In una villa confiscata alla mafia, trova spazio un innovativo progetto che coniuga sociale, turismo, ristorazione e inclusione. Si chiama Artemisia Academy, e siamo nel quartiere Santo Spirito di Bari dove oggi esiste un bistrot, un eco-ostello e uno spazio per eventi, all’interno del quale giovani neo maggiorenni italiani o stranieri non accompagnati svolgono una formazione gratuita nel settore Horeca. Un percorso lungo un anno che permette loro di iniziare da subito a costruire il proprio futuro. Ne abbiamo parlato insieme al coordinatore del progetto, Nicola De Filippis.
Artemisia Academy: un bistrot sociale in una villa confiscata
Villa Artemisia era il quartier generale del clan Lanzarotto ed è stato uno dei primi, e principali, beni confiscati alla criminalità organizzata già all’inizio degli anni Novanta. Oggi è gestita da una cooperativa sociale che si chiama C.A.P.S. (Centro Aiuto Psico-Sociale) e dal 2019 ha preso il via Artemisia Academy.
Ciò che colpisce del progetto è la sperimentazione di un mix di azioni che abbraccia ambiti distinti: sociale, turismo, ristorazione, supporto psicologico, formazione lavorativa. Qui, infatti, un gruppo di sei giovani può trovare un’opportunità di crescita e un sostegno per superare condizioni di difficoltà. I ragazzi prendono parte a un percorso della durata di 12 mesi durante i quali abitano all’interno degli spazi della villa, gestiscono le attività ristorative, imparano a conoscere i segreti del settore, ma non soltanto.
“Per un anno, Artemisia per i ragazzi è casa-bottega” spiega De Filippis. “Il percorso parte da una presa in carico di tipo sociale che può portare, per esempio, alla regolarizzazione della posizione legale, all’implementazione dell’integrazione, ma anche allo svincolo da realtà familiari complesse. Parallelamente c’è anche una presa in carico di tipo psicologico e formativo. L’obiettivo del progetto è fornire, alla fine del percorso, a sei ragazzi ogni anno strumenti per poter abitare e lavorare in maniera autonoma e indipendente.”
[elementor-template id='142071']La ristorazione come strumento di integrazione
Non è un caso che il percorso di inclusione e integrazione sociale passi attraverso lo sviluppo di competenze teoriche e pratiche del settore Horeca. “Abbiamo studiato il settore e la letteratura” spiega De Filippis, “la ristorazione è un importante serbatoio di inserimento lavorativo. Tant’è che tutti i ragazzi che hanno partecipato fino ad ora a Artemisia Academy hanno effettivamente trovato lavoro.”
Raggiungere l’obiettivo non è semplice. Per questo, il percorso dei ragazzi in Artemisia è sviluppato su più piani. La formazione è sia teorica sia pratica: durante l’anno del progetto, i giovani lavorano nel bistrot e nel bed & breakfast aperto al pubblico. “La parte di apprendimento è formulata su un programma individualizzato e prevede tirocini retribuiti. Quest’ultimo aspetto è fondamentale perché, parallelamente, li seguiamo per stabilire un piano di risparmio. Una volta conclusa la presa in carico, i ragazzi escono con un lavoro e la necessità di affittare una casa, per cui avere da parte dei soldi è utilissimo.”
Oltre alle basi di un’educazione di tipo finanziario, il progetto prevede anche incontri con le rappresentanze sindacali per imparare e approfondire diritti e doveri dei lavoratori per poter riconoscere una situazione lavorativa futura legale. “Non pensiamo solo alla trasmissione di competenze, ma anche alla comprensione dei processi all’interno del mondo lavorativo che hanno scelto.”
Il cibo è ciò che crea l’incontro
I percorsi di Artemisia si nutrono della relazione tra i tirocinanti, il personale e il pubblico. “A tutte le persone che vengono qui o partecipano agli eventi diciamo sempre: Artemisia ha bisogno dei cittadini baresi e i baresi hanno bisogno di progetti così. È nella reciprocità che si crea il terreno fertile per il successo dei processi sociali” commenta De Filippis.
E proprio dalla relazione con il territorio che nascono anche i menù e le proposte enogastronomiche di Artemisia. Qui vengono servite eccellenze del territorio con il capocollo di Martina Franca o il prosciutto di Faeto, a cui si affiancano ricette e sapori del Mediterraneo. Nella carta dei vini, invece, convivono vini pugliesi e vini provenienti da altri territori confiscati alle mafie. “Organizziamo anche diverse visite formative nelle aziende della zona per imparare a conoscere meglio i prodotti tipici e altri passaggi della filiera” racconta il referente.
La relazione con la città è, dunque, importante e si sviluppa su più piani: quello dell’ospitalità, quello del cibo e del bere, ma anche quello degli eventi. Lo spazio di Artemisia ospita spettacoli, presentazioni di libri, dibattiti: “crediamo che il nostro spazio faccia parte della storia della città e proprio perché confiscato alla criminalità organizzata è fondamentale che ci sia una restituzione alla collettività.”
Incontro, dialogo, formazione sono tutti elementi che in Artemisia hanno una dimensione concreta e restituiscono valore non soltanto al futuro dei tirocinanti che sono parte attiva del progetto, ma anche all’intera comunità. Un incontro possibile proprio grazie al cibo e alla sua capacità di abbattere le barriere e legare le persone.
Immagine in evidenza di: Artemisia/facebook.com