Giornale del cibo

Tutto ciò che bisogna sapere prima di acquistare e cucinare le cozze

 

I mitili sono i frutti di mare più tipici e diffusi in Italia, con un’antica tradizione che sposa l’allevamento delle cozze con tante apprezzate ricette regionali. Durante l’estate, quando cresce la voglia di portarle in tavola, aumenta anche l’interesse verso l’origine e il percorso produttivo di questi molluschi, che in passato sono stati al centro di casi di intossicazione e altri problemi relativi alla loro salubrità. Ma sono pericolosi? Dopo esserci occupati del tonno rosso e del rischio di estinzione che lo minaccia, questa volta cercheremo di saperne di più sui mitili, sulle loro caratteristiche e sulle precauzioni da seguire prima di mangiarli.

Cozze: caratteristiche e diffusione

I mitili, comunemente chiamati cozze ma noti con diversi nomi regionali, sono molluschi bivalvi filtratori, dotati di guscio e valve, apparati simmetrici uniti fra loro e da legamenti, che possono chiudersi rapidamente, riaprirsi o rimanere serrati grazie all’azione di piccoli ma efficienti muscoli. Le due facce della conchiglia sono unite da una cerniera dentellata che si trova nell’estremità più sottile. Queste creature marine dalla forma a goccia possiedono branchie e lamelle, necessarie per assorbire l’ossigeno e al contempo trattenere il nutrimento, costituito da microplancton e particelle sospese nell’acqua. Il guscio presenta cerchi di accrescimento ed è generalmente nero all’esterno, ma può assumere tinte dal viola al marrone e forme leggermente differenti, in base alle zone di provenienza, mentre l’interno è azzurrognolo e iridescente. Negli esemplari adulti, il mollusco all’interno può essere arancione carico, per le femmine, o giallo, per i maschi, mentre i bordi delle lamelle branchiali sono neri.

cozze mitili

La riproduzione avviene fra la primavera e l’estate, e contrariamente rispetto alle vongole o alle capesante, le cozze non vivono sotto la sabbia e non hanno organi propulsivi per muoversi in acqua, bensì restano fissate a strutture di vario tipo grazie al bisso, un intreccio di fibre molto resistenti che si elimina con la pulizia prima della cottura. Questi animali – che possono raggiungere e talvolta superare i 10 centimetri di lunghezza e i 4-5 di larghezza e vivono anche più di cinque anni – appartengono al genere Mytilus, il quale comprende due specie simili, la Edulis (cozza comune) diffusa soprattutto nell’Oceano Atlantico, e la Galloprovincialis (mitilo mediterraneo). Quest’ultima, la più presente sui nostri banchi del pesce, allo stato selvatico vive nei pressi degli scogli, e popola anche il Mar Nero e la costa atlantica orientale.

I mitili tuttavia, hanno colonizzato diverse aree del mondo, dove sono considerati specie invasive. Spesso si attaccano agli scafi delle grandi navi commerciali, aspetto che ha permesso un trasporto involontario e una propagazione globale. In Italia il litorale con maggiore presenza è quello del Mare Adriatico, dove è diffuso l’allevamento delle cozze, e il commercio costituisce da secoli una fetta importante del mercato ittico. In questo bacino anche gli esemplari selvatici trovano un habitat ideale, grazie alle foci dei fiumi e alle acque salmastre, ricche di nutrimento.

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L’allevamento delle cozze

La mitilicoltura, già presente nell’alto Medioevo in Francia e ampiamente radicata nel Mediterraneo, sul finire dell’Ottocento è andata perfezionandosi, quando le cozze sono diventate popolari nell’Europa occidentale, essendo una fonte economica di proteine.

Dove la presenza in natura è superiore, si pratica anche la pesca degli esemplari selvaggi, come accade lungo le coste del Conero nelle Marche, ma è l’allevamento delle cozze – sempre praticato in zone ricche di plancton e microorganismi – a sostenere maggiormente il mercato. La Edulis è prodotta soprattutto in Francia, Olanda, Irlanda e Regno Unito, mentre i mitili mediterranei provengono principalmente dall’Italia, dalla Spagna e dalla Grecia. Lungo le nostre coste annualmente si prelevano circa 120.000 tonnellate di cozze, con la Puglia, la Campania, la Romagna, il Veneto e la Liguria a distinguersi in termini di quantità e qualità. Anche in Italia, comunque, l’elevata richiesta spinge l’importazione dall’estero.

 

Il ciclo della miticoltura dura mediamente un anno, ma in alcune aree, come l’Adriatico, le tempistiche sono più brevi. È curioso notare che riferendosi all’allevamento delle cozze, spesso si usano termini tipici dell’agricoltura, come “coltivazione”, “raccolta” e “seme”, a sottolineare le similitudini concettuali di questa attività con le colture vegetali.

Tecniche di mitilicoltura

L’allevamento delle cozze in mare aperto (offshore in inglese) si è evoluto molto, e gli impianti classici vengono gradualmente sostituiti da forme più moderne ed efficienti, con ampio uso di strumenti meccanici. Ecco quali sono i metodi principali.

Le cozze sono pericolose?

Dal punto di vista ingienico-sanitario, sono diversi i fattori di rischio che possono rendere assai nocive le cozze, soprattutto in determinate condizioni. Nella memoria degli italiani restano ancora i casi di colera verificatisi a Napoli nell’estate del 1973, a causa del consumo di molluschi contaminati. Sappiamo che le cozze vengono mangiate prevalentemente cotte o all’interno di prodotti trasformati e in conserva, anche se c’è chi le apprezza da crude con succo di limone, come avviene per le ostriche, un’abitudine da evitare e che può rivelarsi molto pericolosa. Solo con la cottura, infatti, si possono eliminare batteri e virus da non prendere alla leggera, mentre il limone è del tutto inutile in questo senso, e va inteso unicamente come un condimento.

La direttiva europea 91/492/CEE fissa i parametri sanitari da seguire riguardo alla raccolta, alla manipolazione, alla conservazione, al trasporto e alla conservazione dei molluschi bivalvi vivi. Prima della vendita, le zone di provenienza (allevamento o pesca professionale) devono essere classificate in base alla concentrazione di indicatori di inquinamento microbiologico rilevati nei molluschi.

La cattiva conservazione, invece, può causare intossicazioni, gastroenterite ed epatite virale, mentre alcuni episodi più recenti testimoniamo la possibile contaminazione da microplastiche, diossine e PCB. Di quest’ultima casistica ci aveva parlato la professoressa Patrizia Hrelia nel nostro approfondimento sul gambero killer, mentre recentemente sono state sequestrate cozze allevate illegalmente nel primo seno del Mar Piccolo di Taranto, dove queste sostanze sono presenti al di sopra dei limiti consentiti.

In linea generale, le cozze selvatiche pescate autonomamente possono essere potenzialmente più soggette a contaminazioni.

Consigli per evitare i rischi

Per scongiurare i pericoli appena descritti, è importante seguire alcune precauzioni:

  1. Le cozze vanno acquistate vive e freschissime, possibilmente appena pescate, o comunque presso rivenditori registrati alle autorità sanitarie. Le confezioni o retine devono essere ben chiuse ed etichettate, per poter verificare la provenienza e la scadenza. In commercio si possono trovare anche sgusciate e già cotte, surgelate o sottovuoto. I gusci devono essere integri, lucenti e ben chiusi, e per il trasporto verso il frigo di casa è meglio utilizzare contenitori termici, soprattutto in estate. È utile anche separare i mitili dagli altri prodotti ittici, per diminuire ulteriormente l’eventualità di contaminazioni.
  1. Per pulire le cozze bisogna rimuovere le impurità del guscio e il bisso (filetto che esce dalla conchiglia) va tagliato, prima del lavaggio in acqua dolce. Il consumo deve avvenire al più presto, sempre previa cottura, durante la quale è bene non ammassare i mitili uno sull’altro, per diffondere meglio il calore; vanno scartate quelle che restano chiuse.

Quando acquistate e preparate le cozze seguite questi consigli?

 

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