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Antibiotici negli allevamenti: l’Ue verso nuove regole

Potrebbero essere i batteri resistenti agli antibiotici a migliorare le condizioni degli allevamenti europei. È la paradossale strada aperta in agricoltura dal semestre Ue appena cominciato, quello a guida Olanda: tra le priorità annunciate dal ministro competente Martijn Van Dam c’è proprio la lotta alla resistenza antibiotica, e come rimedio principale è già stata indicata una drastica riduzione degli antimicrobici negli allevamenti del vecchio continente. A metà anno, dunque, una nuova legislazione in materia potrebbe tracciare una via diversa, molto più simile a quella intrapresa nel nord Europa che a quella battuta in Italia, dove nonostante i recenti miglioramenti la somministrazione è ancora elevata. La conferenza di inizio febbraio dei ministri agricoli dei Paesi aderenti alla Ue ha iniziato intanto a tracciare un percorso, che partendo dalle linee guida diffuse da Bruxelles qualche mese fa porti alla riduzione dei rischi creati dalla diffusione dei batteri.

 

L’Italia e l’abbuffata di antibiotici

Maiale antibiotici

Se in tema di agricoltura biologica, l’altro perno del semestre olandese, l’Italia può mostrarsi agli altri Paesi virtuosa, se si parla di antibiotici negli allevamenti si deve invece accomodare dietro la lavagna. Lo spiega sul suo sito Ciwf (Compassion in world farming) Italia, l’associazione che più si sta battendo nella campagna contro la somministrazione eccessiva dei medicinali negli allevamenti intensivi: “In Italia, il 71% degli antibiotici venduti (compresi quelli a consumo umano) è destinato agli animali. Siamo il terzo maggiore utilizzatore di antibiotici negli animali da allevamento in Europa (dopo Spagna e Germania), e il nostro uso è più alto di quello di altri paesi di simili dimensioni: (il doppio della Francia, il triplo del Regno Unito”.

I numeri parlano chiaro: secondo il rapportofirst joint report on the integrated analysis of the consumption of antimicrobial agents and occurrence of antimicrobial resistance in bacteria from humans and food-producing animals”, redatto nel 2015 da Ecdc, Efsa ed Ema, le agenzie europee che si occupano di infezioni, sicurezza alimentare e farmaci, in Italia nel 2012 sono state consumate 2155 tonnellate di antibiotici, di cui 1534 ad uso veterinario. Prima in Europa nel totale, terza a poca distanza da Germania e Spagna per somministrazione ad animali. E secondo un altro rapporto dell’Ema, stilato sulla base delle vendite di antimicrobici, il nostro Paese ha visto un calo sensibile dal 2010 al 2013 (da 427 a 302 milligrammi per chilo di animale allevato), ma mantiene il terzo posto.

 

I rischi

Sono già nei numeri: si stima che ogni anno nell’Unione europea le infezioni resistenti ai pazienti provochino oltre 25mila morti e un danno economico di 1,5 miliardi di euro.  Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è potenzialmente uno dei pericoli più grossi per la salute della popolazione mondiale. In Italia la somministrazione eccessiva, nell’uomo come negli animali, porta all’aumento delle resistenze batteriche di specie che possono diventare mortali come il micobatterio della tubercolosi o lo stafilococco aureo resistente alla meticillina, già individuato come responsabile ogni anno di migliaia di morti in ospedale. Ebbene, la somministrazione negli allevamenti di antimicrobici non per curare malattie ma per accelerare la crescita favorirebbe il nascere delle resistenze.

 

Le prospettive

In Italia, dove come nel resto d’Europa non si possono utilizzare antibiotici in campo veterinario se non per uso curativo, si sta cercando di correre ai ripari – ma sinora senza risultati apprezzabili se non un calo delle vendite (cui non corrisponde però un calo dei consumi) -, e per questo sono state varate sul finire dello scorso anno delle linee programmatiche che dovrebbero fronteggiare l’emergenza, sulla base di dati raccolti in collaborazione con gli istituti zooprofilattici. Un lavoro che si prospetta lungo e faticoso, mentre altri Paesi vedono ormai i frutti delle regole che si sono dati: l’Olanda, per esempio, dove da oltre un lustro esistono dei livelli massimi di antibiotici somministrabili in allevamento. L’Europa proverà ora a strigliarla: dopo le raccomandazioni del 2011 e le linee guida del 2015, si attendono nuove misure.

 

Gli appelli

Tra i più efficaci e seguiti c’è quello lanciato da Ciwf. L’associazione è tra i fondatori della Alliance to Save our antibiotics, un’alleanza di gruppi di diversa estrazione che lavorano per fermare l’abuso: “Stiamo chiedendo all’Ue – scrive Ciwf – dei piani obbligatori per la riduzione dell’uso di antibiotici negli allevamenti; il divieto di utilizzare le moderne cefalosporine nei suini e dei fluorochinoloni nel pollame; una nuova legislazione volta a migliorare la salute e benessere degli animali; un miglioramento della sorveglianza dell’uso di antibiotici e un monitoraggio costante delle tendenze della resistenza”.

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