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Il futuro dell’agricoltura nell’UE? È biologico e sostenibile

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Lo sviluppo del settore primario in Europa passa attraverso l’ampliamento della normativa sull’agricoltura biologica. Questa la direzione segnata dall’Unione Europea che, grazie a bandi aperti alle aziende e fondi destinati ai singoli Paesi membri, identifica i fattori che devono caratterizzare un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, degli animali e delle persone.

Il biologico, dunque, è un fattore di traino e di crescita, anche economica. Dopo le difficoltà dettate dalla pandemia, l’UE identifica nel settore il principale motore di una ripartenza capace di generare ricadute positive sulle imprese, sull’ambiente e sui consumatori. Per approfondire il quadro dell’agricoltura biologica in merito alla normativa europea e, dunque, capire quali sono i confini e gli obiettivi delle politiche comunitarie, abbiamo intervistato l’avvocato Antonio de Capoa, esperto di diritto commerciale e dell’UE.

Il biologico come fattore di sviluppo nell’Unione Europea

Crescita economica e sostenibilità. Questi sono i due elementi che vengono riconosciuti all’agricoltura biologica, che la pongono al centro delle strategie di sviluppo dell’Unione Europea e dei Paesi Membri. In Italia, la superficie di terreno agricolo destinata all’agricoltura biologica è passata da 1,3 milioni di ettari nel 2014 a oltre 2 milioni nel 2020. Un quota che tenderà a crescere, secondo quanto previsto dalla Legge sull’agricoltura biologica approvata nel mese di marzo e operativa dallo scorso 7 aprile.

agricoltura bio farm to fork
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Si è trattato di un momento storico per il settore perché, a poche settimane di distanza dall’entrata in vigore del Regolamento UE 2018/848 sull’agricoltura biologica (1 gennaio 2022), sono state definite le caratteristiche dell’impresa agricola bio ed è stato identificato un cospicuo fondo di sostegno e sviluppo. Di fatto, come ricorda anche Andrea Tiso, presidente di Confeuro, “L’Italia dispone ora degli strumenti normativi e delle risorse per consolidare il suo primato europeo grazie alle oltre 80 mila imprese certificate bio.”

Italia e Unione Europea, dunque, si muovono in maniera armonica e coerente, nel quadro della strategia Farm to Fork e del Green Deal, strumenti programmatici e politici che identificano nella sostenibilità il valore imprescindibile di ogni azione in ambito agroalimentare in tutti i Paesi membri. Tuttavia l’attenzione al biologico in Europa non è una novità.

“Il primo regolamento UE focalizzato sul tema” spiega l’avv. de Capoa, “risale alla fine degli anni Novanta. Ci sono stati degli aggiornamenti normativi nel 2007 e nel 2018 che hanno portato all’entrata in vigore del Regolamento 2018/848 il 1 gennaio scorso. Questo ci permette di capire come l’argomento della normazione dell’agricoltura biologica sia sempre stato estremamente rilevante.” 

La produzione agricola biologica secondo l’UE

L’agricoltura biologica in ambito normativo UE ha un’accezione specifica. “Pensiamo a un sistema globale di gestione di un’azienda agricola, a prescindere dalle dimensioni e dalla tipologia di produzione alimentare” spiega l’avvocato de Capoa. “Dalla semina della materia prima fino ai processi di trasformazione, ogni passaggio della filiera può essere coerente con il bio.” 

L’obiettivo, evidenzia l’avvocato, è far interagire le migliori prassi in termini di tutela e protezione dell’ambiente: “un concetto che, a sua volta, include l’azione contro la crisi climatica, la salvaguardia delle risorse naturali, l’attenzione al benessere degli animali e allo sviluppo rurale, la protezione della biodiversità.”

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Un prodotto biologico, dal punto di vista dell’UE, è quindi frutto di un sistema globale e inserito in un’attività agricola che rispetti tutti questi elementi. È superata l’idea per cui realizzare una coltura bio significhi solamente non utilizzare determinati prodotti, senza agire sul contesto dell’azienda e sulla filiera. 

L’Unione Europea dunque, attraverso il nuovo regolamento, definisce più chiaramente chi sia l’imprenditore agricolo, ovvero la figura che può accedere ai finanziamenti. “La normativa comunitaria” spiega l’avvocato, “identifica la figura dell’agricoltore attivo, un professionista che deve dimostrare di essere presente nel settore e non semplicemente un soggetto che saltuariamente si reca sul campo, mentre la gestione dell’impresa è demandata ad altri.”

Parte dei fondi messi a disposizione sono dedicati, infine, alla formazione e all’informazione rivolta sia ai soggetti che operano lungo la filiera sia ai consumatori. È fondamentale che le definizioni siano condivise, che cresca una maggiore consapevolezza di ciò che è biologico e del valore che questo aspetto assume nella relazione tra i diversi attori coinvolti, dal campo alla tavola.

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L’obiettivo: arrivare al 25% di agricoltura biologica entro il 2030

L’Unione Europea ha identificato e adottato diversi strumenti che inquadrano e incentivano lo sviluppo dell’agricoltura biologica. Oltre al Regolamento 2018/848 di cui abbiamo già parlato, è importante citare i due pilastri della Politica agricola comune (il Fondo Europeo di Garanzia Agricola con dotazione di 291 miliardi e il Fondo Europeo Agricolo per lo sviluppo rurale con dotazione 95,5 miliardi di euro), e il Piano di Sostenibilità 2023/2027 che mira ad aumentare in modo rilevante la produzione biologica, passando dal 16% dell’intero settore agricolo al 25% – obiettivo ripreso anche dalla legge italiana. 

Ma le disposizioni dell’UE non finiscono qui, come spiega l’avv. de Capoa evidenziando il massiccio piano di finanziamenti messi a disposizione. “Solamente per l’Italia, l’Unione Europea ha stanziato 3 miliardi di euro. Di questi, 30 milioni sono già stati accantonati nel Fondo per il biologico, 300 milioni di euro sono previsti nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e il resto sarà spalmato in cinque anni. Si tratta di una quantità rilevante di denaro che viene messa a disposizione degli operatori.” 

Altrettanto rilevante per comprendere il quadro di sviluppo dell’agricoltura biologica in Europa è la PAC (Politica Agricola Comune), riformata nell’autunno 2021. 

“Un elemento interessante” sottolinea l’avvocato, “è che parte dei fondi viene gestita dagli Stati e dalle Regione, mentre un segmento è rimasto a gestione diretta dell’Unione Europea. Ciò significa che un agricoltore ha la possibilità di rivolgersi direttamente all’UE per richiedere un sostegno per progetti di sviluppo e innovazione. La Commissione ha istituito un servizio ad hoc di valutazione degli studi, assistenza tecnica, formazione e consulenza. Inoltre vengono istituiti con regolarità bandi di gara aperti alle singole imprese, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale UE.”

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Complessivamente, l’Unione Europea ha stabilito una dotazione molto ampia e diversificata di fondi destinati all’agricoltura in generale, ma l’avvocato de Capoa evidenzia quanto chi fa produzione biologica integrata sia avvantaggiato nel momento in cui presenta domanda di finanziamento, perché è questo il tipo di sviluppo che l’UE tende a privilegiare. 

Agricoltura biologica, un sistema integrato ed equilibrato

“Oggi sono molte le opportunità per chi ha un’attività agricola e cerca, contemporaneamente, di essere competitivo e di operare in un sistema che definisco ‘tondo’ in cui sostenibilità, protezione dell’ambiente e benessere animale siano in equilibrio. Si innesca così un circolo virtuoso, riconosciuto e sostenuto anche economicamente”, conclude de Capoa. 

L’Unione Europea, dunque, sceglie di investire sul biologico perché riconosce in esso la capacità di contribuire al perseguimento di tre fondamentali obiettivi:

“Pensiamo all’idea di un’agricoltura coerente dal terreno al piatto” conclude l’avvocato de Capoa. “E se effettivamente si raggiungerà la percentuale del 25% di terreni agricoli votati al bio entro il 2030 su scala europea, sarà una grande vittoria”.

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