Se volete vedere gli occhi di un modenese brillare, chiedetegli di parlarvi dell’aceto balsamico. Inizierà a raccontarvi con entusiasmo di quanto sia straordinaria, deliziosa e inimitabile questa specialità del suo territorio, e in breve vi troverete nel bel mezzo di un’approfondita conversazione su soffitte, batteri, legni di varie tipologie, densità, generazioni, e guai a voi se lasciate la Ghirlandina senza averlo provato! Insomma, non sarà il solito racconto incentrato su una specialità culinaria, ma piuttosto la vostra iniziazione ai precetti di una piccola religione professata tra i fiumi Secchia e Panaro, che prevede l’adorazione di un liquido di colore bruno scuro, quasi nero, dalle caratteristiche aromatiche uniche, in grado di nobilitare praticamente ogni pietanza: l’aceto balsamico di Modena.
Aceto balsamico di Modena: DOP e IGP
Volendo sintetizzare una lavorazione ricca di conoscenze artigianali e piccoli “segreti” tramandati nel tempo, vi diranno che la produzione dell’aceto balsamico inizia dopo la vendemmia con la cottura del mosto, che, una volta raffreddato, viene messo a riposare all’interno di botticelle realizzate in diversi legni, di grandezza decrescente, in un numero di cinque o sette. Di anno in anno, il liquido si restringe sempre di più per l’evaporazione e l’azione degli acetobatteri, e viene quindi travasato dalla botte più grande a quella successiva più piccola. È solo dopo il periodo di invecchiamento nell’ultima botte che si ottiene finalmente un liquido denso e scuro, dall’aroma penetrante e dal sapore dolciastro e pungente. Cioè l’aceto balsamico.
Tuttavia, siccome il vostro modenese, come tutti i suoi conterranei, sarà sicuramente molto competente in materia e orgoglioso di questa eccellenza, non potrà non iniziare da una distinzione molto importante da fare, quando si parla di aceto balsamico: quella fra Aceto balsamico tradizionale di Modena DOP e Aceto balsamico di Modena IGP. Non pensate neppure per un momento che siano diciture equivalenti o semplici sinonimi di una stessa cosa. Si tratta, invece, di prodotti derivanti da due diversi disciplinari che restituiscono risultati finali differenti nell’aroma, nella densità, nei sapori e non solo.
Per affrontare al meglio il tema delle diversità fra i due disciplinari, è bene iniziare da una piccola lezione di storia (e di climatologia).
Aceto balsamico: una specialità che viene da (molto) lontano
Il nome dell’aceto balsamico è strettamente legato alla città di Modena e ai suoi territori racchiusi a sud dall’Appennino e a nord dalla pianura che digrada verso il fiume Po. Una terra abitata sin da tempi antichissimi, della quale i coloni romani, arrivati attorno al III secolo a.C., avevano scoperto la fertilità e apprezzato in particolare le uve zuccherine che crescevano allo stato selvatico. Una volta addomesticati, i vitigni ricavati sarebbero diventati gli antenati degli attuali lambrusco e trebbiano. Il clima mite, ma caratterizzato da estati calde e afose e inverni rigidi e nebbiosi, rendeva le uve e i vini da esse ricavati non adatti all’invecchiamento e alla conservazione. Deve essere per questo che gli abitanti dell’antica Mutina dovettero affinare tecniche per mettere a frutto la loro produzione vitivinicola, come la bollitura del mosto effettuata subito dopo la pigiatura, che serviva a ottenere il mosto cotto, evitando la fermentazione e la vinificazione.
Una volta raffreddato, il mosto cotto poteva diventare saba, un liquido sciropposo alla base di alcune preparazioni come il savor, oppure poteva essere messo a maturare in botti di legno. Nei secoli la tecnica di maturazione è andata via via affinandosi, dalle prime descrizioni medievali di aceti detti “alla modenese”, simili all’odierno balsamico – già all’epoca ritenuti pregiati e degni di diventare doni per personalità importanti – fino all’epoca del ducato estense. A metà del XVIII secolo appare per la prima volta la dicitura “balsamico” nei registri di cantina degli Estensi ed era già uso che ogni famiglia patrizia della città possedesse un’acetaia, più o meno grande e antica, che costituiva una dote di grande valore o un’eredità da tramandare.
A questo punto, e con il diffondersi nel corso dei due secoli successivi della fama dell’aceto balsamico anche oltre il territorio modenese, la produzione di questo formidabile condimento era già stata ormai codificata nei suoi punti fondamentali, seguiti scrupolosamente dalle prime dinastie produttrici, alcune delle quali attive ancora oggi.
[elementor-template id='142071']L’Aceto balsamico tradizionale di Modena DOP: preparazione e maturazione
L’erede dell’aceto balsamico noto come “fine”, ovvero quello più invecchiato e prezioso, è oggi noto come Aceto balsamico tradizionale di Modena DOP, un prodotto di pregio che si ottiene con grande pazienza, materie prime eccellenti e seguendo rigorosamente il disciplinare riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole e forestali nel 2000.
L’Aceto balsamico tradizionale di Modena si ottiene dal mosto di uve provenienti da vitigni tipici rigorosamente coltivati nel territorio della provincia di Modena come il lambrusco, l’ancellotta, il trebbiano, il sauvignon e pochi altri selezionati. La bollitura del mosto, operazione che si esegue tra settembre e ottobre in seguito alla vendemmia, deve avvenire in vasi aperti per almeno 30 minuti.
Come anticipato, il mosto cotto deve poi affrontare una maturazione all’interno di botti di legno posizionate in locali, denominati acetaie, tradizionalmente posti nelle soffitte, che garantiscono un grado di umidità ideale per il processo chimico che porta al risultato finale. Le botti devono essere realizzate a regola d’arte da maestri bottai, con legni dalle caratteristiche aromatiche, che arricchiscono di note e profumi il prodotto durante l’invecchiamento. Quelli usati più di frequente sono rovere, castagno, ciliegio, frassino e gelso – cui si aggiunge il ginepro, più raro e pregiato e diffuso soprattutto nelle acetaie più antiche.
Il disciplinare prevede un invecchiamento minimo di 12 anni nelle botti di legno. Durante il periodo di maturazione, il prodotto, sottoposto a processi chimici completamente naturali e senza l’aggiunta di alcun additivo se non l’innesto eventuale di colonie batteriche note con il nome di “madre”, viene travasato dalla botte più grande a quella progressivamente più piccola. A ogni passaggio corrisponde la diminuzione del quantitativo di prodotto, a causa dell’evaporazione e della fermentazione naturale. Per ottenere un prodotto particolarmente pregiato – e dal valore ancora maggiore – l’invecchiamento può superare i 12 anni. In genere è motivo di orgoglio per un’acetaia la proposta di serie limitate di aceti balsamici con invecchiamenti che possono raggiungere i 25 anni.
Le caratteristiche dell’aceto balsamico di Modena DOP
All’uscita dall’ultima botticella, l’Aceto balsamico tradizionale di Modena deve corrispondere a queste caratteristiche:
- colore scuro, brunastro e carico
- densità apprezzabile e sciropposa
- profumo complesso e penetrante
- sapore agrodolce, aromatico e strutturato.
Il disciplinare prevede inoltre che l’imbottigliamento avvenga all’interno di bottigliette appositamente disegnate, dalla forma sferica e dalla base quadrata, in vetro massiccio trasparente, e dotate di un numero di serie e di un contrassegno da rompere all’apertura.
L’Aceto balsamico di Modena IGP: il disciplinare e la produzione
Erede di quello che tradizionalmente veniva definito “mezzo balsamico”, l’Aceto balsamico di Modena ha ottenuto l’iscrizione da parte dell’Unione Europea al registro delle produzioni IGP nel 2009 ed è la denominazione più diffusa in commercio e più esportata nel mondo, dove da tempo raccoglie successi fra i gourmet di tutti i continenti.
Per ottenere l’Aceto balsamico di Modena IGP si parte dalle uve provenienti dai vitigni di lambrusco, sangiovese, trebbiano, albana e altre selezionate varietà. Le fasi che vanno dall’assemblaggio delle materie prime all’affinamento devono avvenire obbligatoriamente nei territori delle province di Modena e Reggio Emilia.
Il disciplinare dell’Aceto balsamico di Modena IGP prevede precisi passaggi per la produzione del prodotto:
- parziale fermentazione e/o cottura e/o concentrazione dei mosti ottenuti dopo la pigiatura delle uve;
- aggiunta di un’aliquota di aceto vecchio di almeno 10 anni, per conferire al prodotto le qualità organolettiche tipiche, e aceto di vino in misura di almeno il 10%. In definitiva, la quantità di mosto cotto o concentrato non può essere inferiore al 20% della massa totale di prodotto da avviare alle fasi di elaborazione successive;
- elaborazione con il tradizionale utilizzo di colonie batteriche selezionate, oppure con l’utilizzo di metodi consolidati come l’acetificazione lenta in superficie o lenta a truciolo, cioè con l’impiego di un tino di legno munito di una grata nella parte inferiore e riempito di materiale poroso sul quale sono distribuiti gli acetobatteri;
- affinamento in recipienti di legno pregiato – il più utilizzato dei quali è il rovere, ma sono ammessi dal disciplinare anche castagno, gelso e ginepro – per un periodo minimo di 60 giorni a partire dal termine della fase di assemblaggio delle materie prime. Alla fine di questa fase il prodotto viene esaminato e, se risulta aver raggiunto le qualità organolettiche prescritte, può essere certificato come Aceto balsamico di Modena;
- ulteriore periodo di invecchiamento: trascorsi i 60 giorni di affinamento, l’aceto può essere travasato in botti di legno più piccole di quelle utilizzate per il prodotto “giovane”. Se questa ulteriore fase supera i tre anni, il prodotto finito potrà essere classificato come “invecchiato”;
- commercializzazione all’interno di contenitori in vetro – ma sono ammessi anche il legno, la ceramica e la terracotta – sui quali viene posta la dicitura “Aceto Balsamico di Modena”, accompagnata dall’Indicazione Geografica Protetta e dall’eventuale dicitura “Invecchiato” per il prodotto che ha superato i tre anni di maturazione come da disciplinare.
Per non confonderlo con l’Aceto balsamico tradizionale DOP, non è ammessa l’aggiunta di altri aggettivi o diciture al di fuori di queste. Dunque non sono ammessi termini qualificativi come “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato”, “riserva”, “superiore”, “classico” e altri simili.
Come utilizzare l’aceto balsamico a tavola
Dopo aver approfondito le prescrizioni rigorose dei disciplinari, una volta a tavola l’unico limite all’utilizzo dell’aceto balsamico è la fantasia. L’uso più tradizionale e filologico è quello di condimento, ad esempio per insalate, verdure e carni, e nessun buongustaio dimenticherebbe uno degli abbinamenti più gettonati in assoluto: quello con un ottimo parmigiano reggiano stagionato.
Esistono poi moltissime ricette con l’aceto balsamico, dalle golosissime scaloppine a contorni sfiziosi come le cipolline, fino all’utilizzo sul risotto. Fuori dai confini della tradizione modenese, l’oro nero della tavola è un ingrediente molto apprezzato dagli chef, che lo utilizzano ormai in modo creativo e smaliziato. Tra gli abbinamenti più riusciti ormai si annoverano anche quelli con le fragole e con il gelato alla crema, idee che hanno abbattuto ogni barriera nell’utilizzo dell’aceto balsamico, permettendogli di conquistare la tavola dagli antipasti al dessert e di muoversi trasversalmente tra dolce e salato.
Quali abbinamenti vorreste sperimentare con l’aceto balsamico?