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Agricoltura simbiotica: perché è considerata la nuova frontiera della sostenibilità?

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L’agricoltura simbiotica rappresenta un passo avanti significativo nel segno dell’ambiente e della qualità, nell’ambito dei metodi di produzione alimentare. Com’è noto, l’attenzione per questi temi è sempre più alta, e lo stesso vale per le conseguenze ecologiche di ciò che arriva sulle nostre tavole. Nel contesto attuale, questa forma di coltivazione “collaborativa” nei confronti della natura – che favorisce uno sviluppo sano e omogeneo delle piante, oltre ad avvalersi già di un sistema di certificazione – sembra anticipare il futuro del cibo sostenibile. Ma cosa prevede e che vantaggi promette? Dopo aver trattato i metodi dell’agricoltura rigenerativa, con questo approfondimento cercheremo di saperne di più.

Agricoltura simbiotica: cos’è e su cosa si basa?

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Nella ricerca costante di metodi di produzione etici ed ecocompatibili, l’agricoltura simbiotica oggi rappresenta un’avanguardia, che potrebbe ispirare, o perlomeno orientare, il sistema agroalimentare del futuro, oltre il biologico. Questa metodologia di coltivazione, basata sul rafforzamento dei legami tra le piante e gli organismi presenti nel terreno, si concentra sulla crescita sana ed equilibrata delle piante, partendo da una fertilizzazione del terreno naturale ed efficace. Da alcuni anni, è stato istituito un consorzio di produttori, e possiamo trovare cibi con questo marchio (certificazione di sistema volontaria privata), il cui simbolo della radice richiama processi complessi, derivati da studi e tecniche specifici.

Questa forma di agricoltura si fonda sulla valorizzazione dell’azione congiunta dei tre “protagonisti” della catena alimentare – terra, animali ed essere umano – il cui ruolo è decisivo per determinarne il successo. Tutto inizia proprio dalla cura del suolo e, per esaltarne le potenzialità, l’agricoltura simbiotica si focalizza sui microrganismi in esso presenti – funghi, batteri e lieviti – i quali, per l’appunto, operano insieme alle piante, sostenendone il vigore e la salute e permettendo la produzione di frutta e verdura di qualità. Questa visione, pertanto, considera attentamente la grande varietà microbiologica presente nei terreni, dove in pochi grammi si possono trovare più di cento milioni di organismi, che nel loro insieme costituiscono il biota microbico, fondamentale per soddisfare le esigenze delle coltivazioni.

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Il motore del processo è la micorriza, ovvero la simbiosi che si attua nel suolo tra alcuni funghi ad azione positiva e l’apparato radicale della pianta: avviene quindi uno scambio proficuo di nutrienti e flora batterica, che può essere favorito dall’immissione controllata di microorganismi. Attraverso la micorizzazione, i prodotti agricoli e gli alimenti da essi ottenuti si arricchiscono di preziosi microelementi.

È curioso notare che gran parte degli sforzi di questa forma di coltivazione sono dedicati a ciò che avviene al di sotto della superficie del terreno, dove le radici si propagano e trovano acqua e nutrimento, ma anche un’importante difesa dagli agenti dannosi per tutta la pianta. A beneficiare della simbiosi, inoltre, sono gli animali, che possono alimentarsi con vegetali dall’elevato valore nutrizionale. Della qualità dei prodotti da essi derivati, invece, può godere l’essere umano, parte integrante di questo ciclo.

Agricoltura simbiotica: le origini e il “superorganismo”

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Questa forma di agricoltura, molto recente, si è sviluppata in seguito a studi e sperimentazioni grazie al Consorzio eco-simbiotico, presieduto da Sergio Capaldo, già responsabile zootecnia di Slow Food e direttore del Consorzio di allevatori “La Granda” di Genola, nel Cuneese. L’iniziativa parte dalla rivalutazione del legame indissolubile tra le piante e i microrganismi dei terreni, che l’agricoltura intensiva aveva progressivamente trascurato, se non annientato. Infatti, l’uso di diserbanti, insetticidi e fitofarmaci, concepito per proteggere le coltivazioni, non ha considerato a sufficienza i danni di lungo periodo dovuti alla perdita di fertilità.

In questo senso, il concetto di “superorganismo”, alla base dell’agricoltura simbiotica, risponde a una visione che non tiene conto abbastanza delle conseguenze dell’attività umana sulla terra. Il rapporto simbiotico che avviene in agricoltura è inteso come una sorta di unico essere vivente, dove, nell’insieme della ricchezza genetica presente in campo, il DNA della pianta coltivata rappresenta non più dell’1% del patrimonio complessivo, mentre il restante 99% deriva da funghi, batteri e microrganismi presenti nel suolo. Questo sistema complesso, che vede le piante all’interno di una vasta rete cooperativa, sarebbe per gran parte resistente alle malattie e in grado di autocurarsi. Sono evidenti le analogie con il rapporto tra gli esseri umani e il loro microbiota intestinale, la cui flora batterica è fondamentale per digerire e sintetizzare i nutrienti, come per preservare il sistema immunitario dell’organismo. Allo stesso modo, quindi, anche le piante su cui si basa l’approvvigionamento alimentare hanno un rapporto proficuo con i microbi “buoni”, presenti sulle foglie, nelle radici e nel suolo.

Valorizzare i microorganismi che vivono con le piante

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Se il modello intensivo ha sostanzialmente negato l’importanza di questi equilibri – distruggendo i vulnerabili microrganismi del suolo senza distinguere tra “buoni” e “cattivi” – l’agricoltura simbiotica nasce proprio con lo scopo di proteggerli e valorizzarli, in funzione della fertilità del suolo. Secondo questa impostazione, la risposta all’indebolimento delle coltivazioni sarebbe invece la capacità protettiva e rinvigorente degli stessi microrganismi che vivono insieme alle piante. L’inoculazione di un biota microbico, frutto della ricerca biotecnologica italiana, insieme al letame, è l’unico fertilizzante previsto, che peraltro dimostra quanto questo metodo debba alle moderne tecnologie, lungi da una visione nostalgica e contraria al progresso scientifico. Tra questi microrganismi, i funghi simbionti hanno un ruolo basilare, perché creano la micorriza, amplificano l’apparato radicale delle piante e mettendole in relazione tra loro, all’interno di un sistema.

Agricoltura simbiotica: conseguenze e vantaggi

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Questo approccio offrirebbe una serie di vantaggi, sia diretti e relativi al consumo dei prodotti, che indiretti e legati all’ambiente. In sintesi, ecco quali benefici promette l’agricoltura simbiotica sulla natura, sulla coltivazione e nell’alimentazione, tre aspetti strettamente correlati fra loro.

  1. Natura. Il vantaggio complessivo riguarda la ricostituzione dei cicli naturali, a loro volta indispensabili per la catena alimentare, dalla coltivazione agli animali allevati, fino alla nutrizione umana. Queste componenti vengono messe in stretta relazione, e il tutto parte dalla riqualificazione dei terreni e degli ecosistemi agricoli. L’agricoltura simbiotica vieta l’utilizzo di fertilizzanti chimici, fitofarmaci, ogm e sementi ibride, mentre la concimazione dei terreni deve avvenire utilizzando unicamente sostanze naturali.
  2. Coltivazione. Il primo obiettivo dell’agricoltura simbiotica è il rafforzamento delle radici delle varietà coltivate, tale da garantire una maggiore resistenza all’azione degli agenti esterni. Questa protezione naturale permette di fare a meno dei prodotti chimici, oltre ad aumentare la fertilità del suolo.
  3. Alimentazione. L’agricoltura simbiotica si pone l’ambizioso obiettivo di produrre cibi funzionali, migliori sul piano nutrizionale, dove la materia prima è portata al suo massimo potenziale. In particolare, a spiccare è la ricchezza microbiologica, della quale beneficia la nostra flora batterica, che, come abbiamo visto, è determinante per la salute complessiva, compreso il contrasto preventivo del diabete e dell’obesità. Il biota della terra, pertanto, finisce per raggiungere il microbiota intestinale umano. Di questo aspetto, inoltre, trarrebbero vantaggio anche gli animali allevati secondo i principi di questo metodo, quindi nutriti con latte materno e prodotti della terra; infine, l’agricoltura simbiotica vieta i trattamenti con ormoni, medicinali e antibiotici.
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La simbiosi sarà il futuro della produzione alimentare?

Nel panorama della produzione sostenibile, l’agricoltura simbiotica ha richiamato l’attenzione per aver offerto – forse per la prima volta in maniera così definita – una prospettiva di azione umana completamente inserita nelle dinamiche circolari dettate dalla natura. Peraltro, al centro di questo metodo viene posta la fertilità dei suoli, tema guida per l’agricoltura contemporanea in senso lato, imposto dalle circostanze ambientali che stiamo vivendo. In questo senso, la sfida è duplice: da un lato, la crescita della domanda alimentare globale, che impone incrementi di produttività e prezzi contenuti, anche considerando la nuova crisi economica già in corso; dall’altro, una disponibilità di risorse sempre più esigua e una questione ambientale lungi dall’essere risolta.

Valutando questa situazione così complessa, i temi della biodiversità agricola e della qualità dei suoli diventano sempre più rilevanti per il settore, anche tenendo presente il costante aumento della domanda di cibi da produzioni etiche e sostenibili. L’agricoltura simbiotica, quindi, risponde con un modello innovativo, dal forte valore aggiunto sui prodotti, che, oltre alla sostenibilità, promettono qualità nutraceutiche. Tuttavia, è prematuro riconoscere questo metodo come la traccia chiara per l’agricoltura del futuro, soprattutto considerando la sua recente istituzione e alla luce della diffusione sui territori, al momento molto limitata. Pur rappresentando ancora una piccola nicchia, il suo contributo teorico, pratico e scientifico potrà risultare prezioso.

Avevate già sentito parlare dell’agricoltura simbiotica?

 

Fonti:

Agricolturasimbiotica.it

CCPB Certificazione

 

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