Le tecniche di conservazione sono tante, dalle più semplici e arcaiche, come l’essiccazione o la salatura, a quelle più complesse ed evolute. Tra le metodologie meno conosciute c’è sicuramente l’irradiazione degli alimenti, definita anche irraggiamento, radioconservazione o radurizzazione, che si basa sull’esposizione a radiazioni ionizzanti, quali i raggi gamma, i raggi X o i fasci di elettroni. Lo scopo è quello di migliorare la conservabilità, la stabilizzazione e il livello igienico dei cibi, eliminando i microrganismi patogeni resistenti alle alte temperature, il mezzo più classico per sterilizzare, utilizzato nella pastorizzazione.
Questo metodo, apparentemente futuristico, in realtà è utilizzato dagli anni Quaranta del secolo scorso, quando le forniture di carne dell’esercito statunitense venivano trattate con l’irraggiamento. Solo a partire dagli anni Sessanta, però, l’utilizzo si inizia a estendere in ambito civile, per sterilizzare oggetti e ambienti, e nell’industria alimentare. Sul piano della sicurezza, di primo acchito può apparire poco rassicurante impiegare una tecnologia nota per l’applicazione in ambito medico e militare. Su quali cibi può essere utilizzata? Come funziona questo metodo? Dopo aver approfondito l’uso di nitriti e nitrati, conservanti tipicamente presenti nei salumi, questa volta cercheremo di saperne di più sugli alimenti irradiati, sciogliendo i dubbi sull’esistenza di effetti collaterali per i consumatori.
[elementor-template id='142071']Irradiazione degli alimenti: utilizzi e applicazione
Più nello specifico, l’irradiazione degli alimenti serve a:
- Sterilizzare il cibo, inibendo gli enzimi e le spore che provocano il deterioramento e la germinazione. Nel nostro approfondimento sulle aflatossine negli alimenti abbiamo visto quanto le muffe possono essere pericolose per la salute.
- Diminuire la carica microbica e uccidere parassiti e batteri, come quelli che provocano la salmonellosi, per ridurre la probabilità di contaminazioni, intossicazioni e tossinfezioni, pur senza annullare questi rischi e la necessità di seguire le misure igieniche. Va precisato che un cibo irradiato può essere liberato dai batteri, ma non dalle tossine da essi prodotte.
- Rallentare i processi di maturazione dei vegetali, al fine di poter estendere i tempi di stoccaggio.
- Ridurre o eliminare l’uso di sostanze chimiche per la conservazione e la decontaminazione.
La procedura di irraggiamento prevede il passaggio dei prodotti sotto un fascio di radiazioni prodotte da una sorgente, in genere tramite un nastro trasportatore. Il basso tenore energetico dell’esposizione non provoca un aumento sensibile della temperatura né tantomeno delle reazioni nucleari nei cibi, che quindi non diventano radioattivi. Il processo, pertanto, si limita a colpire gli organismi considerati dannosi, ma, seppure lievemente, si verifica anche un cambiamento nelle proprietà chimico-fisiche, come del resto avviene anche con la pastorizzazione. L’irradiazione degli alimenti, però, ha tempi molto più brevi rispetto ai procedimenti che utilizzano il calore e agisce in modo mirato su microrganismi diversi. Nel confronto coi processi termici, inoltre, con l’utilizzo di radiazioni l’alterazione dei gusti e della consistenza dei prodotti è minore.
Gli effetti desiderati determinano le dosi di radiazioni da applicare, che vengono valutate con specifici standard e dosimetri. Per prolungare la conservazione dei vegetali o per la riduzione dei microrganismi nelle carni, ad esempio, bastano esposizioni meno intense rispetto al processo per sterilizzare i cibi. In linea di massima, più la forma vivente da trattare è evoluta e maggiore sarà la sua sensibilità alle radiazioni, pertanto le spore e i virus richiedono dosaggi più intensi. Anche il diminuire della temperatura dei prodotti determina un aumento delle radiazioni, quindi per trattare un cibo congelato saranno necessarie esposizioni superiori rispetto a un altro a temperatura ambiente.
Le tecniche
In sintesi, ecco quali sono le tecniche di irradiazione degli alimenti.
- I raggi gamma, generati da Cobalto 60 o più raramente da Cesio 137, possono penetrare in profondità e trattare anche alimenti confezionati. Gli isotopi radioattivi che producano le radiazioni devono essere scrupolosamente protetti e conservati.
- Il fascio di elettroni con raggi beta viene prodotto da un cannone elettronico, che una volta spento non emette più radiazioni, diversamente rispetto alle fonti di raggi gamma. Il potere penetrante, però, è minore.
- La tecnologia a raggi X è la più evoluta e riesce a unire i vantaggi delle due precedenti, ovvero la penetrazione in profondità e lo spegnimento della sorgente radioattiva.
Gli alimenti irradiati sono nocivi?
Una tecnica che utilizza le radiazioni sugli alimenti può indurre diffidenza, nel timore di ripercussioni sulla salute. Le prime rassicurazioni ufficiali, però, sono arrivate nel 1980, quando in seguito a una ricerca lunga e approfondita una commissione congiunta formata da FAO, OMS e AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) ha dichiarato innocuo l’irraggiamento di tutti cibi trattati con una dose massima di 10 kGy (kilogray, unità di misura assorbita), come si suggeriva nel 1984 nel Codex Alimentarius. Nel 1995 l’OMS ha confermato queste conclusioni e le tecniche di irraggiamento alimentare sono state definite sicure ed efficaci.
Anche l’Efsa ha certificato la sicurezza dei cibi irradiati, ribadendo i concetti già evidenziati e precisando che questa pratica “deve considerarsi soltanto uno dei numerosi processi che possono ridurre la presenza di patogeni negli alimenti”. L’irradiazione degli alimenti deve far parte di un programma di gestione della sicurezza per proteggere i consumatori, che comprenda corrette prassi agricole, produttive e igieniche. L’Efsa, inoltre, ha dichiarato che la maggior parte delle sostanze che si generano nei cibi a seguito di irradiazione si formano anche con altri metodi, con livelli confrontabili a quelli dovuti al trattamento termico. Anche l’irradiazione, infatti, modifica lievemente la composizione chimica e il profilo nutrizionale degli alimenti, seppure in modo diverso e in base all’intensità dei raggi, che impoveriscono il contenuto di vitamine e di probiotici. I cibi, ad ogni modo, non diventano radioattivi e l’effetto dei raggi termina quando si blocca la sorgente, come nel caso della cottura a microonde.
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare, infine, sottolinea l’opportunità di condurre nuove ricerche, oltre a consigliare una nuova categorizzazione per classificare i cibi da sottoporre a irradiazione.
Regolamentazione e diffusione
L’irradiazione degli alimenti non è diffusa omogeneamente nel mondo. Negli Stati Uniti questa tecnica si applica largamente su molte categorie di prodotti, specialmente nelle catene veloci di macellazione, per trattare le carni contro i rischi di contaminazione batterica.
Nell’Unione europea, invece, la regolamentazione è più stringente e la diffusione è minore, con differenze considerevoli nelle autorizzazioni delle singole nazioni. Le direttive 1999/CE/2 e 1999/CE/3 stabiliscono i parametri di riferimento e i cibi per i quali l’irraggiamento è autorizzato, ma gli Stati membri, entro i confini nazionali, possono consentire o vietare la procedura per una determinata selezione di prodotti che abbia comunque ricevuto un parere favorevole dal Comitato scientifico dell’alimentazione umana (SCF). La lista prevede molte categorie di alimenti, sia di origine vegetale che animale.
In Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Olanda, Polonia e Regno Unito questo metodo si utilizza maggiormente rispetto all’Italia, dove esiste un unico impianto – a Minerbio, in provincia di Bologna – e l’irradiazione vige solo per i trattamenti contro la germogliazione delle patate, delle cipolle e degli agli. Nel nostro Paese il decreto 94 del 2001, che applica le direttive europee citate, disciplina la produzione, l’importazione, la commercializzazione e gli aspetti tecnico-sanitari relativi ai cibi sottoposti a radiazioni.
La successiva normativa internazionale ISO 14470:2011 ha fissato i requisiti per l’irradiazione degli alimenti, mentre la presenza del logo Radura in etichetta e sui documenti di accompagnamento indica i cibi trattati con questa procedura, insieme alla dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti”.
Il Ministero della Salute indica che l’applicazione delle radiazioni, ad ogni modo, non dovrebbe mai sostituire i protocolli di igiene preventiva e l’attenzione necessaria nel trattare i cibi, come abbiamo visto parlando di allergeni. In una produzione alimentare controllata, inoltre, l’irraggiamento non è indispensabile e spesso può essere sostituito dalle altre metodologie di conservazione più classiche.
Avevate mai sentito parlare di irradiazione degli alimenti?
Fonti:
Ministero della Salute
Decreto legislativo 30 gennaio 2001, n. 94
Efsa – Autorità europea per la sicurezza alimentare
ISO 14470:2011