Il mercato dei vini italiani contraffatti vale 2,7 miliardi di euro, pari al 7% delle vendite, secondo i dati 2018 dell’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (Euipo) e del rapporto Ocse sul commercio dei beni contraffatti. Come accade per moltissimi altri prodotti agroalimentari, anche quelli vitivinicoli sono oggetto di frode ma, se il volume di questi affari sporchi cresce di continuo, aumentano anche i sistemi per proteggere il settore e tutelare sia i produttori che i consumatori. Il mese scorso, infatti, in occasione della conferenza MS-WineDay è stata presentata la prima banca dati isotopica privatistica dei vini a livello nazionale, uno strumento sviluppato per garantire più facili verifiche sull’autenticità dei prodotti. Vediamo come funziona.
[elementor-template id='142071']Banca dati isotopica, un nuovo strumento per proteggere il vino italiano
La banca dati isotopica è nata dalla collaborazione tra Fondazione Edmund Mach e Unione Italiana Vini. La sua funzione è garantire che i prodotti vinosi siano autentici e che venga rispettate, nella loro produzione, conservazione e distribuzione, la normativa vitivinicola. In questo modo sarà possibile offrire maggiori garanzie, rispetto a quelle esistenti, negli scambi commerciali nazionali e internazionali.
Per comprendere il funzionamento della banca dati, dobbiamo partire da una premessa:come è noto, ogni vendemmia ha delle specifiche caratteristiche, per esempio delle particolari variazioni climatiche, che influenzano l’annata di vino che verrà prodotta e gli conferiscono aspetti particolari e riconoscibili. A seconda dei microelementi che l’uva assorbe durante la sua crescita, così come in funzione dell’altitudine a cui si trova il vigneto, il prodotto finale: in esso, oltre alle differenze riscontrabili a livello organolettico, si osservano delle variazioni dell’abbondanza isotopica di carbonio, idrogeno e ossigeno.
Quali fattori influenzano la presenza di questi isotopi? Per l’ossigeno, per esempio, in primis l’altitudine e la latitudine, ma i livelli variano anche a seconda della cultivar. Conoscere queste informazioni, raccoglierle attraverso un organismo certificato e attendibile, e poterle consultare è quindi di grande aiuto per combattere la contraffazione dei vini, perché in questo modo si può risalire all’annata in maniera univoca e inequivocabile. La banca dati, quindi, raccoglie e immagazzina tutte le informazioni relative alla presenza degli isotopi in una particolare area geografica e deve essere aggiornata di anno in anno. Per verificare la corrispondenza dei parametri del vino con quelli dell’annata a cui dovrebbe corrispondere, gli addetti possono consultare la banca dati, in modo da ricevere, così, l’assicurazione che si tratti proprio di quel prodotto e non di un altro, che non sia stato annacquato o alterato in alcun modo.
Quali tecnologie contro la contraffazione agroalimentare?
La banca dati isotopica del vino è uno dei mezzi per combattere il fenomeno della contraffazione in ambito agroalimentare; in quest’ottica, negli ultimi anni, la tecnologia sta contribuendo in modo rilevante alla messa a punto di strumenti che siano in grado di garantire e certificare i prodotti, così come di smascherare le frodi. Avevamo parlato di recente, per esempio, del test ideato dall’Università di Piacenza per scoprire il falso Grana Padano, ma anche del dispositivo SafeFood progettato dall’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, un sistema per il controllo del cibo che funziona grazie alla spettroscopia laser fotoacustica.
Un’altra grande innovazione è l’applicazione della tecnologia blockchain al mondo vitivinicolo e agroalimentare. È nata in ambito finanziario, con le criptovalute (come i Bitcoin, per esempio), ma il suo potenziale è ancora tutto da sfruttare, nei settori più disparati. Di cosa si tratta? La blockchain, il cui nome significa “catena di blocchi”, consiste in un database di informazioni suddivise in pacchetti, criptati e distribuiti su una rete. Non è possibile alterare la sequenza cronologica dei dati, quindi essi, una volta registrati, restano immutati e immutabili. L’attendibilità di questa tecnologia è tale che la blockchain è stata spesso paragonata alla scrittura su pietra, che non può essere cancellata: offre notevoli sicurezze, quindi, che risultano molto utili anche nel settore dell’agrifood, e che aiuterebbero la tracciabilità dell’intera filiera, con garanzie sempre maggiori per il consumatore.
La blockchain ha già trovato alcune applicazioni anche nel settore vitivinicolo: My Story™, per esempio, è un sistema sviluppato da Dnl Gl, un ente di certificazione internazionale che oggi opera in più di 100 Paesi, e che è stato applicato a tre vini di tre diverse cantine italiane per garantirne la tracciabilità e la sicurezza. Per verificare informazioni come origine geografica, sostenibilità, e molto altro ancora, è sufficiente inquadrare il codice a barre della bottiglia di vino attraverso la fotocamera dello smartphone, dopo aver effettuato l’accesso all’app.
Avete già sentito parlare della banca dati dei vini italiani e delle nuove tecnologie che vengono utilizzate per combattere le frodi agroalimentari? Cosa ne pensate?