“Noi non sapevamo nemmeno cos’era l’Asado”.
C’è un luogo in Italia, sospeso tra Liguria e Toscana, non troppo lontano dal confine emiliano, dove si mangia comunemente un piatto argentino: l’Asado. È Piana Battolla, quasi Lunigiana, paese da cui molte persone sono emigrate in Argentina, a cercar fortuna dopo la guerra, tra terra e edilizia, fino ai tempi di Perón, in particolare a Buenos Aires. Qui hanno assorbito la cultura e la tradizione dell’Asado, e l’hanno portata in Italia negli anni Sessanta durante le migrazioni di ritorno, rendendola una vera e propria istituzione gastronomica locale (insieme all’usanza di bere mate, che però nel tempo si è un po’ persa). Anche se ci sono varie ipotesi su chi sia stato il gaucho che originariamente diffuse questo piatto a Piana Battolla, (c’è chi dice Tony, chi dice Maria), quel che conta è che l’Asado racconta un pezzo di storia importante, di quegli italiani che sono partiti e emigrati sì, ma con il pensiero costante di far ritorno a casa un giorno, perché come ci ha detto un pianabattolese “nel quartiere dove stavamo parlavamo pianabattolese e non vedevamo l’ora di ritornare perché alla fine l’italiano vuole morire a casa sua”.
[elementor-template id='142071']Asado: dall’Argentina a Piana Battolla
Come vi abbiamo già detto a proposito della cucina argentina, l’Asado non è un taglio di carne ma un metodo di cottura molto comune in tutto il Sud America. Solo che contrariamente a quel che generalmente si pensa, non si usa solo per la carne, ma anche per il pesce. La parola stessa significa proprio “cotto alla griglia”, cioè alla brace, a fuoco lento, secondo tecniche ben precise, che gli italiani hanno appunto imparato in Argentina e fatto proprie. In questa zona di confine tra Liguria e Toscana si è diffusa la versione con la carne, sia a Piana Battolla, che in altri paesi quali Chiavari e Lavagna, anche qui diffuso come risultato di migrazioni di ritorno, seppur con qualche differenza con quello pianabattolese, in quanto è o senza osso e con molte più spezie.
L’Asado di Piana Battolla
A Piana Battolla si prepara l’Asado principalmente con la costata di manzo o di vitello (più raramente la pancia), cotta con sale e pepe, posta con la brace tutta intorno, su carbone argentino, per ore. L’Asado, infatti, si caratterizza proprio per i suoi tempi di cottura estremamente lunghi, visto che per la sua preparazione ci vogliono almeno sei ore. “Ingredienti a parte, ci vuole soprattutto pazienza!”, ci ammoniscono i pianabattolesi.
Forse, le parole migliori per descrivere l’Asado sono quelle ritrovate in una lettera di un emigrato dei primi del ’900, che spiega sapientemente il procedimento di cottura: “Per terra c’era una grossa buca con dentro della brace…sui bordi della buca ci apogiamo una grada di ferro che pare quella che ci secano le castagne…poi ci metono dei grossi pezi di carne di scaramela di manzo con l’ osso dalla parte del disotto e la carne si volta e cuoce piano piano…”.
Oggi si mangia anche nelle case, in occasione di feste o serate conviviali tra amici, perché così è stato tramandato da una generazione di migranti all’altra; l’importante è avere una brace e uno spazio all’aperto.
Il Cimiciurri: la salsa segreta
In abbinamento all’Asado non deve mai mancare tassativamente il cimiciurri o cimichurri, una salsa dalla ricetta segreta, tipicamente argentina. Ognuno ha la sua personalissima versione, ma gli ingredienti principali sono: aglio, prezzemolo, maggiorana, salvia, rosmarino, olio, aceto caldo e zenzero, schiacciati e consumati al momento. Attenzione però, perché lo zenzero non è quello che si intende comunemente, ovvero la pianta dell’Estremo Oriente, ma qui corrisponde al peperoncino, secondo il nome comune utilizzato dagli anziani del posto.
Trattoria Mileo dal 1922
Il punto di riferimento per mangiare l’Asado in zona, ogni sabato e tutto l’anno, è senza dubbio la Trattoria Mileo, una storia tutta da raccontare, in quanto luogo testimone di tutti i cambiamenti che nel tempo hanno trasformato le strade, modificato il paesaggio e insieme le abitudini. Come recita l’insegna, tutto ha inizio nel 1922 quando Emilio, detto Mileo, che ai tempi “aggiustava i vini”, cioè faceva l’enologo, con sua moglie Erminia acquista quella che allora era una farmacia e la trasforma in una merenderia; in passato, infatti, non si andava al ristorante, ma si facevano le merende, con vino, formaggi e anguille, vista la vicinanza sul fiume. E da Mileo era proprio il posto perfetto, il classico punto di passaggio sul pontile dove ci si imbarcava per attraversare il Vara, il fiume. Dopo il 1973, con la crisi petrolifera, l’industrializzazione e l’aumento dei lavori commerciali, Mileo inizia lentamente a trasformarsi in un vero e proprio ristorante, anche grazie all’inserimento in brigata dei figli Sergio, Anita e Amelia.
Oggi la Trattoria da Mileo è gestita dai nipoti Gianni e Emilio, rispettivamente con le loro mogli Norma e Lucilla. Negli anni non ha smesso di accogliere, con una cucina verace e sincera, sempre di qualità, nota nei dintorni non solo per l’Asado, ma anche per ravioli, testaroli, tortelli e secondi di carne. Ma soprattutto, nel tempo, è passato da luogo di passaggio, a punto fermo di ristorazione conviviale dove invece si va appositamente; eccome!
50 anni di Sagra
Proprio quest’anno, infatti, nell’agosto del 2018 la Sagra dell’Asado di Piana Battolla è giunta alla sua cinquantesima edizione: cinquant’anni di carni alla brace, di ricordi dei tempi in Argentina, di musiche e di balli, di tango, ovviamente. La festa dura una settimana, anche se l’Asado, per i suoi lunghi tempi di cottura, si prepara solo due giorni, a cavallo tra Ferragosto e San Rocco, quando spesso, anche in altri paesi, si festeggiano le migrazioni di ritorno.
E ogni volta, nei giorni dell’Asado, i più anziani vanno presto al bancone con le loro gavette per portarsi a casa un pezzo di carne, che altro non è che un pezzo della loro storia.
Se siete in zona, non perdetevi la Trattoria Mileo e la Sagra, ma assaggiate anche i testaroli e gli altri prodotti che questa terra meravigliosa, la Lunigiana, sa regalare.
La conoscete già?
Foto: Stefano Triulzi