Ebbene sì, vogliamo nuovamente parlare di farmaci negli allevamenti. Dopo aver affrontato il tema della resistenza agli antibiotici e le conseguenze per la salute dei consumatori, vorremmo capire qual è la situazione in Italia e come vengono utilizzati nei nostri allevamenti, sentendo il parere di due soggetti competenti nel settore. Abbiamo infatti intervistato Carni Sostenibili, progetto legato allo studio dell’impatto ambientale del consumo di carne, e l’azienda Fileni, leader nella produzione biologica. Ecco cosa ci hanno detto!
Normative europee sull’utilizzo dei farmaci… e l’Italia?
Partiamo da una premessa sulla normativa europea in tema di farmaci e utilizzo degli antibiotici. La realtà nel vecchio continente è fortunatamente diversa da quella americana, più indagata e comunicata. In Europa le quantità massime consentite di antibiotici e farmaci negli allevamenti sono inferiori rispetto agli Stati Uniti e l’utilizzo è limitato al solo fine curativo. Il tema è molto sentito e l’attenzione è continua, per questo l’UE si sta dotando di nuove leggi per supportare la lotta alla resistenza antibiotica. Se in Usa e Canada la somministrazione di ormoni della crescita è tuttora consentita, in Italia non è più permessa dal 1981.
Ma meglio non adagiarsi troppo sugli allori! Secondo i dati forniti da ESVAC sull’utilizzo di antibiotici negli allevamenti, noi italiani siamo il terzo maggiore utilizzatore dopo Cipro e Spagna, e ne utilizziamo in quantità maggiori rispetto ad altri paesi di dimensioni simili al nostro (il doppio della Francia, il triplo del Regno Unito). È di questi giorni la notizia che, nonostante si sia registrato un calo tra il 2010 e il 2014 del 25%, l’utilizzo di antibiotici in Italia dal 2013 al 2014 è aumentato.
La parola agli esperti
Sia Lara Sanfrancesco per Carni Sostenibili, Direttore Unaitalia, che Leandro Giusti, Responsabile tecnico veterinario di Fileni, confermano che in Italia gli antibiotici vengono utilizzati solo a scopo terapeutico. Lara Sanfrancesco spiega che: “Il trattamento con gli antibiotici si esegue principalmente per due motivi strettamente interconnessi tra di loro. Uno è la sanità animale, ovvero la necessità di garantire la salute degli animali tramite la lotta alle malattie ed il trattamento degli animali malati, e l’altro è il benessere animale, ovvero la necessità di garantire a tutti gli animali la libertà dalle malattie e dalle sofferenze che queste comportano”.
Insomma ci sono casi in cui gli antibiotici devono essere utilizzati. Ma per rassicurarci vi riportiamo quanto riferito da Leandro Giusti. “Dopo la somministrazione di un trattamento antibiotico in allevamento deve essere rispettato il cosiddetto periodo di sospensione, durante il quale l’animale non viene macellato, per garantire l’assenza di residui di farmaco nel prodotto finito e quindi nella tavola dei consumatori”. Sanfrancesco ci informa che “per quanto riguarda il benessere animale, la Comunità Europea è stato il primo legislatore mondiale che si è dotato di un’articolata normativa per la protezione degli animali, sia da reddito che da compagnia, in ogni fase della loro vita. L’approccio attualmente condiviso e applicato dai più importanti Organismi sovranazionali, sia politici che sanitari, è quello del One Health. Principio secondo cui si riconosce che la salute degli esseri umani è profondamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente, incentivando iniziative che tutelino questo legame”.
Come funzionano i controlli in Italia?
Se la normativa sull’utilizzo dei farmaci è precisa e avanzata, quanto sono efficaci e seri nella realtà dei fatti i controlli? Sanfrancesco per Carni Sostenibili ci ha risposto che “gli allevatori italiani sono sottoposti a rigidissimi controlli sul rispetto delle normative riguardanti il benessere animale, l’utilizzo del farmaco e tutti gli aspetti correlati all’attività allevatoriale dalle Autorità Competenti”.
Giusti di Fileni, ci spiega che “i controlli del servizio veterinario aziendale hanno frequenza settimanale e sono previsti controlli dei veterinari ASL, senza preavviso, ad ogni ciclo produttivo. Inoltre gli allevatori controllano quotidianamente che gli animali siano in salute e che non insorgano particolari problematiche tecniche”.
Costi di allevamento e benessere animale
Ho sempre pensato che ci sia un legame tra costi di allevamento, scelte dei consumatori, dettate dalla loro possibilità di spesa, e benessere animale. Per cui, se il consumatore ha una limitata capacità di spesa, l’allevatore deve vendere ad un prezzo basso, che per lui vuol dire risparmiare nei costi, trascurando magari aspetti sostanziali come il benessere animale.
Gli esperti intervistati non sembrano, però, d’accordo. Sanfrancesco ritiene che “la normativa sul benessere animale, che comprende norme di carattere comunitario e nazionale, deve essere applicata da chiunque svolga l’attività di allevamento, quindi a prescindere dalla sua capacità di sopportarne i costi o da una valutazione della possibilità di spesa dei consumatori”. Giusti sottolinea il fatto che le buone pratiche ripagano, per cui “più si presta attenzione al benessere degli animali e minori sono i costi di allevamento in quanto si risparmia su eventuali trattamenti farmacologici o interventi di cura”.
Farmaci e allevamenti biologici
Incuriositi dal peso che il biologico ha saputo guadagnarsi nel mercato, ci siamo concessi qualche domanda più specifica sulla produzione bio, per capire se può effettivamente assicurare all’animale migliore qualità di vita e al consumatore maggiore qualità del prodotto.
Restando nel tema farmaci,negli allevamenti biologici si utilizzano antibiotici? Esistono alternative? Come spiega Lara Sanfrancesco, “il ricorso all’antibiotico è ammesso solo in caso di comprovata necessità e con al massimo un intervento in 12 mesi. Per il resto è favorito il ricorso a fitoterapici, omeoterapici, oligoelementi, in base alle stabilite da un regolamento comunitario”. Giusti aggiunge che “la prevenzione delle malattie si fa attraverso le buone pratiche di allevamento e l’attenzione alla biosicurezza”.
La carne bio è più buona?
Ma soprattutto chiedo: “Il pollo bio vive di più ed è più buono?”. Sia Carni Sostenibili che Fileni confermano che l’animale in allevamento biologico vive di più. Leandro Giusti: “il pollo biologico vive almeno 81 giorni, con la possibilità di razzolare all’aperto su ampi terreni biologici incontaminati nutrendosi di mangimi vegetali biologici privi di OGM, come orzo, mais, sorgo e grano”. Riguardo alla bontà naturalmente tutto è soggettivo. Come dice Lara Sanfrancesco, “da un punto di vista nutrizionale ed organolettico non vi sono differenze significative tra il pollo bio e quello non bio. Alcune differenze, che possono dipendere dalle modalità di allevamento o dal tipo genetico utilizzato, possono rendere le carni più o meno tenere o più o meno sode”.
Il futuro degli allevamenti: ricerca e innovazione
Per concludere, quali sono le prospettive future? Su cosa bisogna puntare per avere un prodotto sano per l’uomo e che garantisca il benessere animale? Entrambi individuano nella tecnica, nella ricerca e nell’innovazione la strada da seguire. Ottimista Lara Sanfrancesco, che sostiene: “Il percorso verso standard di allevamento sempre più efficienti ed attenti agli aspetti di sanità animale e sicurezza alimentare è in continua evoluzione. I progressi registrati nelle conoscenze scientifiche e nella tecnica di allevamento, l’evoluzione delle strutture e delle tecnologie ci consentono di affermare che oggi la qualità delle produzioni è nettamente superiore rispetto al passato. C’è da attendersi che nei prossimi decenni questo percorso potrà condurre ad ulteriori progressi. Aggiornamento e rinnovamento sono un impegno costante”.
Secondo Giusti, “i grandi produttori devono continuare a lavorare su tutti quelli che sono gli aspetti tecnici e di innovazione relativi agli allevamenti: dalla biosicurezza all’ampliamento delle reti di controllo, passando per un’attività costante di ricerca e sviluppo volta a garantire e migliorare il benessere animale. Per quanto riguarda invece i piccoli produttori, è necessario che passi il messaggio che quello dell’allevamento, al giorno d’oggi, è un mestiere che ha sempre più a che vedere con la tecnologia e l’innovazione. In questo senso è fondamentale che anch’essi si adeguino ai più avanzati standard di igiene e biosicurezza”.
Come si è visto nell’articolo sul libro Farmageddon, non si tratta di essere contro la carne o contro le multinazionali. Tenendosi lontani da schieramenti a priori, meglio informarsi sul sistema produttivo, sull’utilizzo di farmaci negli allevamenti e sul rispetto del benessere animale effettivo.