Tra chi consuma abitualmente la carne, negli ultimi anni è cresciuto notevolmente l’interesse e il favore per l’allevamento estensivo, una modalità più vicina alle normali abitudini del bestiame, a partire dal pascolo libero. Viceversa, sappiamo che nei confronti degli allevamenti intensivi stanno aumentando la diffidenza e le critiche, anche sull’onda delle inchieste che hanno messo in luce le condizioni di vita degli animali in queste strutture. Per saperne di più abbiamo intervistato Marco Tassinari, esperto di zootecnia e docente del Dipartimento di Scienze mediche veterinarie dell’Università di Bologna, che ci ha spiegato le caratteristiche, i vantaggi e gli svantaggi dell’allevamento all’aperto dei bovini e dei suini.
Allevamento estensivo: cosa prevede?
Nel gergo comune l’allevamento estensivo viene spesso definito allo stato brado o semi brado, anche se il professor Tassinari precisa subito che queste diciture non sono pienamente corrette. Questa forma di zootecnia prevede per gli animali condizioni di vita molto simili a quelle naturali e in stato di libertà, senza l’imposizione di un confinamento in spazi rinchiusi e molto ristretti, con limitate possibilità di movimento. Ad ogni modo, non bisogna pensare a condizioni selvagge, perché la presenza e l’azione umana è sempre fondamentale, aggiunge l’intervistato.
Gli allevamenti allo stato brado, con animali vaganti, almeno in Italia sono pochissimi, limitati ad alcune zone del Piemonte vicino al Po, ma si tratta comunque di realtà che tendono a estinguersi. Dal punto di vista sanitario e veterinario queste circostanze sono molto impegnative, perché sono necessari maggiori controlli e la dispersione degli animali su territori ampi ostacola le procedure. In Italia, l’allevamento estensivo viene praticato in terreni recintati, spesso suddividendo gli animali per zone, ad esempio separando le femmine con i cuccioli in allattamento dai capi in fase di crescita. Il limite è di due esemplari adulti per ettaro, un valore legato al tipo di ambiente, perché la stessa superficie in montagna presenta quasi sempre un’area effettiva di pascolo più ridotta. Le razze selezionate per questo tipo di allevamento sono in grado di sfruttare gli alimenti poveri e fibrosi, spingendosi anche all’interno dei boschi per nutrirsi.
Gli allevatori, comunque, forniscono una parte del nutrimento necessario, che può essere composto da farina di mais e altri mangimi, per integrare un’alimentazione che altrimenti sarebbe scarsa. Gli animali si abituano presto a questa razione, aspetto che facilita il loro controllo da parte dei proprietari e dei veterinari, aggiunge Tassinari.
[elementor-template id='142071']Allevamento estensivo di bovini e suini: differenze, similitudini e razze
L’intervistato prosegue illustrando gli aspetti comuni e le diversità fra l’allevamento estensivo dei manzi e dei maiali. Nel caso dei bovini, si tratta soprattutto delle razze da carne nella linea vacca-vitello, dove in seguito al parto i vitelli restano con le madri fino a circa sei mesi d’età, quando vengono svezzati. Il periodo dell’ingrasso in genere avviene all’interno di stalle o comunque in spazi limitati, mentre sui pascoli è sempre meglio dividere i giovani torelli di 10-12 mesi dalle femmine.
Riguardo alla filiera del latte, le vacche selezionate per la produzione intensiva non sono idonee all’allevamento al pascolo, che invece richiede varietà autoctone più rustiche, anche se meno produttive in termini di quantità.
Ecco alcune delle razze bovine italiane da carne che si prestano alla vita al pascolo:
- Chianina
- Marchigiana
- Romagnola
- Podolica
- Maremmana
Quelle più produttive e numericamente diffuse sono però la Charolaise e Limousine, di origine francese.
Fra le varietà da latte, invece, possiamo citare:
- Bruna, robusta, versatile e diffusa sull’arco alpino
- Pezzata rossa, largamente presente in Friuli
- Valdostana, perfetta per la montagna
- Grigio alpina, di duplice attitudine e diffusa in Trentino
- Rossa reggiana, legata alla produzione del Parmigiano reggiano
La produzione di carne suina con metodo estensivo è proporzionalmente più contenuta, con numeri da mercato di nicchia. La crescita degli allevamenti biologici, però, contribuisce a spingere questa forma di zootecnia, legata alle produzioni tipiche e a specifici territori, un aspetto che vale soprattutto per i maiali di razze antiche. Fra queste, possiamo ricordare:
- Mora romagnola
- Nero di Parma
- Cinta senese
- Casertana
- Suino dei Nebrodi
Un discorso a parte merita il Suino della Marca, una varietà selezionata recentemente nelle Marche, incrociando diverse razze italiane, per ottenere un animale particolarmente adatto al metodo estensivo, ma che garantisce anche buone produzioni in termini quantitativi.
Le varietà citate, sia quelle bovine che quelle suine, in generale sono meno produttive e richiedono più tempo per l’accrescimento rispetto a quelle impiegate nell’allevamento intensivo, come la Frisona da latte e il maiale Large white. Questi animali sono legati ai territori, alla tipicità dei prodotti e spesso alle produzioni biologiche, certificate o “di fatto”, in quanto si tratta di allevamenti prossimi alle condizioni naturali, dove vengono forniti pochi mangimi, aggiunge Tassinari.
Quanto è diffuso l’allevamento estensivo?
Nel nostro Paese questa forma di zootecnia è diffusa soprattutto nelle zone montane, mentre in pianura a dominare sono l’agricoltura e l’allevamento in modalità intensiva, anche se esistono piccole realtà nelle zone pianeggianti, afferma Tassinari.
Sul territorio italiano in totale sono presenti circa sei milioni di bovini, tra esemplari da latte e da carne. Fra questi ultimi, una parte rilevante è importata dall’estero – circa 1.200.000 capi all’anno destinati all’allevamento intensivo – perché la produzione interna non è sufficienti per soddisfare la domanda. La modalità intensiva prevale nettamente, tuttavia sono presenti numerosi spazi vocati all’allevamento estensivo, che conta circa 650.000 capi da carne, coprendo il 20-30% della produzione. Si tratta quasi sempre della linea vacca-vitello, mentre la percentuale scende al 15-20% se si considerano tutti i bovini e i suini, a prescindere dalla destinazione.
Il professor Tassinari, tuttavia, prosegue puntualizzando che è difficile distinguere con precisione fra i gli esemplari allevati in modalità intensiva ed estensiva, perché spesso questi animali conducono un’esistenza “mista”. Ad esempio, un capo che viene macellato a 18 mesi di vita, spesso passa i primi 6-10 all’aperto, mentre i restanti, per la fase di accrescimento, vengono trascorsi al chiuso in regime intensivo. Questa casistica è assai frequente per le scottone, le manze femmine da carne.
Ad ogni modo, l’allevamento estensivo si sta diffondendo, così come il biologico, che rientra in questa tipologia, e le regioni dove questa forma di zootecnia è più diffusa sono la Sardegna, la Calabria, la Sicilia e la Basilicata, sottolinea l’intervistato. Il numero delle aziende che segue questa linea sta aumentando – al Centro-Sud ma anche al Nord – però il numero di capi è mediamente molto inferiore rispetto a quello degli allevamenti al chiuso, dove in spazi ristretti sono vengono concentrati molti animali. “Se tre aziende estensive, ad esempio, possono contare cento esemplari, lo stesso numero di allevamenti intensivi può raggiungere e superare i tremila”. In Italia è calato il numero di aziende che praticano quest’ultima modalità, ma sono aumentati i capi allevati. L’estensivo, invece, probabilmente crescerà ancora perché tanti consumatori si sono orientati verso il benessere animale, anche se pare che la maggior parte di questi sia disposta ad accollarsi un aumento di prezzo fino al 5-10%, ma non del 30%, chiarisce Tassinari.
L’allevamento estensivo nel mondo
Allargare lo sguardo oltre i confini nazionali può aiutare a comprendere meglio la presenza e il ruolo dell’allevamento estensivo. Nel Nord Europa, specialmente in Irlanda e in Scozia, questa tipologia è sempre stata tradizionalmente presente, grazia ai prati rigogliosi sostenuti da piogge frequenti. In queste condizioni, perciò, lasciare al pascolo gli animali conviene, mentre sappiamo che in Italia la piovosità è inferiore, di conseguenza l’alimentazione va incrementata con mangimi o foraggi acquistati.
In Francia, dove l’ambiente è piuttosto vocato al pascolo, sono presenti circa venti milioni di bovini, molti dei quali vengono importati in Italia, per essere ingrassati, macellati e commercializzati. Il nostro territorio, meno ricco di pascoli, è comunque molto valido sul piano della qualità produttiva e delle razze autoctone.
In Sud America, dove si parla di allevamento semi-confinato, la produzione di carne in gran parte avviene in modalità estensiva, grazie ai grandi spazi tipici di quell’area del mondo, come abbiamo avuto modo di illustrare nel nostro approfondimento sull’asado argentino. In Brasile sono presenti circa 200 milioni di bovini, soprattutto di razze incrociate con lo zebù indiano, come la Chanchim, adatte a vivere nei climi caldi e umidi della fascia tropicale. Nell’America meridionale gli appezzamenti possono anche essere affittati, per essere destinati al bestiame.
Vantaggi e svantaggi dell’allevamento estensivo
L’intervistato evidenzia alcuni dei vantaggi di questo metodo, iniziando col riportare un aspetto poco conosciuto, relativo alla salvaguardia dei territori. L’allevamento estensivo, che comporta la presenza umana e animale su aree marginali, contribuisce a limitare l’erosione dei terreni, un fattore importante nell’ottica della protezione del paesaggio e del controllo degli spazi rurali. Il punto cruciale a favore dell’allevamento intensivo, però, è il benessere degli animali, che da molti viene inteso quasi come una filosofia, prevalente rispetto agli altri temi in questione.
Sul versante degli svantaggi, questo tipo di zootecnia comporta inevitabilmente costi di gestione superiori, che determinano prezzi più alti per i consumatori. Il costo finale di un chilo di carne o di un litro di latte, orientativamente, è superiore del 20-30% rispetto alle produzioni da allevamento intensivo, parametri di riferimento che valgono anche per il biologico, dove ci sono obblighi particolari per l’alimentazione, più fibrosa e con meno mangimi, afferma il professor Tassinari.
Cosa influisce sui costi di gestione?
Va considerato l’aspetto sanitario, che nell’allevamento intensivo è molto più semplice da gestire, perché in un ambiente confinato gli animali possono essere osservati più volte al giorno, quindi gli eventuali problemi sono riscontrabili pressoché immediatamente. In sostanza, è più facile fare vaccinazioni e curare i capi in base alle necessità, anche se, come abbiamo visto, talvolta gli eccessi di questo tipo di zootecnia hanno portato a pericolosi effetti collaterali, come la diffusione della resistenza agli antibiotici.
Nell’allevamento estensivo, invece, spesso gli animali sono distribuiti su parecchi ettari ed è complicato e più costoso raggiungerli tempestivamente. Gli esemplari devono essere trattati con antiparassitari, sverminati più frequentemente e spesso vaccinati contro la rabbia, perché al pascolo cresce la possibilità di contaminazioni. Può influire negativamente anche il rapporto con animali selvatici e di altre specie, a partire dai lupi, che possono insidiare i vitelli e i suini, un rischio in genere più elevato nel Centro-Sud, dove la presenza di questi predatori è maggiore.
Anche gli animali allevati all’aperto, inoltre, necessitano comunque di strutture per essere radunati e messi in sicurezza, a maggior ragione quando devono essere eseguiti interventi di tipo farmacologico o terapie. Nell’allevamento estensivo i parti non possono essere monitorati come nella modalità intensiva, e, soprattutto per i bovini, di solito si ha la possibilità di visitare i vitelli neonati solo dopo alcuni giorni. Le vacche in lattazione necessitano di essere munte due volte al giorno, e quindi devono essere raggiunte sul territorio, precisa l’intervistato.
Oltre a questi fattori, che giocano a sfavore dell’allevamento estensivo, l’intervistato aggiunge una tematica poco conosciuta. Infatti, sembra che i bovini al pascolo abbiano un impatto ambientale superiore rispetto a quelli in ambiente confinato, perché va considerata la trasformazione dal punto di vista alimentare rapportandola alle emissioni e al costo energetico. In questi termini, la resa degli animali all’aperto è inferiore.
Salubrità e qualità dei prodotti
Anche al netto delle considerazioni appena riportate, l’aspetto che più interessa i consumatori e chi predilige la produzioni in modalità estensiva è certamente la qualità finale dei prodotti. Soffermandosi su questo tema, il professor Tassinari inizia col ricordare come si siano evoluti i parametri di valutazione nella qualità delle carni. Fino alla fine degli anni Novanta si prediligevano il colore chiaro e la tenerezza, favoriti dalle macellazioni anticipate e dalle condizioni di vita dell’allevamento intensivo, mentre si trascuravano il gusto e la succosità, caratteristiche ben più salienti e oggi giustamente passate in primo piano, che il pascolo all’aperto consente di ottenere.
Negli ultimi anni le produzioni si sono adattate alle nuove richieste dei consumatori e della ristorazione, che vogliono più informazioni sulle modalità di allevamento e apprezzano maggiormente le produzioni di alta qualità, rispetto alle carni a basso prezzo della grande distribuzione.
Seguendo questa linea, nelle produzioni di maggior pregio in genere le manze vengono cresciute al pascolo e macellate fra i 10 e i 14 anni d’età, mentre le lombate – la parte più nobile – possono essere sottoposte a frollatura per un periodo di 60-120 giorni. Solo dieci anni fa era pressoché impensabile mangiare una fiorentina con queste peculiarità, mentre oggi questo tipo di carni è molto valorizzato, come da tempo avviene in Francia, puntualizza Tassinari.
Cosa determina la qualità delle carni?
Pertanto, è la qualità complessiva a essere ricercata, al di là del colore chiaro e della tenerezza, che invece dipendono dalla macellazione di animali giovani. Gli esemplari al pascolo si muovono molto di più, consumano molta energia, crescono di meno e lentamente. Di conseguenza, le carni sono ben irrorate di sangue, con un colore più scuro, percentuali lipidiche inferiori e venature di grasso di colore giallastro e non bianche. Le lunghe frollature, quindi, possono intenerire e rendere più gradevoli al palato le fibra muscolari più toniche e sviluppate.
L’intervistato precisa che per la carne di maiale il discorso cambia, perché le frollature non sono necessarie e si può procedere alla lavorazione subito dopo la macellazione. I suini allevati all’aperto vengono prevalentemente destinati alla preparazione di salumi e insaccati tipici, mentre la carne bovina si usa da fresca, anche se esistono produzioni trasformate, come la bresaola e la carne salada.
In merito al contenuto nutrizionale, pur non essendoci grandi differenze fra le carni allevate in modo intensivo e quelle al pascolo, è interessante notare che a favore di queste ultime si registra una percentuale più elevata di grassi insaturi, aspetto senz’altro preferibile per la salute.
Per gli allevatori il pascolo conviene?
Il professor Tassinari conclude parlando dell’economicità dell’allevamento estensivo, che nelle zone collinari e montane è incentivato dalla Comunità europea, per i già citati benefici sul territorio e per sfruttare tutto l’anno queste zone. Questo tipo di zootecnia offre la possibilità di commercializzare animali da ingrassare nati in Italia, una caratteristica sempre più richiesta per il consumo di carne del mercato interno. L’interesse per gli allevatori consiste nel vendere vitelli di sei mesi, in salute e con una buona struttura, e spesso si cerca di far partorire la vacche in primavera, per sfruttare al massimo i pascoli, vendendo i vitelli prima che si debba fornirgli un ricovero per l’inverno.
Nel quadro dei costi, le spese in strutture per avviare un allevamento al pascolo sono inferiori, ma possono appunto essere necessari fabbricati per coprire il fieno e ospitare gli animali. Inoltre, il fabbisogno dei capi potrebbe richiedere l’acquisto di foraggi e cereali per l’inverno, perché in montagna e in collina le produzioni estive sono più limitate rispetto alla pianura, e raramente si riesce a coprire il consumo annuale.
Per ottenere buoni risultati, quindi, è importante curare bene gli animali e fornire alimentazione ai cuccioli se i pascoli sono magri. Ad ogni modo, molto dipende dalle diverse realtà, anche in base al numero di capi. In sostanza, secondo l’intervistato, l’allevamento estensivo conviene se fatto professionalmente, e la qualità finale dei prodotti paga sempre.
Vi capita spesso di acquistare carni e latticini da allevamento estensivo?