Passeggio ai Giardini della Biennale Arte a Venezia ed entro in un uovo. È dentro il padiglione giapponese, un’opera architettonica di grande bellezza disegnata da Takamasa Yoshizaka, ed è evocativo, dice il cartello all’ingresso, del museo a crescita illimitata di Le Corbusier. Già qui non capisco molto. Ma il cartello insiste: l’architetto Fuminori Nosaku (è uno nuovo? Da dove salta fuori?) combina la particolarità architettonica del padiglione con la selezione eterogenea dei lavori (i suoi?) allo scopo di offrire una esperienza spaziale integrata.
Biennale Arte: a Venezia l’arte al centro del mondo
Una volta dentro, cambia tutto: un certo Taro Yasuno (il terzo artista della compagnia, evidentemente) presenta una composizione evocativa del canto degli uccelli. Non vedo uccelli, non sento cinguettii: l’evocazione evidentemente è molto profonda. Finalmente però c’è un cartello che mi illumina. Recita: il titolo della esposizione è Cosmo-eggs, Uovo Cosmico, e si ispira ai vari riti cosmogonici del mondo inerenti alla nascita di umano e non umano dall’uovo primordiale.
L’uovo primordiale! Fantastico. C’era un filosofo, anni fa, del gruppo di Renzo Arbore, Riccardo Pazzaglia, teorizzatore del brodo primordiale, che riproponeva la eterna domanda filosofica: meglio un uovo oggi o una gallina domani? Mi piacerebbe potesse dialogare con Toshiaki Ishigura (un altro) che ci rassicura dicendo che se osserviamo bene le opere del padiglione potremo sviluppare una nuova allegoria mitopoietica che riconsideri la relazione uomo-natura.
Esco rinfrancato ma barcollante e chissà perché vado subito al padiglione francese. Un’avventura nel mondo, un trekking, un’esperienza estrema. Per entrare bisogna attraversare un universo liquido e tentacolare organizzato intorno a una riflessione sulle nozioni di generazione e identità. Preparatevi bene, se ci andate. Superati i tentacoli mi sono trovato davanti a uno schermo cinematografico: e a un film dove si schiacciano uova. Ancora l’uovo primordiale! Ma questa volta l’esperienza è dura, direi finale, non primordiale come quella giapponese. Guardo cinque minuti di uova schiacciate da automobili, scarpe, qualcuna anche presa a bastonate, se non ricordo male, e decido di abbandonare l’esperienza.
[elementor-template id='142071']Fatico a uscire. Ci sono diverse opzioni, corridoi, tranelli. Ma ce la faccio. Vorrei un po’ di pace e entro nella casa empatica, ovvero il padiglione uruguagio. Un’oasi di pace, serena, pulita, razionale. Confortante, con i suoi quadri chiari, belli e i significati semplici e riconoscibili che ti parlano dalle pareti. Ma non so se perdonare l’iconografia della brochure di presentazione, dove una figura geometrica rettangolare è punteggiata da dieci segni circolari. Dieci uova?
Ne ho abbastanza e me ne vado. Non prima però di raccomandarvi di non mancare alla 58° esposizione internazionale d’arte. Ho scherzato, ironizzando su questi tre padiglioni: la mostra è bellissima e non si può non andare. La Biennale d’arte di Venezia è, secondo me, il luogo che nel mondo aiuta più di tutti a intuire le tendenze del nostro futuro, estetiche e etiche. Non a caso è frequentato, in grande maggioranza, da giovani con meno di trent’anni; non a caso ha una risonanza internazionale che non ha nessuna altra manifestazione del genere. Alla Biennale d’arte si è al centro del mondo. Potete ancora vederla a Venezia, ai Giardini e all’Arsenale, fino al 24 Novembre 2019.