Biologico, chilometro zero, filiera corta e Catalano

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L’università di Stanford ha pubblicato uno studio che dichiara che “tra prodotti organici e convenzionali non c’è differenza se si considerano gli effetti sulla salute”. Non ci sarebbero differenze sulle vitamine, le proteine, la presenza di batteri; il 30% in meno di pesticidi rilevati non offrirebbe benefici significativi. La ricerca dell’Università di Stanford pare confermi, quindi, quella già nota della Food Standards Agency inglese di tre anni fa.

Dal 4 settembre, giorno dei lanci giornalistici, si è aperta una vivace discussione sulla stampa, sui siti internet, sui social network. Provo a sintetizzarne le maggiori direttrici.

  1. La ricerca conferma una sensazione ormai largamente diffusa: il biologico (che spesso, fra l’altro, è solo un convenzionale con un po’ meno pesticidi di altri convenzionali) non sarebbe la panacea dei mali dell’agricoltura e dell’alimentazione. Il suo alto costo non sarebbe giustificato e in questo mercato sono molto diffuse speculazioni e  rendite di posizione.
  2. La ricerca è stata riportata male dai giornali. In realtà l’Università di Standford direbbe si “che in letteratura manca una forte evidenza che i prodotti biologici siano significativamente più nutrienti di quelli convenzionali” ma anche che “il consumo di prodotti biologici può ridurre l’esposizione a residui di pesticidi e batteri resistenti agli antibiotici.”
  3. La ricerca fa solo gli interessi delle industrie chimiche che vogliono vendere i pesticidi.
  4. La scienza va bene ma esiste anche il buon senso. E il buon senso ci dice che è meglio consumare un prodotto biologico che uno convenzionale, anche se la scienza dice che pari sono per quanto riguarda gli effetti sulla salute. E che bisognerebbe non solo consumare biologico, ma anche biologico freschissimo, cioè colto il giorno stesso del consumo. Se il prodotto biologico freschissimo costa troppo non è a causa di speculazioni dei produttori e dobbiamo imparare a rinunciare ad altro e a non risparmiare sulla spesa alimentare. Per il bene anche dell’agricoltura e dell’ambiente.

verdura biologicaIl mio pensiero? Io penso che il mondo dell’agricoltura e dell’alimentazione abbia una complessità che non è riducibile alle nostre ideologie, fedi e piccole manie. Norman Borlaug vinse il premio Nobel per la pace nel 1970 per la rivoluzione verde, che ha consentito di ridurre le carestie salvando miliardi di persone dalla denutrizione. Però, si sa, la rivoluzione verde ha anche causato problemi alla terra e all’ambiente. Cosa dovremmo fare? Tornare alla zappa? Lasciare che aumentino i morti per fame?

Faccio un altro esempio. Anch’io preferisco un biologico di giornata a un prodotto convenzionale che è stato tre mesi in frigorifero e che ha fatto migliaia di chilometri per arrivare in negozio. Ma questa è una catalanata. Cos’è una catalanata? Nel programma Quelli della notte di Renzo Arbore c’era un personaggio – Massimo Catalano – che proponeva massime del tipo “è molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati.”  banco di verdura al mercatoQuando uno dice una catalanata vuol dire che ha impostato male il problema. Perché non si tratta di dividersi tra chi vorrebbe essere povero, vecchio e malato e chi vorrebbe essere ricco, giovane e sano: se c’è qualcuno che preferisce essere povero vecchio e malato potendo essere ricco, giovane e sano alzi la mano. Si tratta, tornando al nostro problema, di vedere come possiamo garantire un biologico di giornata a tutti o quasi a tutti, non certo di dividersi tra fautori del biologico freschissimo e quelli del convenzionale marcito; o si tratta di capire se esistono vie intermedie più razionali, ugualmente salutari e meno costose, rispetto al tutto biologico freschissimo.

Ci sono molti posti nel mondo (e anche in Italia) dove la varietà della nostra alimentazione non sarebbe possibile se mi impongo di mangiare solo prodotto biologico colto il giorno stesso e magari davvero tipico.  O che costerebbe troppo per le mie tasche. Io però ci penserei due volte prima di dire che bisogna spendere di più per l’alimentazione e rinunciare ad altri consumi. Perché? Perché in un articolo di qualche settimana fa ho parlato di insopportabile elitarismo di certe affermazioni sul cibo e questa é proprio una di queste. Senz’altro tutti gli italiani sarebbero disposti a spendere di più per avere prodotti di migliore qualità: ma non tutti se lo possono permettere.

carote biologiceDavvero qualcuno può pensare che sia facile rinunciare ad altro per comprarsi il costoso biologico di giornata? La percentuale dei consumi alimentari sul totale delle spese varia dal 12% per le famiglie più ricche al 30% per quelle più povere. Quando una famiglia arriva a spendere il 25-30% del proprio reddito in alimentari e bevande è al limite. Non può certo rinunciare ad “altro” perché l’altro è il mutuo, la benzina per andare al lavoro eccetera. Chi ha un reddito di 600-700 euro al mese va al discount non perché è un ignorante che non capisce la differenza tra una carota biologica e una convenzionale ma perché l’euro di differenza tra i due prezzi gli crea problema. Se ci interessiamo solo alla tavola dei ricchi e dei benestanti, affermare che si può rinunciare a un giretto in barca per comprare prodotti di qualità, va benissimo (anche se lor signori, molto probabilmente, si possono permettere entrambe le cose). Se invece ci interessa che il miglior prodotto possibile giunga sulla tavola di tutti dobbiamo fare un altro discorso. Dobbiamo imparare a indignarci (sterilmente) di meno e a studiare di più. A non volere l’impossibile ma il possibile. A stanare, dietro i grandi ideali, la bassa speculazione. Anche a costo di perdere un po’ di (cattiva) poesia: e scoprire, per esempio, che molti prodotti che riteniamo tipici e originari delle nostre terre sono di recente importazione e manipolazione genetica.

campo agricoloC’è una grande confusione sui concetti di biologico, chilometro zero, filiera corta. Cosa è meglio per la mia salute e per quella dell’ambiente? Una carota biologica (che però non è completamente priva di pesticidi) che proviene dalla Danimarca o una carota convenzionale che proviene da un campo della mia provincia, magari trattata con il sistema della lotta integrata? I danni causati dall’inquinamento del trasporto dalla Danimarca al mio supermercato è maggiore o minore dei danni causati dai pesticidi usati nel campo della mia provincia? E se la carota della Danimarca fosse a filiera più corta di quella della mia provincia?
Mi piacerebbe chiarire insieme a voi questi concetti. E continuare la ricerca di pratiche alimentari possibili, salutari e a basso costo per le tasche dei consumatori. In attesa dei vostri commenti tenterò di leggere la ricerca dell’Università di Standford in originale. Se ci riesco prometto che la divulgherò il più onestamente possibile.

A presto.

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