di Martino Ragusa.
Ad Ampezzo ho chiesto al mio amico Arnaldo Petris cosa facessero dalle sue parti con il latte impoverito dei primi giorni di alpeggio, quando le vacche sono “stracche”, cioè stanche per la transumanza. “O lo facciamo franto oppure lo buttiamo in salamoia. Quella guarisce tutto!” È stata la sua risposta.“Fate il formaggio salato?” Ho chiesto incredulo. “Sì”. Ha risposto serafico “Vuole vedere la salamoia?”
La parola “salamoia” usata da Arnaldo in quel contesto significava che senza averlo previsto mi ero imbattuto in un giacimento gastronomico ghiotto quanto raro, quello del formaggio salato di malga. Ma andiamo con ordine. L’espressione “Formaggio salato”, a rigore, è tautologica: tutti i formaggi stagionati sono salati. Così come è normale sentire la parola “salamoia” in un caseificio o in una casera: le forme si salano immergendole in salamoia di acqua e sale oppure, più raramente, “a secco” sfregandole di sale a mano una ad una. Ma quando Arnaldo Petris ha accennato a una salamoia “che guarisce tutto” ho capito che non parlava di una semplice soluzione di acqua e sale, ma della “salmuerie” friulana di acqua, latte, panna e fermenti lattici, una vera e propria “madre” che mantiene l’emulsione viva nel tempo, impedendone il deterioramento e migliorandone la qualità con il passare degli anni. Immerse in mastelli di larice colme di salmuerie, le forme diventano di un colore bianco candido e mantengono la consistenza morbida di un formaggio fresco senza occhiature (si chiamano così i buchi del formaggio) o con occhiature molto fini. Il formaggio salato è pronto dopo quaranta giorni, ma può rimanere più a lungo a insaporirsi. A vederlo così candido, ci si aspetterebbe un sapore dolce, simile a quello della mozzarella. Invece è piccante, con una forza che varia a seconda della sua permanenza in salamoia e della composizione di questa che, naturalmente, varia da una malga all’altra e da un mastello all’altro.
Si produce in tutta la Carnia, e nelle valli non è così raro (e buono) come nei monti, dove le malghe sono ormai poche e attive solo in estate. A detta di Arnaldo il caseificio di Enemonzo, nel fondo valle, possiede una salamoia di ettolitri, una vera enormità rispetto al suo catino di una ventina di litri. Ed è proprio al caseificio di Enemonzo che ricorrono i malgari quando, per sventura, muore la madre della loro salamoia. Anche a valle la lavorazione è sempre la stessa, la differenza, ancora una volta, è nella qualità del latte d’alpeggio.
Un altro prodotto strettamente imparentato con il formadi salat è il formaggio Asìno, l’accento è sulla “i” e il nome non ha niente a che vedere con l’asino ma con il Monte Asio e Vito D’Asio, in provincia di Pordenone, nella cui zona è prodotto oltre che in quella di Clauzetto. Per fare l’Asìno non viene usato il latte di vacca stracca. Al contrario, da secoli viene destinato a questo formaggio il latte migliore perché nel passato dogale di Venezia era destinato alle mense più ricche della città. In alta montagna, invece, non temono di mescolare forme di vacca stracca con forme di vacca vigorosa. Tanto, come dice Arnaldo, la salamoia guarisce tutto!
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