Sfruttamento dei braccianti agricoli: anche una questione europea? Il rapporto dell’Open Society European Institute

sfruttamento braccianti europa

 

L’emergenza Coronavirus ha acceso i riflettori sui campi agricoli di tutta Europa e sui braccianti e le braccianti che ci lavorano. Si è parlato di lavoratori essenziali, persone che non potevano fermarsi per poter garantire l’approvvigionamento dei supermercati e il funzionamento della filiera. Ma la situazione di difficoltà e la chiusura delle frontiere ha fatto emergere le contraddizioni del settore che, in Italia e non soltanto, impiega una ampia percentuale di manodopera di origine straniera. La necessità poi di tutelare la salute delle persone che lavorano nei campi ha portato alla luce situazioni di sfruttamento denunciate da tempo da giornalisti, associazioni e sindacati. Tutto ciò non accade solo in Italia, ma ha una dimensione europea, come emerge da un recente rapporto dell’Open Society European Institute.

Vediamo, dunque, cosa accade nei campi in Europa e quali sono le indicazioni rivolte al legislatore europeo.

Condizioni disumane di vita e lavoro per i braccianti: una questione mediterranea?

Raccolta di pomodori braccianti
Iakov Filimonov/shutterstock.com

Secondo l’ultimo rapporto Agromafie e Caporalato curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, in Italia sono tra i 400.000 e i 430.000 i lavoratori agricoli, soprattutto stagionali, esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale. Una parte di essi sono italiani, tra cui anche molte donne come ci ha raccontato l’attivista Lucia Pompigna, una parte sono cittadini comunitari (soprattutto da Romania, Polonia e Bulgaria), una parte è composta da extracomunitari. Di questi, circa 180.000 sono in condizione di grave vulnerabilità e, quindi, particolarmente esposti al ricatto del caporale, e circa 15.000 vivono in insediamenti abusivi, spesso senza acqua corrente o servizi basilari.

Le forme dello sfruttamento e delle violazioni dei diritti dei braccianti e delle braccianti sono diverse. Dal mancato rispetto dei contratti nazionali per l’agricoltura all’assenza di tutele in caso di malattia o infortunio, fino al pagamento obbligatorio di mezzi di trasporto non sicuri per arrivare nei campi, al non riconoscimento di tutte le giornate lavorative e vere e proprie forme di violenza. A ciò, come denunciato da Medici per i Diritti Umani, si è aggiunta durante l’epidemia l’inadeguatezza delle azioni adottate per controllare la diffusione del Covid-19, in particolare in Calabria nella zona della raccolta agrumicola di Rosarno.

Numerose inchieste e rapporti hanno però evidenziato come il problema dello sfruttamento in agricoltura non riguardi soltanto le regioni del Sud Italia. Secondo i dati riportati nel 6° Rapporto Agromafie e le inchieste delle forze dell’ordine, anche i braccianti che lavorano nel Nord Italia sono esposti a questo rischio.

Casi anche in Spagna e Grecia

Critica è anche la situazione in Spagna. Nell’area della Huelva, a Palos de la Frontera, le fragole sono considerate come un “oro rosso”, prezioso per il giro d’affari che genera, ma anche delicato da trattare. Per questo, come ha denunciato tra gli altri la giornalista Stefania Prandi, sono soprattutto donne a essere “assunte” a condizioni non eque. In particolare, si tratta per la maggior parte di braccianti regolarmente presenti nel Paese, con tutti i documenti in regola, ma ugualmente esposte a forme di sfruttamento e di violenza sessuale. Per i braccianti di origine straniera e i migranti c’è, invece, spazio soltanto nelle “chabolas”, delle baracche costruite con legno, compensato e materiali di scarto presi dalle serre dove non c’è elettricità o acqua corrente.

Raccolta fragole braccianti
F Armstrong Photography/shutterstock.com

Uno studio pubblicato dalla Heinrich Böll Foundation, invece, ha evidenziato il ruolo poco visibile dei braccianti migranti nel settore agricolo in Grecia. In particolare, nel campo della raccolta delle fragole sono frequenti i casi in cui vengono “assunte” come stagionali persone di origine straniera, compresi i richiedenti asilo di passaggio sul territorio greco, a cui non vengono pagati gli stipendi o vittime di altre forme di abusi.

Lo sfruttamento dei braccianti in Europa: il rapporto dell’Open Society European Institute

Così come accade per il Sud Italia, anche a livello europeo spesso i media sottolineano come il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti nel settore agricolo riguardi solamente i Paesi mediterranei. Questo anche perché la maggior parte degli studi e delle ricerche si sono dedicate a quest’area geografica indagando di meno ciò che accade altrove. Non significa, però, che in Germania, in Francia, o nei Paesi Bassi non esistano problematiche di questo genere. In una recente inchiesta di Euronews è riportata la testimonianza di Juan, un giovane bracciante di origine colombiana, a proposito della sua esperienza come bracciante in Francia. Denuncia, infatti, lunghe giornate lavorative, straordinari non pagati e alloggi troppo cari, oltre alla presenza di agenzie di intermediari che gestiscono la manodopera stagionale al posto delle aziende. C’è poi un recente studio dal titolo “Are Agri-Food Workers Only Exploited in Southern Europe?” realizzato da Letizia Palumbo e Alessandra Corrado per l’Open Society European Policy Institute che evidenzia proprio il contrario.

Le ricercatrici hanno analizzato alcuni casi di studio in Germania, Paesi Bassi e Svezia sottolineando come, in tutti e tre i Paesi, ci siano braccianti migranti che lavorano molte ore in più rispetto a quanto previsto dalla legge, in condizioni non sicure e per un salario più basso di quello che dovrebbe essere garantito. Queste modalità di lavoro non riguardano soltanto le persone migranti, ma anche parte dei braccianti di origine comunitaria, in particolare polacchi e rumeni. “La cittadinanza europea”, si legge nel report, “non impedisce ai lavoratori di trovarsi in condizioni di vulnerabilità né di essere coinvolti in situazioni di sfruttamento, comprese le modalità più gravi.”

Braccianti agricoli sfruttamento
David A Litman/shutterstock.com

Anche nei casi analizzati, un ruolo cruciale è quello delle agenzie intermediarie che, inserendosi in una zona grigia tra legalità e illegalità, fanno da ponte tra i braccianti e le aziende agricole. In un contesto di flessibilità e deregolamentazione, spiegano ancora le ricercatrici, si rileva un diffuso ricorso al “posted work”, ovvero all’assunzione di un lavoratore in un Paese per farlo lavorare in un altro, e l’esternalizzazione dei contratti. In questo modo, è più semplice aggirare i contratti nazionali e retribuire di meno i braccianti coinvolti.

Gli intermediari hanno, dunque, un ruolo fondamentale e per molti lavoratori agricoli questa è l’unica modalità per poter guadagnare. Di conseguenza, dipendono fortemente dalle agenzie, elemento che diminuisce il loro potere contrattuale e li espone a pratiche di sfruttamento. In alcuni dei casi tedeschi, le ricercatrici hanno rilevato episodi di minacce e punizioni collettive che hanno colpito anche le famiglie dei braccianti. Mentre nei Paesi Bassi desta particolare preoccupazione la situazione delle donne polacche che, per paura di perdere il lavoro e non poter mantenere i propri figli, fanno particolare fatica a denunciare le violenze subite. In Svezia, infine, sono soprattutto i braccianti non-UE a essere più esposti al rischio di sfruttamento o abuso, soprattutto quelli provenienti dalla Thailandia, assunti da intermediari in maniera tale da indebolire il controllo e il ruolo dei sindacati a tutela dei lavoratori.

Germania, Paesi Bassi e Svezia: la difficoltà delle istituzioni nell’affrontare il problema

Un altro elemento che lega i Paesi mediterranei al resto dei membri dell’Unione Europea è la difficoltà delle istituzioni nell’affrontare e arginare il problema del lavoro agricolo. In Svezia, l’Agenzia per l’immigrazione ha introdotto delle regole specifiche per tutelare gli stagionali impegnati nella raccolta dei frutti rossi, mentre in Olanda è stata approvata una legge che limita la libertà d’azione delle agenzie intermediarie, ma soltanto il 3,5% di esse è stato effettivamente controllato.

 

Secondo il report, “le caratteristiche strutturali del settore dell’agri-food combinate con le caratteristiche di un mercato del lavoro flessibile e deregolamentato rendono il monitoraggio e l’applicazione dei diritti molto complessa.” Per questo, le ricercatrici rivolgono un appello e suggeriscono alcune linee di intervento all’Unione Europea.

In particolare, si evidenzia la necessità di rafforzare i canali legati di accesso ai Paesi europei per i braccianti di origine straniera, promuovendo un processo di inclusione anche di medio e lungo termine. Contemporaneamente, l’accento è posto sulla tutela degli stagionali a livello europeo immaginando delle forme di conversione dei permessi di soggiorno in maniera tale che una persona che lavora in un Paese UE per un certo numero di stagioni di raccolta consecutive possa accedere a un “resident status” che ne facilita la tutela.

L’approvazione della Politica agraria comune (PAC) per il periodo 2021/2027 (che vi racconteremo in un altro approfondimento) rappresenta, da questo punto di vista, un’occasione mancata, poiché nonostante i numerosi appelli della società civile non è stato inserito alcun riferimento alla tutela dei diritti dei lavoratori del settore. Resta, dunque, un tema che ciascun Paese affronta autonomamente, nonostante – come dimostrano i dati raccolti – si tratti di una criticità che riguarda l’Unione Europea nel suo complesso.

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