italia grazie alla legge Gadda, si sta già correndo ai ripari.
Quali sono i rifiuti più inquinanti?
Come già accennato, inoltre, la gestione poco efficace degli scarti contribuisce ad aumentare l’inquinamento ambientale. È il caso, per esempio, dell’olio vegetale utilizzato in cucina, ma anche degli allevamenti intensivi che, secondo i dati FAO, sono responsabili del 14,5% delle emissioni di gas serra su scala globale. Un dato confermato anche da alcune recenti rilevazioni dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (ISPRA), che ha analizzato l’insieme delle sostanze presenti nell’aria di dimensione inferiore a 100 micrometri, ovvero quelle che si ritiene siano più inquinanti. I risultati indicano che al secondo posto delle attività più dannose per la qualità dell’aria, in Italia, ci sono proprio gli allevamenti intensivi che complessivamente, nel corso degli anni, non hanno messo in atto strategie alternative per ridurre il loro impatto ambientale.
È importante ricordare, inoltre, come la sola pratica dell’interramento della paglia di riso abbia un pesante impatto ambientale. Si tratta, nello specifico, degli scarti della coltivazione del riso, coltura molto diffusa in tutto il mondo, ma soprattutto in Asia. A differenza di altri tipi di paglia, però, quella di riso non può essere impiegata come mangime e quindi è, di fatto, un rifiuto da smaltire. Potrebbe essere utilizzata per alimentare impianti a biomasse, ma molto più spesso viene semplicemente bruciata oppure, ancor peggio, interrata. Queste pratiche, però, sono fortemente inquinanti e contribuiscono all’aumento di emissioni di Anidride carbonica a livello globale. Una scelta fatta dagli agricoltori per non sostenere delle spese, ha però un impatto potenzialmente devastante sull’ambiente.
Biomasse, cosa sono e come possono essere impiegate per produrre energia
Gli impianti a biomasse sono una prima soluzione, ecologica, che potrebbe unire l’esigenza di uno smaltimento sostenibile dei rifiuti e quella della trasformazione degli scarti del settore food in energia. In particolare, le “biomasse” sono materiali di origine biologica che, generalmente, vengono scartati. È il caso, per esempio, della legna da ardere, paglia e rami, liquidi reflui degli allevamenti, alghe e anche scarti alimentari. Attraverso l’impiego della tecnologia, questi materiali possono trasformarsi in combustibili o anche direttamente in energia elettrica e termica.
Le modalità di produzione dell’energia variano sulla base dei materiali che danno origine alle biomasse e, in alcuni casi, possono essere utilizzate in centrali apposite che solitamente producono energia per combustione, pirolisi oppure gassificazione.
Sebbene si tratti di un metodo di produzione dell’energia “pulito” ed ecologico, esistono alcuni limiti alla diffusione dell’impiego delle biomasse. In particolare, la necessità di spazi molto ampi per poter estrarre l’energia, il bisogno di grandi quantità di scarti e la difficoltà a produrne con costanza durante tutto l’anno. Resta, comunque, una strategia particolarmente efficace per i paesi in via di sviluppo dove, come anticipato, vengono prodotte grandi quantità di rifiuti, anche organici.
Per quanto riguarda l’Europa, invece esiste un dossier preparato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) che sottolinea come sia necessario elaborare una strategia di sfruttamento sostenibile delle biomasse: il rischio è di provocare ulteriori danni ambientali che renderebbero meno vantaggiosa e orientata al futuro questa specifica modalità di applicazione dell’economia circolare.
Nel 2010, sempre secondo i dati dell’EEA, le biomasse hanno fornito il 7,5 % dell’energia dell’UE e si immagina che questa percentuale toccherà il 10% entro il 2020, trainata soprattutto da Francia, Germania, Spagna, Romania e Italia, considerati i paesi a maggior potenziale bioenergetico.
Dallo scarto all’energia: come applicare l’economia circolare all’agrifood?
Secondo gli esperti, le aziende della filiera agroalimentare dovrebbero percorrere anche un’altra strada: dovrebbero, cioè, investire in interventi che rispecchiano i principi dell’economia circolare, nei diversi settori di applicazione. Il CNR ha studiato alcune soluzioni per le aziende che producono succhi di frutta, riso, formaggi, pane, prodotti da forno, pomodoro e vino. L’obiettivo è estrarre composti bioattivi per poter, poi, realizzare additivi alimentari, composti nutraceutici, ingredienti cosmetici, come ipotizzato dai ricercatori dell’Università di Bolzano a proposito degli scarti del caffè. Tuttavia, si immagina di poter realizzare anche prodotti chimici e materiali plastici biodegradabili, nonché valorizzare alcuni progetti che già sfruttamento le biomasse.
Un carburante a base d’olio
Un interessante esempio è il progetto, realizzato da Hera e Eni, per il riuso efficiente dell’olio vegetale scartato che viene raccolto in appositi centri di raccolta e poi inviato alla bioraffineria di Venezia. Qui, l’olio esausto viene trasformato in “green diesel”, ovvero un composto rinnovabile che va a costituire il 15% del carburante Eni Diesel+. L’azienda spiega, inoltre, che alimentare i mezzi con questa soluzione comporta una riduzione delle emissioni inquinanti, dei costi di manutenzione del motore e dei consumi pari a circa il 4%.
Gli scarti vitivinicoli negli impianti a biomasse
Altrettanto virtuoso è l’esempio dell’utilizzo degli scarti della filiera del vino per alimentare gli impianti a biomasse. Ogni anno, la potatura delle viti produce circa 2 tonnellate di scarti per ettaro di vigna, a cui si aggiungono le 8 milioni di tonnellate di vinacce e 2,2 milioni di ettolitri di fecce. Tutto ciò può essere utilizzato, come viene fatto da alcune distillerie, per alimentare impianti a biomasse che sfruttano questi materiali di origine organica, e di scarto, per produrre energia che può essere, a sua volta, impiegato per alimentare la filiera. Si innesca così un processo virtuoso che ben rappresenta l’idea di economia circolare.
Conoscevate questi progetti e l’importanza delle strategie alternative di produzione dell’energia attraverso il cibo?