Una “cucina easy e di qualità”: la descrizione fatta dalla guida Michelin della cucina del ristorante Moma è il miglior punto di partenza possibile per iniziare il racconto di una sorprendente realtà romana e del suo giovane chef. Perché in questo locale dalle due differenti anime – una gourmet legata alla proposta di alta cucina, e l’altra più semplice e informale, caratterizzata dal bistrot – nessuno si aspettava il riconoscimento della più prestigiosa guida gastronomica al mondo. Invece, lo scorso novembre, tutto ciò è divenuto realtà, e per capire le sensazioni legate al momento e i conseguenti progetti per il futuro abbiamo intervistato Andrea Pasqualucci, il giovane e promettente chef del Moma.
[elementor-template id='142071']Il ristorante Moma e l’inattesa stella Michelin
“Non ero convinto che mi avessero chiamato per la stella. Non era il nostro obiettivo, quando sono arrivato al Moma non mi è stato richiesto di raggiungerla e pensavo fosse oltre le nostre possibilità al momento – racconta Pasqualucci – Mi hanno detto di andare a Parma con la proprietà, pensavo a qualche premio speciale, ma non alla stella. Una volta giunto lì ho visto alcuni chef che conosco e ho capito che era tutto vero. Ci siamo goduti il momento, abbiamo festeggiato e poi abbiamo capito che avremmo dovuto adeguarci ad alcuni standard: dal quel giorno, mi riunisco periodicamente con la proprietà e lo staff per decidere ogni singolo aspetto”.
Sono arrivato al Moma in scooter, da casa mia ho impiegato pochi minuti per giungere dal Pigneto a questa zona, compresa tra la rinomata via Veneto e Piazza Barberini, a pochi passi dall’Ambasciata degli Stati Uniti. Andrea ha quasi 30 anni ed è reduce da un brutto infortunio alla spalla, che si è procurato facendo snowboard. “Vedi cosa succede quando gli do qualche giorno di ferie?” mi dice, con il sorriso, Gastone Pierini, proprietario del ristorante. C’è grande sintonia tra loro, e la (quasi) totale condivisione della filosofia culinaria ha consentito al Moma di riscuotere il consenso della critica e dei clienti.
Andrea Pasqualucci: gli inizi e le prime esperienze
Come sovente accade nelle mie chiacchierate con gli chef, chiedo a Pasqualucci di raccontare i suoi primi approcci con la cucina: “ho deciso da bambino che avrei fatto il cuoco, perché ho avuto una forte passione per questo mondo da subito, e anche la mia famiglia si è sempre interessata al cibo. Tutti volevano io facessi il Liceo Artistico, ma i miei non mi hanno mai ostacolato quando ho scelto l’Istituto Alberghiero”. Non aveva idee precise sul suo futuro in cucina, ma dopo aver fatto alcuni stage interessanti comincia a lavorare a 18 anni ad Ostia, e grazie a uno chef che aveva lavorato con Igles Corelli scopre la passione per l’alta cucina. “Ho iniziato a lavorare grandi materie prime e ho divorato tanti libri di chef famosi. Poi sono passato ad Aroma, dove sono rimasto 3 anni, nel corso dei quali abbiamo conseguito la stella Michelin”.
Da Aroma, Pasqualucci lavora in tutte le partite, apprende le basi della cucina francese, impara il valore di una brigata, “eravamo grandi amici e lavoravamo assieme tante ore ogni giorno sempre in sintonia”, racconta. Successivamente si sposta alla corte di Moreno Cedroni, dove comprende appieno il valore di quali concetti quali il rigore, la precisione, la puntualità e soprattutto dell’organizzazione. “Lo chef era un esempio, sempre disponibile ma al tempo stesso un professionista che pretendeva molto; ha costruito da solo una bella realtà e sarei rimasto volentieri per imparare ancora”.
La filosofia culinaria del Moma
“Il Moma è palesemente un bistrot, che richiede un tipo di cucina con il quale non mi ero mai cimentato, ma giorno dopo giorno sto apprezzando quanto sia possibile variare la proposta gastronomica in una realtà di questo tipo”. Andrea mi confida di amare molto la tradizione, che inserisce in carta assieme a piatti più ricercati, il tutto lavorando materie prime di ottimo livello. Avere una cucina che gestisce due realtà consente di sfruttare i prodotti nella loro interezza: ciò che avanza dopo la lavorazione per i piatti gourmet viene utilizzato per le ricette della parte bistrot, rendendo il tutto molto sostenibile dal punto di vista economico, uno dei punti di forza del locale.
“Abbiamo una clientela molto varia, costituita in buona parte da gente che lavora nelle grandi realtà di business, che vuole mangiar bene ma in poco tempo, e quindi il bistrot con una cucina di qualità risponde alla perfezione alle loro esigenze”, spiega. Dopo i primi tempi molto difficili, caratterizzati da sere nelle quali avrebbero anche potuto chiudere per assenza di clienti, piano piano le cose sono cambiate, e dopo la stella anche le strutture alberghiere adiacenti, che prima non erano interessate alla realtà del Moma, hanno iniziato a indirizzare i propri clienti verso il locale guidato dallo chef Pasqualucci.
“Alcuni anni fa i locali avevano successo grazie al passaparola, che ora è stato sostituito dai commenti in rete e dalle piattaforme sulle quali è possibile prenotare la cena con uno sconto. Spostano immediatamente grandi quantità di clienti, e non si può decidere di non utilizzarle, hanno una loro utilità” aggiunge Andrea, per spiegarmi la composizione della propria clientela e le dinamiche che ne contraddistinguono i comportamenti.
I piccoli produttori
“Abbiamo scelto di essere solidali con i piccoli produttori, di tutto il territorio nazionale. Stagionalità e territorio come punti fondamentali sui quali applicare le migliori tecniche. Lavorare sul prodotto, sull’etica, cose che facciamo da tempo e che vorremmo comunicare nel modo adeguato”. La mia ricorrente domanda sul rapporto con i piccoli e grandi fornitori riceve una risposta netta, inequivocabile, anche perché avere a che fare con le piccole realtà artigianale è da sempre un punto cardine della filosofia del Moma.
L’ideale sarebbe potersi fornire solo dai piccoli fornitori, cambiando ogni giorno la carta in base alle disponibilità. Nella realtà ciò non è possibile e quindi si lavora con entrambi, in modo da poter avere sempre una buona scelta di materie prime nelle quantità necessarie per permettere loro di lavorare in sicurezza. “Non c’è più il tempo di andare a scovare piccoli artigiani e pur riuscendo a trovarli non ti possono assicurare costanza nelle forniture”.
Pasqualucci crede nella filiera corta e vuole lavorare con materie prime italiane, che a suo avviso hanno una marcia in più. Carne, pesce e verdure di altri paesi sono ingredienti ottimi, ma preferisce continuare su questa linea. Quando gli chiedo di parlarmi di cosa ama cucinare, Andrea mi parla del suo amore per il quinto quarto: “qui utilizzo carne e pesce, abbiamo una clientela estera che vuole una proposta ampia. Potessi scegliere avrei proposto una cucina prevalentemente di pesce, come ha fatto ad esempio Lele Usai a Fiumicino. Vorrei approfondire la conoscenza della panificazione, un mondo che mi interessa molto, mentre nella pasticceria mi sento preparato e ho le idee chiare”.
La cucina di chef Andrea Pasqualucci
“Il piatto che mi identifica è la ‘Giardiniera con i gamberi rossi e la ricotta di bufala’: molte consistenze e colori, tanti vegetali, tre diversi aceti, il gambero rosso crudo. Amo questo piatto, perché rappresenta tutto ciò che mi piace, dal mare alla freschezza, e inoltre è versatile, ho cambiato gli ingredienti più di una volta”. Il processo creativo di Pasqualucci è stimolato da diversi elementi, anche se spesso dipende dal periodo, “e può capitare che le idee vengano grazie alle proposte del fornitore, perché vedo prodotti disponibili che mi incuriosiscono e fanno venir voglia di sperimentare”.
C’è sempre qualcosa da cambiare e/o migliorare secondo Andrea: “ad esempio noi siamo una sola brigata che deve gestire due differenti offerte gastronomiche (quella del bistrot e quella del ristorante stellato). In futuro mi piacerebbe avere un’unica linea guida, dettata dal prodotto, che possa rappresentare sia il Moma che il Bistrot”. La volontà è quella di dare vita a un mega laboratorio nel quale creare i piatti per tutte le realtà ristorative gestite dalla proprietà, magari per proporre anche le cotture di una volta. “La tecnologia è importante, soprattutto per la lavorazione delle materie prime, ma alcune tecniche moderne sono utilizzate troppo spesso, sono un po’ esasperate”.
La difficile sostenibilità
“Quando facevo la raccolta differenziata da Moreno Cedroni – racconta Andrea – serviva una persona esclusivamente dedicata a questa attività, per quanto era meticolosa la raccolta degli scarti”. A Roma è ancora più difficile, il team di cucina fa tutto ciò che è di sua competenza, ma si arriva fino a un certo punto, perché poi serve il contributo anche delle istituzioni, che in questa realtà è carente. “Si dovrebbe cambiare la testa delle persone, a partire dalla tipologia di consumi. Lavorare a monte, sulle abitudini, sulla cultura, permetterebbe di ottenere risultati migliori nella lotta allo spreco”.
La sintonia con brigata e Sala
“La figura dello chef è cambiata nel tempo, più vado avanti e più vorrei avvicinarmi alla figura dei cuochi di un tempo”: Andrea (utilizza questo termine evidentemente proprio per sottolineare la differenza con gli chef. Oggi ci sono da gestire serate, eventi, consulenze, comparsate e ci si deve occupare di tante, “forse troppe cose”. Soprattutto in alcune realtà di natura metropolitana non è più possibile comportarsi come il cuoco di una volta, che faceva la spesa e cucinava, perché ora c’è la necessità di essere versatili.
Il discorso si sposta sulle nuove generazioni, sui tanti collaboratori che si alternano e vanno via, scoraggiati quando vengono in contatto con la durezza del lavoro in cucina. Poi Andrea mi parla del suo rapporto con la Sala: “Siamo pochi, ma anche a me è capitato d’avere a che fare con le nuove generazioni caratterizzate da poca voglia di fare. Il personale di Sala sta sparendo, tutti vogliono stare in cucina. Faccio parte dell’ultima generazione che non è stata condizionata dalla tv. La Sala deve saper gestire il cliente, raccontare il piatto, fare accoglienza”. Il primo impatto del cliente è con la Sala, aggiunge Pasqualucci, “e un bravo cameriere deve anche essere in grado di recuperare un piatto poco riuscito”.
Quando gli chiedo, in chiusura della nostra chiacchierata, dei suoi progetti futuri mi dice d’esser talmente concentrato sul Moma e di avere così tanta voglia di rimettersi a lavorare (dopo la pausa per la frattura alla spalla) da non riuscire a pensare al futuro, anche prossimo. “Può accadere di tutto – dice – ma adesso voglio vivere quest’anno cercando di confermare i risultati raggiunti”.
Una stella inaspettata, forse, ma sicuramente meritata. Per la passione, la competenza, la voglia di fare e l’approccio etico alla cucina, preservando la tradizione e valorizzando le piccole realtà produttive. Andrea Pasqualucci ha appena raggiunto il primo obiettivo di una carriera che promette d’essere ricca di sorprese.