Microplastiche: come e quanto la contaminazione può raggiungere frutta e verdura?

Microplastiche nei vegetali

 

Due studi molto recenti sulla presenza delle microplastiche nei vegetali ne hanno evidenziato l’effettiva contaminazione, svelando meccanismi e capacità di assorbimento finora sottovalutate. Si tratterebbe di un’ulteriore e grave conferma del danno arrecato da questi detriti microscopici dovuti all’attività umana, che, come abbiamo visto, possono contaminare diversi alimenti, a partire dai prodotti ittici. Ma quali scenari aprono le ultime ricerche? Oltre che per gli ecosistemi e per gli animali, è giusto preoccuparsi anche per la nostra salute? Con questo approfondimento cercheremo di saperne di più.

Microplastiche nei vegetali: uno studio cinese ne attesta la presenza

Negli ultimi anni l’attenzione sull’inquinamento dovuto alla plastica è aumentata sensibilmente, in particolar modo quando ci si è resi conto che i detriti sminuzzati e microscopici, oltre a non essere biodegradabili, sono in grado di raggiungere i cibi. Nei nostri approfondimenti abbiamo trattato più volte l’argomento, in relazione alla presenza di questo materiale in mare e negli alimenti che da esso provengono. Molluschi e pesci, infatti, sono i primi animali che in natura entrano a contatto con quello che si trova nei fondali e sospeso nell’acqua. In seguito, abbiamo analizzato i vantaggi e gli svantaggi, sia economici che ecologici, della sostituzione della plastica con materiali alternativi, una linea ormai ampiamente condivisa dai decisori politici.

La presenza di minuscoli frammenti, inferiori ai 5 millimetri, è pericolosamente diffusa negli ecosistemi, dai quali dipende la catena alimentare, aspetto che ha spinto la scienza a monitorare il trasferimento nell’ambiente e negli esseri viventi. Finora, però, non si era mai parlato di microplastiche nei vegetali, un fatto che amplia notevolmente le possibilità di ingerirle, con tutti i relativi rischi per l’organismo.

Microplastiche frutta e verdura
Only_NewPhoto/shutterstock.com

Seguendo questa pista, uno studio dell’Accademia cinese delle Scienze, pubblicato nel luglio 2020 su Nature Sustainability, ha riscontrato che le microplastiche starebbero effettivamente contaminando le piante commestibili, comprese quelle più diffuse sulle nostre tavole. Il gruppo di scienziati ha sottolineato che gran parte dei residui si disperde nell’ambiente a partire dai terreni, dove si accumula in grandi quantità. Dalla loro degradazione, inoltre, si generano particelle secondarie e più piccole, ancor più insidiose per la contaminazione delle acque reflue e di quelle utilizzate in agricoltura.

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Le radici assorbono e trasferiscono le particelle

La presenza di questo materiale, nota alla scienza ormai da molti anni, precedentemente non era stata considerata e indagata riguardo alla possibilità di assorbimento delle piante. Infatti, si riteneva che le dimensioni delle particelle forse eccessiva per consentire il passaggio attraverso un tessuto vegetale vivente. Lo studio, però, smentisce questa credenza, e secondo i ricercatori le fessure presenti nelle nuove radici laterali dei vegetali, come il grano o la lattuga, possono assorbire microplastiche sia dal suolo che dall’acqua, fino a trasferirle alle parti commestibili delle piante.

Inoltre, l’équipe cinese ha rilevato che non solo le particelle di 50 nanometri (unità di misura che equivale a un miliardesimo di metro) possono essere catturate dalle radici, come già si sapeva, ma anche quelle 40 volte più grandi. I detriti rinvenuti nella ricerca avevano forma sferica e dimensioni fino a 2 micrometri (unità di misura che equivale a un milionesimo di metro), con un minimo grado di flessibilità meccanica. Le peculiarità strutturali delle piante, infatti, hanno permesso l’infiltrazione nelle cellule delle radici anche di residui più grandi di quelli considerati finora.

La ricerca cinese, quindi, ha aperto un nuovo scenario sulla possibilità di passaggio delle microplastiche dai vegetali a tutta la catena alimentare. Come hanno affermato gli esperti coinvolti, se le microplastiche penetrano nelle coltivazioni, lo fanno anche nelle carni e nei latticini. Di conseguenza, non può che preoccupare la coltivazione in terreni contaminati da acque di scarico o fanghi di depurazione, indiziate per la dispersione di questi residui in maniera incontrollabile.

Microplastiche in frutta e verdura: una ricerca italiana fa luce sui quantitativi e sull’esposizione

Microplastiche esposizione
Pcess609/shutterstock.com

Alle conoscenze in questo particolare ambito ha contribuito anche un’importante ricerca italiana, condotta dal laboratorio di Igiene ambientale e degli alimenti dell’Università di Catania, in collaborazione con quello di Biochimica e Tossicologia ambientale di Sousse, in Tunisia. Sostanzialmente coeva allo studio cinese, è stata pubblicata nell’agosto 2020 su Environmental Research, e si tratta del primo lavoro scientifico che quantifica l’esposizione a microplastiche inferiori ai 10 micrometri della popolazione generale mediante l’ingestione di frutta e verdura, riportando anche le assunzioni giornaliere stimate per adulti e bambini, come in genere avviene per gli studi tossicologici.

Questa ricerca, quindi, ha il notevole merito di aver misurato per la prima volta la concentrazioni di microplastiche nella parte edibile di alcuni dei vegetali più consumati in Italia, quali mele e pere, tra i frutti, e patate, carote, lattuga e broccoli, tra le verdure. I campioni sono stati acquistati in varie rivendite di Catania, tra cui un supermercato e un piccolo negozio.

I frutti sono più contaminati

Utilizzando un proprio brevetto, il laboratorio catanese, diretto dalla professoressa Margherita Ferrante, ha accertato la presenza di microplastiche con dimensioni medie da 1,51 a 2,52 micrometri. I quantitativi medi sono risultati variabili, da 223.000 (minimo: 52.600, massimo: 307.750) a 97.800 (minimo: 72.175, massimo: 130.500) particelle per grammo di vegetale, rispettivamente in frutta e verdura.

La contaminazione, pertanto, è risultata differenziata e in genere più consistente nei frutti. Le mele, seguite dalle pere, si sono rivelate i campioni più contaminati, mentre le carote primeggiavano tra le verdure. La lattuga, invece, conteneva il minor numero di questi residui, seppure di dimensioni mediamente superiori rispetto a quelli rinvenuti nelle carote.

Frutti contaminati
Oleg Golovnev/shutterstock.com

Secondo i ricercatori, questa variabilità si può spiegare sia per l’alta vascolarizzazione della polpa dei frutti, sia per le loro maggiori dimensioni, la struttura dell’apparato radicale e l’età delle piante. Gli alberi, infatti, hanno in genere diversi anni, mentre per gli ortaggi si parla di alcuni mesi.

Facendo seguito a questa pubblicazione, il gruppo di ricerca sta ampliando gli alimenti indagati, per un’altra pubblicazione riguardo alle rilevazioni sui filetti di pesce.

Le istituzioni europee seguono il tema

Anche sulla scia degli studi citati e in accordo con la Commissione europea, l’Efsa ha richiesto una valutazione dei possibili rischi dovuti dalla presenza di microplastiche e nanoplastiche negli alimenti, specialmente nei prodotti ittici, che verranno presi in esame prossimamente. Inoltre, la presenza di questi residui nei cibi – e in particolare nei vegetali – è stata argomento di un’interrogazione presentata a Bruxelles dall’europarlamentare Ignazio Corrao.

Quali sono i rischi per la salute umana?

Rischi salute microplastiche
luckakcul/shutterstock.com

In conclusione, viene da chiedersi quanto e in che modo la presenza di microplastiche nei vegetali, come nei cibi in genere, possa essere nociva. A oggi, non ci sono prove certe sui loro conseguenze sull’organismo, trattandosi di un tema di ricerca recente e ancora poco battuto. Come si afferma nella ricerca italiana che abbiamo citato, infatti, “sulla base dei risultati ottenuti è urgente e importante eseguire studi tossicologici ed epidemiologici per indagare sui possibili effetti delle microplastiche sulla salute umana”.

Trattandosi di questo tipo di materiali, tuttavia, i presupposti sono abbastanza definiti, con il rischio di cessione di sostanze cancerogene – come gli ftalati, il bisfenolo e le diossine – e interferenti endocrini, assai dannosi per l’equilibrio ormonale, come abbiamo visto nel nostro approfondimento sulle plastiche per alimenti. Le dimensioni minuscole, inoltre, potrebbero favorire la diffusione di batteri nocivi.

Al di là del pericolo immediato o a lungo termine per la salute umana, ad ogni modo, i danni dovuti a questi residui vanno considerati in un’ottica di sistema, in quanto incidono sull’intera catena produttiva, partendo dalla terra e dall’acqua, fino ai prodotti che arrivano sulle tavole. Misurarli in termini economici non è semplice, ma per l’agroalimentare si tratta di una vera e propria piaga, che peraltro mina la stessa fiducia dei consumatori verso i produttori, ai quali non si può imputare l’inquinamento diretto dei loro stessi campi e delle merci commercializzate.

Nel prossimo futuro, perciò, è molto probabile che questo ramo di ricerca cresca notevolmente, offrendo maggiori conoscenze sugli effetti di queste particelle, e possibilmente anche sui metodi per prevenire e limitare questa insidiosa forma di inquinamento. Nel nostro approfondimento sulla discussa plastic tax, ad esempio, ci siamo occupati di uno degli strumenti per contenere a monte la diffusione di tali materiali, il cui problema basilare resta la cattiva gestione dei rifiuti e la dispersione in natura.

 

Sapevate che le microplastiche possono contaminare anche i vegetali?

 

Fonti:

Nature Sustainability
Environmental Research
Parlamento europeo, europarl.europa.eu

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