Giornale del cibo

Agromafia a quota 16 miliardi: cresce il business della ristorazione

Centomila controlli non bastano. Non è questo il numero principale delle agromafie, che cresce con una costanza da fare invidia a colossi della finanza: confermando il trend  registrato nelle indagini precedenti, il volume d’affari della criminalità organizzata nel settore agroalimentare ha superato nel 2015 i 16 miliardi, quasi uno in più rispetto al 2014.

Numeri importanti, che hanno suggerito a Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità di modificare la cadenza del rapporto: e così, dopo quelli del 2011, 2013 e 2015, la nuova raccolta dati è stata fatta a stretto giro di posta, regalando un quadro dalle tinte sempre più scure nonostante l’intensificazione dei controlli, la sensibilizzazione a temi come Italian sounding e falso made in Italy, il generale moto di ribellione alle mafie che percorre l’Italia.

I numeri dell’agromafia

L’azienda agromafia non conosce crisi (“cresce più di Apple”, sostiene l’autore di “Cibo criminale” Luca Ponzi), e in sei anni è passata da 12 a oltre 16 miliardi annui di volume d’affari. Presente da nord a sud, con un radicamento che fa superare il 40 allo Ioc (indice di organizzazione criminale) in 32 province, quasi un terzo del totale.

Terreni

E ancora, tra le cifre presenti nel corposo dossier e commentate a caldo da Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, e Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ce n’è una che fa discutere: sono i 26.200 terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva per reati legati alla mafia, il cui mancato utilizzo si traduce in uno spreco quantificato in oltre 20 miliardi di euro.

E ancora, tra le righe del rapporto ecco la microcriminalità legata alla grande organizzazione: in un anno nelle aziende agricole ben 2570 furti e 490 casi di abigeato. E infine, le ripercussioni sull’intera filiera, che fanno capire quanto sia condizionata dai piani di mafia, camorra e ‘ndrangheta: crollo per la materia prima (pagata anche il 60% in meno rispetto al 2014 nel caso dei pomodori), picco opposto per la vendita, con frutta e verdura vendute a prezzi gonfiate sino a 4 volte.

I reati


Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico,
concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi, illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di valori. Sono le tipologie di reato più frequentemente presenti nell’agroalimentare, e ascrivibili a un gran numero di clan.

Le modalità sono quelle consuete alle organizzazioni di stampo mafioso: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine, danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. E ancora estorsione e intimidazione, allo scopo di imporre la vendita di prodotti e marchi e appropriarsi così di fette di mercato e territori. E ancora, è frequente la movimentazione di capitali puliti verso l’economia sporca, con il cosiddetto “money dirtying” che è speculare al fenomeno del riciclaggio nel quale i capitali sporchi affluiscono nell’economia sana. Il tutto abbraccia ogni settore del comparto, dalla produzione alla vendita, e ogni categoria merceologica.

La black list: guidano i ristoranti

Ristorazione, carne, pane, pasta, farina. Sono questi i cibi che guidano la graduatoria delle frodi contestate al sistema criminale agromafia in base ai sequestri effettuati dal Nas dei carabinieri nel 2015. Nello specifico, dei 436 milioni di euro di valore complessivo il 24% riguarda la ristorazione, il 18% la carne e salumi, l’11% le farine, il pane e la pasta; quindi vino, latte, formaggi e olio d’oliva.

E ancora: il nucleo antisofisticazioni dell’Arma ha chiuso in un anno 1.035 strutture operanti nel sistema agroalimentare con il sequestro di 25,2 milioni di prodotti alimentari contraffatti, e un caso su tre di non conformità. Le frodi sono quelle consuete (dal finto extravergine italiano alla mozzarella con cagliate straniere, dal pane al carbone vegetale alle conserve di pomodoro cinesi fino al pesce avariato), mentre la ristorazione adocchiata dalle mafie spazia dall’aperibar al locale in franchising, dalla trattoria al ristorante di lusso. 

Coldiretti: controlli ok, Italia da record

“In Italia le attività criminali nell’agroalimentare si scoprono perché c’è una attività di controllo all’avanguardia a differenza di quanto avviene in altri Paesi dentro e fuori dall’Unione europea”. Il commento di Roberto Moncalvo, presidente nazionale di Coldiretti, al poderoso lavoro sulle agromafie va controcorrente: non sottolinea gli allarmanti dati presenti nel dossier ma il tentativo di contrastarli, che è il modo attraverso il quale si viene a conoscenza del fenomeno, e al contempo bacchetta Bruxelles e in generale l’Europa.

Carabinieri, Finanza, Corpo forestale, Ispettorato tutela della qualità e repressione frodi: tutti impegnati quotidianamente contro le attività illecite, e autori in totale di centomila controlli in un anno. “Si tratta – ha aggiunto – di un presidio a difesa non solo del tessuto economico ma anche della salute dei cittadini, dell’ambiente e dell’intero territorio nazionale”.

Secondo uno studio della Coldiretti l’Italia è il Paese con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4%), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1,4%) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7,5%) ma anche quello con le regole produttive più rigorose nelle caratteristiche dei prodotti alimentari. I tentacoli della mafia non si fanno scoraggiare.

 

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