Nati per rispondere ad esigenze di conservazione e presenti in tutto il mondo, i cibi fermentati in Oriente sono considerati un vero e proprio rimedio naturale a sostegno dell’organismo. Non si tratta, però, di una modalità di trattamento dei cibi così distante dalla cultura gastronomica europea, cibi così trattati sono, per esempio, anche yogurt, kefir, olive da tavola, miso e pasta madre.
Oggi un rinnovato interesse è dedicato agli alimenti fermentati proprio in virtù delle loro proprietà, ma per capire come possono essere benefici per l’organismo e come agiscono, abbiamo intervistato la dottoressa Silvia Turroni, ricercatrice dell’Alta Mater Studiorum – Università di Bologna.
Come funziona la fermentazione
Dal punto di vista biochimico, con il termine fermentazione ci si riferisce alla produzione di energia in assenza di ossigeno durante i processi catabolici. “Nel contesto della microbiologia industriale e in particolar modo, di quella alimentare, – specifica l’intervistata – per fermentazione si intende invece un qualsiasi processo aerobico o anaerobico in cui si creano le condizioni chimico-fisiche necessarie per la biotrasformazione di una serie di sostanze primarie in prodotti di interesse industriale attraverso l’azione controllata di microrganismi.”
La fermentazione acida
I processi di fermentazione alimentare possono essere generalmente classificati in fermentazione acida o alcolica. Nel primo caso, i batteri coinvolti sono principalmente lactic acid bacteria omo- o etero-fermentanti (ad es. Lactobacillus, Leuconostoc, Lactococcus e Streptococcus) che determinano produzione di acido lattico, ma anche Acetobacter, Gluconobacter e Gluconacetobacter, che producono principalmente acido acetico, così come Corynebacterium e Propionibacterium che determinano il rilascio rispettivamente di glutammato e propionato.
La fermentazione alcolica
D’altro canto, la fermentazione alcolica degli alimenti prevede l’impiego di lieviti (e in particolare di Saccharomyces), con rilascio di etanolo e anidride carbonica. “Tali microrganismi – spiega la dottoressa Turroni – vengono utilizzati come starter per la fermentazione di diversi alimenti, come latticini, cereali, verdure, alimenti a base di soia, carne, birra e vino, e svolgono ruoli importanti anche nei processi fermentativi di tè, cacao e caffè.”
Gli esempi sono molti: crauti e kimchi ottenuti mediante fermentazione del cavolo, olive, cetrioli e peperoni fermentati, salsa di soia, tofu e tempeh, ma anche il kombucha (tè fermentato).
Storicamente, i processi fermentativi sono stati impiegati per prolungare la conservazione degli alimenti. D’altro canto, nel corso degli anni si è osservato come essi consentano la formazione di prodotti bioattivi/biodisponibili importanti per la salute, di aumentare la concentrazione di sottoprodotti anti-microbici e di indurre cambiamenti organolettici, compreso lo sviluppo di aromi particolari.
Le proprietà dei cibi fermentati per l’organismo
I benefici degli alimenti fermentati sono attribuibili alle proprietà nutrizionali degli alimenti stessi ma anche e, in certi casi, soprattutto al contributo dei microrganismi vivi presenti all’interno dei prodotti. Chiediamo, dunque, alla dottoressa Turroni di spiegarci in che modo i cibi fermentati possono effettivamente e concretamente risultare benefici per l’organismo.
S.T.: “I cibi fermentati possiedono proprietà nutrizionali e funzionali migliorate grazie alla trasformazione dei substrati e alla formazione di prodotti finali bioattivi o biodisponibili. Essi contengono, infatti, molecole bioattive, vitamine e altri costituenti caratterizzati da una diversa disponibilità proprio grazie al processo di fermentazione. Ad esempio, la maggior parte dei formaggi è ben tollerata dagli individui intolleranti al lattosio perché parte del lattosio originariamente presente nel latte viene fermentato.
Similmente, lo yogurt è generalmente ben tollerato grazie al rilascio in vivo degli enzimi β-galattosidasi. Un altro costituente lattiero-caseario, l’acido linoleico coniugato, acido grasso che aiuta a ridurre i depositi di grasso nell’organismo e a migliorare le difese immunitarie, è arricchito durante i processi fermentativi dai lactic acid bacteria.
Alcuni dei microrganismi utilizzati hanno anche capacità proteolitiche e possono determinare un aumento della concentrazione di peptidi bioattivi con effetti immunomodulanti e antiossidanti. Inoltre, nelle fermentazioni vegetali, la crescita dei batteri lattici aumenta la conversione di composti fenolici, come i flavonoidi, in metaboliti biologicamente attivi, che possono indurre l’espressione di enzimi antiossidanti e disintossicanti.
D’altro canto, i processi fermentativi possono comportare la rimozione di componenti alimentari tossici o indesiderabili come l’acido fitico, o la riduzione di oligosaccaridi fermentabili, disaccaridi e monosaccaridi, con aumento della tolleranza dell’alimento da parte, ad esempio, di pazienti con sindrome del colon irritabile.”
Cibi fermentati come prebiotici?
La dottoressa Silvia Turroni continua: “I processi fermentativi possono portare anche alla sintesi di vitamine, principalmente quelle del gruppo B, tra cui acido folico, riboflavina e vitamina B12. Inoltre, gli esopolisaccaridi prodotti dai microrganismi durante le fermentazioni possono fungere da antiossidanti e ipocolesterolemizzanti, prevenire l’adesione di patogeni alla mucosa intestinale, o svolgere attività immunomodulanti. Alcuni di questi polisaccaridi possono fungere anche da prebiotici ed essere quindi convertiti dal microbiota intestinale in acidi grassi a catena corta (i.e. acetato, propionato e butirrato), metaboliti ai quali è riconosciuto un ruolo chiave e multifattoriale nella fisiologia dell’ospite.”
Un supporto per la salute gastrointestinale
“Un ulteriore e importante vantaggio è rappresentato dal fatto che molti alimenti fermentati contengono anche microrganismi vivi, generalmente batteri lattici assimilabili a probiotici, che possono migliorare la salute gastrointestinale, mediante antagonismo nei confronti di enteropatogeni, immunomodulazione, miglioramento della funzionalità di barriera, produzione di acidi grassi a catena corta ed altre molecole. Possono poi modulare composizione e funzionalità del microbiota intestinale, mediante stimolazione di interazioni trofiche, alterazione dei meccanismi di competizione e indirettamente attraverso cambiamenti dell’habitat intestinale, con tutta una serie di effetti a cascata importanti per l’omeostasi metabolica e immunologica dell’ospite.”
Controindicazioni per i cibi fermentati
Nonostante un record relativamente buono, esistono comunque alcuni rischi correlati alla possibile presenza di agenti patogeni nelle materie prime o a eventi di contaminazione batterica la lavorazione. Per tali ragioni, la ricercatrice sottolinea come il consumo di alimenti e bevande fermentati dovrebbe essere evitato o quantomeno limitato in “popolazioni speciali”, come pazienti e individui immunocompromessi, anziani e durante la gravidanza.
“In letteratura – aggiunge l’intervistata – sono state riportate anche evidenze di aumentato rischio di cancro esofageo e gastrico a seguito del consumo di specifici prodotti fermentati, come verdure sott’aceto e salse di pesce fermentato.” Deve essere infine considerato anche il profilo nutrizionale complessivo: molti alimenti fermentati sono infatti ricchi di sale (ad es. kimchi, soia e salsa di pesce) e grassi (formaggio, salame), possono contenere ammine biogeniche (ad es. istamina, tiramina, putrescina e cadaverina con implicazioni dannose per la salute) e/o vanno comunque assunti con moderazione (bevande alcoliche). Il consiglio, dunque, è in ogni caso di non abusarne e nel caso di necessità specifiche confrontarsi sempre con uno specialista.
Al centro della ricerca: quali prospettive per il futuro?
Proprio il potenziale benefico dei cibi fermentati ha fatto sì che siano in corso diverse tipologie di ricerche dedicate proprio ad analizzarne il consumo. “In particolare – ci spiega la dottoressa Turroni – c’è molta attenzione all’associazione di prodotti lattiero-caseari ad una serie di effetti benefici sulla salute, sia a livello locale che sistemico, con in primis un rafforzamento dell’integrità della barriera intestinale (e dunque un ridotto rischio di traslocazione di batteri e/o componenti batteriche) e un generale miglioramento dei processi metabolici e delle risposte immunitarie in diversi contesti, come diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e possibilmente anche malattie infiammatorie intestinali.”
Inoltre, è emerso come tali prodotti possano influenzare anche l’asse gut-brain e quindi la nostra salute mentale, ma la letteratura sul tema, sottolinea l’intervista, è ancora piuttosto scarsa e lungi dall’essere convincente.
Cibi fermentati nel mondo
Non dobbiamo, in conclusione, immaginare i cibi fermentati come qualcosa di complicato da trovare o distante. Ne esiste, infatti, un’estrema varietà nelle tradizioni di tutto il mondo. Li troviamo spesso in Estremo Oriente: in Giappone, per esempio, è molto utilizzata la soia, mentre in Corea il kimchi, a base di cavolo cinese, accompagna praticamente ogni pietanza.
In Europa, la tradizione della fermentazione è presente soprattutto nei paesi scandinavi e in Germania. I crauti sono un tipico esempio ci alimento fermentato, mentre le alici in Svezia devono essere il più salate e il più fermentate possibile.
In Islanda, prima dell’essiccazione, lo squalo viene lasciato a fermentare per qualche mese, mentre in Alaska sono considerate delle vere delizie le teste di pesce lasciate sepolte fino a che non diventano puzzolenti.
La fermentazione viene effettuata storicamente anche in Sud America e Africa per produrre le “birre indigene” e, in Eritrea, per preparare il teff, il cereale tipico. In Russia, invece, la bevanda fermentata si ottiene dalla frutta e si chiama kvas.
Voi consumate i cibi fermentati? Raccontateci quali sono i vostri preferiti!
Articolo scritto con la collaborazione di Francesca Bono.