Acquacoltura e fake news: le false notizie da smascherare

acquacoltura

 

 

Sul pesce allevato da tempo circolano notizie false e allarmistiche, soprattutto quando si parla di sostenibilità, salute e impiego di farmaci. L’acquacoltura inquina l’ambiente e impiega grandi quantità di antibiotici? Il pesce d’allevamento spesso viene spacciato per pescato? Per fare chiarezza su questi e altri aspetti, in occasione della quarta edizione del Festival del giornalismo alimentare di Torino, è stato organizzato un dibattito con esperti autorevoli, specializzati nei diversi ambiti legati all’acquacoltura. Dopo aver approfondito le peculiarità della pesca sostenibile, stavolta cercheremo quindi di smascherare alcune delle fake news più diffuse riguardo a questo settore.

Acquacoltura e fake news: se ne parla al Festival del giornalismo alimentare

Acquacoltura, pesci che nuotano in un mare di fake news: non poteva essere più eloquente il titolo del panel moderato da Valentina Tepedino, direttrice di Eurofishmarket, che si è svolto nell’edizione 2019 del Festival del giornalismo alimentare. Partiamo proprio dalle notizie false che sono state smentite in quell’occasione, riportando i contributi degli esperti intervenuti.

L’acquacoltura impoverisce l’ambiente e non è sostenibile?

La crescente attenzione dei consumatori per le tematiche ambientali ha offerto terreno fertile per l’attecchimento di questa credenza, confutata a più riprese durante il dibattito. Nel presentare Acqua in bocca, un’interessante guida pratica contro le fake news sul pesce allevato, Umberto Luzzana di Skretting mangimi ha innanzitutto sottolineato che oggi dall’acquacoltura provengono circa 80 milioni di tonnellate all’anno di prodotto, mentre la pesca è ferma a 90, con molti degli stock ittici a livello di sovrasfruttamento. Per sostenere l’aumento globale di popolazione, secondo gli obiettivi della Fao per il 2030, saranno necessari ulteriori 30 milioni di tonnellate di pesce: ecco perché solo l’allevamento può consentire di raggiungere un simile risultato e rendere disponibili tali volumi.

Riguardo a questi aspetti, spesso si legge che l’acquacoltura depaupera gli ecosistemi perché genera meno prodotto rispetto a ciò di cui necessita per l’alimentazione dei pesci stessi. I sostenitori di questa tesi riportano consumi dai 5 ai 15 chilogrammi di pesce per ottenere un solo chilogrammo di prodotto allevato. Un’altra informazione falsa, in quanto il reale indice fish in – fish out (rapporto fra consumi e resa) è inferiore a uno, ovvero per ottenere un chilo di prodotto allevato serve meno di un chilo di pesce (usato come mangime). L’acquacoltura, in sostanza, è un produttore netto, evidenza sulla quale la Fao fa affidamento, come riportato precedentemente.

allevamento pesce fake news
tanakornsar/shutterstock.com

I mangimi moderni sono nocivi e peggiorano la qualità del pesce?

Questo falso mito, strettamente legato a quello precedente, lascia dedurre una malcelata sfiducia per le innovazioni tecnologiche applicate alla nutrizione animale, e, più in generale, al cibo del futuro. Proseguendo nel suo intervento, incentrato soprattutto sulla sostenibilità, Luzzana ha dichiarato che la mangimistica è un esempio virtuoso di economia circolare, in quanto recupera i sottoprodotti delle macellazione e dell’itticoltura. Per chiarire la situazione, bisogna sapere che secondo la Fefac (Federazione europea dei produttori di mangimi) in Europa e Norvegia si producono 2 milioni di tonnellate di mangime destinato ai salmonidi (salmone e trota), mentre nell’Ue la disponibilità di sottoprodotti della macellazione ammonta a 15 milioni di tonnellate e lo spreco alimentare raggiunge i 100 milioni di tonnellate. Pertanto, risulta evidente l’importanza di recuperare una risorsa così abbondante e preziosa per l’alimentazione animale.

mangime pesci acquacoltura
Choksawatdikorn/shutterstock.com

Su questi temi è intervenuto anche il professor Marco Saroglia dell’Università dell’Insubria, che ha paragonato i mangimi utilizzati in acquacoltura alla benzina per la Formula 1, trattandosi di prodotti che vengono prima dettagliatamente studiati e perfettamente bilanciati, concepiti per garantire qualità, salubrità, sostenibilità e abbattimento nell’uso di farmaci. La mangimistica utilizza anche farine ricavate dagli insetti, ricchissime di proteine e fisiologicamente simili all’alimentazione dei pesci in natura, come abbiamo visto nel nostro approfondimento sull’allevamento della trota. Come testimonia il progetto Ager 4F, la ricerca in questo ambito si impegna per offrire ai pesci una dieta ideale, per la salute degli esemplari e del consumatore finale. Anche in questo settore, peraltro, i controlli sono rigorosi ed è massimo lo sforzo per limitare la presenza di microplastiche – presenti quasi ovunque in natura – monitorando le materie prime, a partire dalle farine proteiche.

Il salmone norvegese è pieno di antibiotici?

Tra le varie fake news sul pesce allevato, questa si riferisce a una determinata produzione collocata in una precisa area geografica. L’allevamento del salmone è un’attività importante per l’economia norvegese, con esportazioni che interessano tutto il mondo, fattore che probabilmente spinge a nutrire dubbi sulla qualità finale del pesce considerando i volumi prodotti. Presentando dati scientifici inequivocabili e disponibili per tutti, l’intervento di Erik-Jan Lock, responsabile di ricerca dell’Institute of Marine Research di Bergen, ha però smentito questi timori, ricordando anche che quando si parla di sicurezza alimentare, ogni figura interessata ha un punto di vista diverso, e anche se quello del consumatore non è uguale a quello dell’azienda, tutti desiderano un prodotto sano e di qualità.

allevamento salmoni
Allevamento di salmoni in Norvegia – Marius Dobilas/shutterstock.com

L’Istituto norvegese, finanziato dal governo e con possibilità limitate di collaborazione con aziende private, è tra i principali a occuparsi del controllo del pesce pescato e allevato, non solo in territorio norvegese ma anche in acque internazionali. L’indipendenza e l’obiettività, pertanto, sono prioritarie e i dati prodotti sono liberamente consultabili da chiunque, motivi che ne fanno un’istituzione di riferimento a livello europeo.

La raccolta dei dati prevede un prelievo ogni 100 tonnellate di pesce, dato che indicativamente corrisponde a circa 14mila campioni all’anno, lavoro che compete all’autorità alimentare norvegese, che poi provvede a inviarli all’Istituto di ricerca marina. Alla schedatura segue l’analisi in laboratorio, con metodologie accreditate a livello internazionale, che vengono riviste e ispezionate due volte all’anno da un gruppo di esperti esterno e indipendente, proveniente dall’autorità per la sicurezza alimentare norvegese e dall’Efsa. I metodi di analisi, quindi, sono sempre aggiornati rispetto alle nuove sostanze da investigare. I dati che si ottengono vengono condivisi e resi disponibili per tutti tramite il sito web dell’ente, oltre a essere inviati al governo norvegese e alla Commissione europea, al fine di consigliare e indirizzare la gestione della fauna ittica e migliorare gli ecosistemi nei quali gli esemplari vengono allevati.

Gran parte dei mangimi oggi è di origine vegetale, di conseguenza vengono ricercati tutti i contaminanti e le tossine potenzialmente presenti nelle coltivazioni di origine.

Circa un terzo dei campioni controllati deriva dall’acquacoltura, e fra le sostanze monitorate ci sono gli ormoni della crescita, gli antibiotici e i farmaci illegali per queste produzioni alimentari, oltre agli inquinanti ambientali, come la diossina e i pcb (policlorobifenili); tutte sostanze che devono rientrare nei parametri previsti dall’Unione europea. È immediatamente comprensibile, quindi, come il timore sui mancati controlli o contaminazioni del prodotto ittico norvegese, non trovino fondamento.

pesce d'allevamento
Daracha Thiammueang/shutterstock.com

Anche sull’uso di antibiotici circolano molte notizie false: in realtà nel corso degli anni il loro utilizzo è andato progressivamente riducendosi, e oggi è estremamente limitato, ha puntualizzato Lock. In Norvegia, infatti, l’uso di questi farmaci – non necessario, come ha sottolineato Saroglia – è molto più basso rispetto ad altri Paesi europei, non solo per l’itticoltura ma anche per l’allevamento animale, in base a dati comparativi che mostrano le differenze tra le diverse situazioni nazionali.

L’allevamento ittico favorisce la resistenza agli antibiotici?

A questa falsa credenza si è già risposto, ma il contributo di Antonio Sorice della Società scientifica di veterinaria preventiva ha chiarito ulteriormente la situazione. Va detto, innanzitutto, che la resistenza agli antibiotici è un problema serio del nostro secolo, che ha l’attenzione di tutte le autorità sanitarie e che coinvolge la medicina umana e non solo la veterinaria. Questo rischio non è una novità, ed è noto che alcuni antibiotici non agiscono su determinati germi. La riproduzione di questi organismi, estremamente rapida, da una generazione all’altra può trasmettere la resistenza, tantoché i farmaci finiscono per risultare inefficaci. Bisogna distinguere, però, tra questo fenomeno e la presenza di residui di farmaci negli alimenti, casistica totalmente diversa e peraltro di impatto molto basso in Italia.

I controlli non mancano e le autorità competenti stanno affrontando il rischio di antibiotico-resistenza partendo dalla prevenzione, lavorando sulle metodologie di allevamento e sulla gestione zootecnia. Con la prescrizione veterinaria elettronica, inoltre, sarà possibile tracciare tutti i farmaci veterinari utilizzati, almeno quelli che seguono i canali legali. L’allevamento e l’acquacoltura sono settori da monitorare con particolare attenzione, ma i controlli ci sono e in Italia si fanno più che altrove, come testimoniano i sequestri. In chiusura, Sorice ha sottolineato che è sbagliato bocciare a priori l’allevamento ed esaltare solo la pesca.

allevamento ittico
Phensri Ngamsommitr/shutterstock.com

Il pesce allevato viene spesso spacciato per pescato?

Come ha puntualizzato il comandante Giuseppe Bonelli, capo operativo della Capitaneria di porto di Genova, si tratta di un’eventualità piuttosto rara, alla luce di una panoramica sulle infrazioni. Nel 2018 è stato accertato un solo caso del genere, che ha portato al sequestro di 100 chilogrammi di branzino.

Alla Guardia costiera compete il controllo ai fini della tutela dell’ambiente marino, degli stock ittici e della filiera, per garantire che sulle tavole arrivino prodotti sani e tracciabili. Avvalendosi della collaborazione con Asl, Carabinieri e Polizia municipale, questo organismo opera su tutto il territorio nazionale, sotto l’egida del Ministero delle Politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo.

Nel 2018 sono state quasi 130mila le ispezioni, sia in mare che a terra, forti dell’impiego di 5mila addetti, con mezzi navali, aerei e terrestri. I reati accertati sono stati quasi 500, 5600 le violazioni amministrative, circa 500 le tonnellate di pesce sequestrate, per un valore di 20 milioni di euro, e 6000 le contravvenzioni, pari nel complesso a 12 milioni di euro. Dati che mostrano come i controlli nel nostro Paese non manchino, pur essendo importante che anche i consumatori sappiano come tutelarsi, imparando a riconoscere il pesce fresco, informandosi e abituandosi a leggere le etichette.

 

In conclusione, gli esperti hanno ribadito che l’allevamento ittico in Italia non è sufficientemente conosciuto e apprezzato. Ad esempio, nel nostro Paese, primo per la produzione di caviale da acquacoltura, questa attività produce 60mila tonnellate di pesce all’anno, con grande varietà di specie – in particolare trote, orate, spigole, storioni e ciprinidi – spesso grazie a una rete di piccole imprese. Il pesce allevato in Europa, in generale, ha un sistema normativo e di controlli molto accurato, che garantisce sicurezza, aspetti che la campagna Farmed in Eu, rivolta alle scuole, mira a valorizzare.

Anche per questi motivi, il settore va protetto dalle fake news, considerando solo le fonti di informazioni scientifiche autorevoli e trasparenti, per diffondere una comunicazione corretta e responsabile.

 

Vi è mai capitato di incappare in una di queste notizie false e di considerarla vera?

 

Altre fonti:

Acqua in bocca. Guida pratica per non diffondere illusioni ittiche
Progetto Ager 4F
Institute of Marine Research – Bergen

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