L’agricoltura sociale è una realtà in evoluzione, che comprende esperienze differenziate per organizzazione, attività, destinatari e forme di finanziamento. Le aziende che la promuovono, tuttavia, sono accomunate dall’affiancare alle attività economiche iniziative di carattere sociosanitario, educativo, di formazione, di inserimento lavorativo o di tipo ricreativo, dedicate specialmente a fasce di popolazione, persone e famiglie svantaggiate e a rischio di marginalizzazione. Ma quali sono i benefici di queste attività, per chi le svolge come per chi ne fruisce? Un dibattito nell’ultima edizione del Festival del giornalismo alimentare di Torino ha approfondito il tema, coinvolgendo esperti e protagonisti di queste esperienze.
Agricoltura sociale: sviluppo e riconoscimento legislativo
Pur non essendo riconducibili a un unico modello, tante aziende agricole da tempo curano percorsi ispirati alla solidarietà e all’inclusione – ci siamo occupati di progetti in Calabria e in Campania – esaltando positivamente la vocazione multifunzionale dell’agricoltura. Ben prima di essere riconosciuta e praticata consapevolmente, l’agricoltura sociale ha rappresentato una diversa modalità di esercizio dell’impresa, sorgendo dal basso, grazie a iniziative individuali o collettive, seppure in mancanza di riferimenti normativi, in Italia come in Europa. Queste realtà virtuose si sono diffuse nei territori, adattandosi in base alle circostanze imprenditoriali e sociali, fino a spingere le istituzioni a legiferare in materia. Al 2013 risale il Parere del Comitato economico e sociale europeo (2013/C 44/07), che ha espresso il suo sostegno a queste esperienze, stimolando anche un approccio multidisciplinare e collaborativo con le amministrazioni pubbliche e la ricerca accademica, per appoggiarne lo sviluppo e la governance.
La legge italiana
Con la legge n. 141 del 18 agosto 2015, recante “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, in Italia sono state ufficialmente riconosciute le esperienze di questo tipo, chiarendo anche le finalità e la definizione normativa di “agricoltura sociale”, con la delimitazione soggettiva, le modalità di riconoscimento pubblico degli operatori e l’individuazione dei beneficiari delle attività. Infatti, la legge promuove queste iniziative in quanto “aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole, finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate”. In sintesi, si tratta di attività finalizzate a:
- inserimento socio-lavorativo di individui con disabilità e svantaggiatiin età lavorativa, inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale;
- prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali, con l’uso di risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana;
- prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati, anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;
- progetti volti all’educazione alimentare e ambientale, alla salvaguardia della biodiversità, nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.
Il percorso normativo deve essere concluso
L’approvazione della legge nazionale è stata accompagnata da iniziative da parte di molte Regioni che si sono espresse in materia, come nel caso dell’Emilia-Romagna. Il percorso normativo, però, è tuttora un’opera incompiuta, precisa Roberto Moncalvo di Coldiretti. Infatti, “alla legge del 2015 ha fatto seguito un decreto attuativo del 2018, ma le linee guida operative non sono ancora uscite. Questo iter rallentato è dovuto allo scontro acceso tra le diverse visioni sul concetto e sulla progettualità dell’agricoltura sociale. Per Coldiretti, è imprescindibile prendere atto della necessità di collaborazione tra aziende, Stato e realtà sociali. Siamo alle prese con un lavoro ancora in corso, e speriamo che il superamento della pandemia consenta di recuperare attenzione sul tema, chiudendo questo capitolo. Nel frattempo, le aziende stanno andando avanti, ma con fatica, perché per riuscire a realizzare i loro progetti devono ricorrere a complicate soluzioni per restare nella piena legalità. Quando avremo una norma più chiara sarà più facile realizzare quello che finora i più innovatori hanno già fatto, e a quel punto i numeri potranno crescere, perché ci saranno binari definiti su cui muoversi. Ci saranno belle novità di cui parlare”.
[elementor-template id='142071']Un valore aggiunto per le imprese agricole
In occasione del Festival del giornalismo alimentare, il giornalista Sandro Capitani ha sottolineato che “l’agricoltura sociale è un tema importante e nuovo, regolamentato da pochi anni, e che allarga il campo dell’agricoltura non più soltanto alla produzione di beni di prima necessità e di reddito, ma rivolgendosi anche a chi ha bisogno di aiuto e sostegno. Queste attività legate all’esperienza agricola possono aiutare ad affrontare problemi sociali e personali con uno spirito diverso, una visione più ampia, che guarda alla natura, agli animali e alla terra”.
Secondo Francesco Di Iacovo, professore di Economia agraria dell’Università di Pisa, “non si tratta di una semplice innovazione di prodotto o di sistema. La pandemia ci ha imposto un confronto con i limiti imposti da circostanze naturali, per quanto imprevedibili. L’agricoltura sociale ci fa considerare l’attività agricola in modo nuovo, comprendendo il valore etico e i servizi per le persone che questa può veicolare. La legge 141 del 2015, definendo cos’è l’agricoltura sociale, fa riferimento alle aziende agricole, all’uso delle piante, all’inclusione e alla valorizzazione delle strutture per le attività svolte. Queste pratiche mettono a disposizione servizi innovativi – che normalmente mancano o scarseggiano – valorizzando le risorse presenti, a beneficio degli individui come delle comunità. Così facendo, si riescono a trovare soluzioni in cui vincono tutti: le aziende, le comunità, le persone, le famiglie e lo stesso sistema agroalimentare locale, che offre prodotti di qualità dal punto di vista alimentare e ambientale. A maggior ragione in una fase di crisi, l’agricoltura sociale può mettere a disposizione nuovi strumenti e nuove modalità per generare valore economico e socio-relazionale”.
L’agricoltura sociale secondo l’esperienza di Coldiretti
Il dibattito torinese si è arricchito del contributo di Roberto Moncalvo, responsabile Agricoltura sociale Coldiretti e presidente Coldiretti Piemonte, che ha potuto raccontare l’esperienza sul campo di tanti associati. Ricordando le origini del percorso storico e culturale che ha generato queste realtà virtuose, “parliamo di un settore con radici profonde in ambito solidaristico, perché l’agricoltura, per motivi sociali e ambientali, da sempre ha una vocazione inclusiva che altri settori produttivi non hanno. Storicamente, soprattutto nella struttura italiana delle famiglie contadine, la capacità di includere c’è sempre stata. Oggi, con un percorso che potrebbe essere definito di retro-innovazione, dobbiamo recuperare questa dote, presente e diffusa, all’interno delle potenzialità imprenditoriali delle aziende, creando una nuova proposta di welfare al servizio dei territori. E si può fare molto più semplicemente di quanto si possa pensare, perché si tratta appunto di una caratteristica innata: sul territorio ci capita di incontrare aziende che fanno agricoltura sociale senza saperlo. Per avere grandi risultati, occorre mettere a sistema tutto ciò, costituendo un servizio che ha qualità e riconoscibilità da parte dell’ente pubblico, in grado di offrire garanzie agli utenti, che possono essere persone in difficoltà di qualsiasi tipo o cittadini residenti in territori svantaggiati o isolati, quali la montagna o le periferie cittadine, dove i servizi non sono sufficienti in termini qualitativi o quantitativi”.
L’orizzonte definito dalla legge è molto ampio, prosegue Moncalvo, e “comprende persone svantaggiate, in cura, come anche chi, pur non potendo lavorare in agricoltura, può avere un miglioramento della propria qualità della vita, ad esempio grazie a terapie in cucina o in relazione con gli animali e le piante. Si può trattare anche di servizi pressoché necessari per vivere in aree potenzialmente isolate, come le comunità montane, dove non sono sufficienti le sovvenzioni economiche statali o europee, ma occorre una rete di servizi sociali garantiti per poter costruire una famiglia, con progetti di supporto e culturali che coinvolgano dai bambini agli anziani”.
Far coesistere attività economiche, progetti di valore sociale e collaborazioni virtuose
Come puntualizzato dal responsabile Agricoltura sociale di Coldiretti, “la fragilità che in genere contraddistingue le attività sociali legate all’agricoltura è legata alla loro dipendenza da elargizioni pubbliche o da finanziamento privato. Se invece queste attività rientrano nell’ambito delle aziende agricole, che si sostengono con la produzione alimentare, possono essere molto più sostenibili economicamente. L’agricoltore, infatti, ha le strutture per avviare questo percorso, e in tal senso le relazioni delle imprese agricole con il privato possono realizzare progetti e attività di agricoltura sociale. Si tratta di attività multifunzionali connesse a quelle principali delle aziende, tutto questo è realizzabile, ma richiede un grande lavoro di coinvolgimento sul territorio, perché si devono confrontare soggetti tradizionalmente distanti. Il ruolo di Coldiretti, a questo proposito, diventa appunto anche quello di tessere un contatto fondamentale tra le parti”.
I risultati positivi dei progetti, conclude Moncalvo, “sono confermati dalla soddisfazione degli utenti che usufruiscono dei servizi, come testimoniano le esperienze di tante aziende con le quali siamo in contatto. Gli effetti positivi si riflettono a livello sociale, per le singole persone come per lo Stato, che dovrà farsi carico di costi di gestione ridotti, grazie alla riduzione di determinate criticità, come ad esempio il consumo di psicofarmaci ma non solo. Anche per le aziende operare in agricoltura sociale è un vantaggio, sia quando sono retribuite, sia quando prestano servizio gratuitamente. In questa seconda eventualità migliorano la loro reputazione, e di conseguenza anche i loro prodotti valgono di più. In sostanza, le aziende hanno vantaggi, le persone stanno meglio e lo Stato risparmia. Ma per fare questo serve collaborazione: lo Stato e le aziende se non interagiscono non bastano. Se saremo bravi, nei prossimi dieci anni la nostra agricoltura, oltre a distinguersi per qualità, rispetto ambientale ed efficienza, vanterà anche la capacità di generare valore sociale attraverso la produzione di cibo”.
Mercati contadini e vendita diretta a supporto dell’agricoltura sociale
Occasione di incontro per eccellenza tra agricoltori e cittadini, anche i mercati contadini possono contribuire al sostegno dei progetti di agricoltura sociale. Come ha dichiarato Carmelo Troccoli, direttore Fondazione Campagna Amica, “le aziende agricole impegnate in questo senso si differenziano dalle altre realtà impegnate nel sociale per il rapporto complementare tra l’attività economica principale e i progetti solidaristici. Nei nostri mercati abbiamo scoperto che esiste un nesso solido e significativo tra vendita diretta e attività sociale. In quanto si tratta di piccole imprese familiari, che vivono essenzialmente dei loro prodotti, la vendita diretta rappresenta una delle strade predilette per poter sostenere le attività sociali. Non a caso, oltre il 70% delle imprese che operano in attività sociali fanno anche vendita diretta, nei mercati come nei punti vendita presso le stesse aziende”.
Dall’Unione di questa realtà, conclude Troccoli, “può nascere un nuovo modello di relazione tra campagna e città, che non sono più un luogo a sé stante rispetto al circondario, ma si integrano proficuamente in un territorio molto più vasto. La città accoglie la campagna, che a sua volta restituisce in termini di buon cibo, ma anche di servizi di valore sociale. Peraltro, i grandi centri negli ultimi anni hanno acquisito maggior rilievo dal punto di vista economico e di concentrazione della popolazione, e anche rispetto alle food policies risultano sempre più importanti. L’agricoltura sociale, quindi, è uno dei contenitori nei quali si dovrà investire in futuro, perché alimenta queste nuove relazioni con la campagna, anche intervenendo nei quartieri periferici finora più in difficoltà, dove può offrire un sostegno di prossimità”.
Avevate già sentito parlare di agricoltura sociale? Vi è capitato di conoscere progetti interessanti?