di Alexander Màscàl. Siamo in Piemonte. Il nostro itinerario inizia a Santo Stefano Belbo, una località sul confine tra la provincia di Asti e quella di Cuneo. Qui, dove s’incontrano Langhe e Monferrato le due culture si sono amalgamate e le tradizioni contadine sono sopravissute all’incalzare del progresso. E’ il territorio del Moscato d’Asti, che si produce solo nella zona di Canelli (AT), e in quella di Santo Stefano Belbo (CN). … E da questa località iniziamo il nostro cammino alla ricerca del… "Tempo Perduto"… e dei prodotti da portare sulla nostra "Arca… enogastronomica".Sono le terre di Cesare Pavese e Beppe Fenoglio, dove le colline narrano di vita grama e ogni cascinale racconta la storia di "La luna e i falò" e "La malora". Ma è proprio in questo scenario che la cucina e l’ospitalità piemontese ci riporta gli antichi sapori. E’ qui che ritroviamo le antiche tradizioni legate alla vita contadina e riscopriamo il legame con la terra, la natura, la genuinità, ma anche i valori dell’ospitalità e dell’amicizia.L’abitato, databile all’anno 1000, sorgeva intorno ad un piccolo insediamento militare fortificato che aveva la mansione di controllo strategico della strada della Valle del Belbo, importante valico per la Liguria. Delle antiche origini romane di Santo Stefano Belbo ne rimangono tracce nell’Abbazia di S. Gaudenzio edificata sui resti di un antico tempio dedicato a Giove e in seguito convento benedettino. Di questo interessante monumento di architettura romanica rimangono l’abside, la sacrestia, alcuni mosaici e sculture. Eretta intorno all’anno mille l’abbazia sorge ai piedi della collina Moncucco. Un tempo adibita a luogo di culto fu anche ricovero-ospedale e centro di assistenza per i poveri, i pellegrini e i fedeli, ma anche un’officina in cui si istruivano i giovani artigiani e contadini. Importante borgo dell’epoca medioevale, Santo Stefano Belbo conserva i ruderi di una delle torri del castello sulla collina di S.Libera e la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, ormai sconsacrata è stata trasformata in un centro per congressi e manifestazioni… Tra il 1600 e il 1840 in questa località vi si stabilirono i frati Francescani e i Cistercensi. Oggi il loro monastero, che comprende il parco secolare con viale di ulivi e la cappella gentilizia di San Maurizio, è stato adibito ad hotel-relais. Furono i monaci ad introdurre la viticoltura, quando nel 1600 vi giunsero. I frati non si dedicarono solo alla preghiera, ma dissodarono i campi, costruirono strade e canali per l’irrigazione e coltivarono la vite.La produzione vitivinicola è caratterizzata dal vino Moscato, già nel 1583 gradito nettare presso la corte dei Duchi di Mantova e dai Marchesi del Monferrato. In quel periodo il Comune aveva l’obbligo di fornire il vino alla mensa dei nobili e per procurarsi il meglio per le loro tavole avevano vietato la vendita prima che gli addetti della casa ducale avessero scelto e fatto la provvista: … pena la confisca totale del prodotto.Un tempo la cura data alle uve era tale che nel periodo della vendemmia si teneva un mercato quotidiano in cui i moscati anziché venire vinificare erano venduti. Un altro riguardo verso la viticoltura era la cura con cui, anziché versare scompostamente i grappoli nelle "arbì" (grossi contenitori di legno posti sui carri), venivano adagiati in ceste a fondo largo.E’ un caldo pomeriggio e dopo il giro turistico per il paese decidiamo di sostare per la tipica "merenda sinoira" presso uno dei migliori produttori di vino, Sergio Grimaldi, ma mica si può andare dagli amici a mani vuote! Così facciamo provvista di "galupperie" locali presso la panetteria "Il profumo del pane": focaccia salata (buonissima), pane con le noci, grissini al farro e quelli al Moscato (squisitezze), e naturalmente i "turtein" con farina di mais e nocciole, i tipici dolci locali: saranno ottimi compagni per il Moscato e la Barbera!“Biondo, dolce, suadente”. No, non si tratta di un giovane incantatore di femmine, ma del principe dei vini: il Moscato d’Asti, che a Santo Stefano Belbo, in loc. San Grato, appena fuori del paese, l’azienda agricola “Cà du Sindic” (casa del Sindaco, agli inizi del secolo scorso), di Sergio Grimaldi produce assieme al Piemonte Brachetto e ad un superbo Barbera, e poco importa se non si è concordi nel definire il sesso “della” barbera o “del” barbera. Poco importa la sua identità maschile o femminile quando a noi non resta che lasciarci tentare per il brindisi finale: Cin cin con il Moscato… purché sia “du Sindic”. Una curiosità è l’uva detta "Uova di galletto", ma poiché si sa che i galli non fanno le uova, questo strano nome deriva da un’uva bianca, esclusivamente da tavola, i cui acini hanno la forma delle… uova, o meglio dei testicoli, del galletto. Viene riposta in appositi locali e conservata per essere mangiata nei mesi invernali. La sua conservazione può durare sino a Pasqua. Una prelibatezza è il “succo di uva o mosto” che si ricava dai grappoli appena spremuti. Il risultato è un “succo di frutta al Moscato”, assolutamente analcolico, dolcissimo e da degustare… se avete la fortuna di capitare in Azienda al momento giusto… Grimaldi esporta in Olanda, Svizzera, Germania, Danimarca, Stati Uniti, e Corea. Tra "assaggi", nozioni storiche locali, storie di masche (streghe delle Langhe), visita alla cantina e ai vigneti dell’Uova di Galletto, notizie enologiche e vecchi racconti contadini, il tempo passa e ci resta appena il tempo per fare un giro sul "percorso dei luoghi pavesiani".La prima tappa culturale è la visita al “Centro Studi Cesare Pavese”che conserva archivi, documentazioni, libri, e altro materiale sulla vita e le opere di Cesare Pavese. Una sosta presso il “Centro Pavesiano”, il Museo e la Casa Natale di Cesare Pavese con una interessante raccolta di ambiente dell’epoca: stanze, cantine, attrezzi contadini e per la viticoltura, scale, collezioni fotografiche, opere dello scrittore, e altro materiale inerente.Una fermata davanti alla “Casa Museo di Nuto”, con l’esposizione di alcuni libri di Nuto, un bancone con gli attrezzi da falegname, fotografie, utensili, una raccolta di strumenti musicali (violini, chitarre, un contrabbasso), libri, il suo basco, il clarinetto e altri oggetti.Tentiamo una visita ad un inconsueto luogo di vinificazione: il monastero delle Figlie di San Giuseppe. Mi accoglie la Madre Superiore e il loro enologo. E’ gentile… ma mi concedono solo poche informazioni… Cerco di "sbirciare" oltre il portone, ma niente da fare! Peccato, di loro si è scritto tutto e di tutto, mi pare inutile questa restrizione alle interviste estesa a "tutti i giornalisti"…A Santo Stefano Belbo non solo i vignaioli producono il Moscato. Da quasi cento anni nel monastero delle Figlie di San Giuseppe, le suore producono uno speciale “Moscato da Messa” che servirà ai sacerdoti di tutta l’Italia per officiare il servizio liturgico. Da sempre la Madre Superiora è la responsabile della vinificazione, coadiuvata da un enologo e dalle “consorelle”. I segreti della vinificazione venivano tramandati oralmente da quando Clemente Marchisio, parroco di Rivalta Torinese (TO), in visita al Pontefice Leone XIII (1810-1903), venne invitato a produrre nella propria zona il vino indispensabile per la messa. Sulle colline torinesi nacque quindi una prima congregazione specializzata nella coltura e trasformazione del vino.Nel 1906 un gruppo di suore si trasferì a Santo Stefano Belbo (CN) proseguendo la produzione del “Vino bianco per la Messa”. Oggi si può parlare di un’azienda specializzata… al servizio della liturgia cristiana, una sorta di cantina-monastero, con suore-enologhe-cantiniere, una delle tante aziende gestite da frati e monache che, non solo in Italia, producono marmellate, mieli, conserve, vini, tisane, liquori e altre “sante ghiottonerie”. Il vino prodotto serve esclusivamente per uso liturgico e per questo, per evitare la vendita a privati, viene confezionato in bottiglie particolari, con speciali tappi, capsule ed etichette. E’ l’ora del ritorno: peccato, ma per fortuna la mia città dista solo una ventina di minuti e domani tornerò per proseguire il viaggio alla ricerca di altri sapori… da salvare…
Cuneo: l’arca dei sapori. un weekend alla ricerca dei prodotti da salvare
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