In Italia ci sono tra i 400.000 e i 430.000 lavoratori e lavoratrici del settore agricolo esposti al rischio di irregolarità, sfruttamento e caporalato. Tra questi, riporta l’ultimo rapporto Agromafie curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, più di 132.000 si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità. Molti, infatti, sono persone migranti, richiedenti asilo, titolari di varie forme di protezione internazionale. È un problema che riguarda il settore in tutta Italia, da Nord a Sud, e per cui è stato promosso un Piano d’azione triennale proprio all’inizio del 2020.
Nel frattempo, in diverse aree di Italia, esistono realtà che progettano e realizzano modelli alternativi ed etici per permettere, da un lato, ai braccianti e alle braccianti di essere informati – e formati – e, dall’altro, alle aziende di trovare manodopera da assumere regolarmente e con cui lavorare insieme. Humus Job ne è un perfetto esempio e, per conoscerlo meglio, abbiamo intervistato il CEO Claudio Naviglia.
Humus, contro lo sfruttamento in agricoltura
“Humus è un progetto giovane, nato a marzo del 2019” ci racconta Naviglia, “ma ha una storia più lunga, che parte dalla nostra esperienza nel sociale. Noi fondatori ci siamo occupati di accoglienza di migranti e richiedenti asilo e ci siamo imbattuti nella difficoltà di stimolare l’inserimento lavorativo di queste persone.” Contemporaneamente, è emersa l’esigenza da parte di alcune aziende agricole del territorio, in provincia di Cuneo, di trovare manodopera formata per il lavoro nei campi. Di qui l’idea di un percorso di formazione condiviso per creare nuove professionalità aperto non soltanto a quelli che Naviglia chiama “nuovi abitanti” della valle, ma a chiunque fosse interessato.
“Il percorso che ha portato allo sviluppo di Humus ha coinvolto attivamente le aziende, in quanto esse stesse insegnanti e formatrici, e una trentina di partecipanti alcuni dei quali sono stati assunti in campo agricolo”. Humus, dunque, è un progetto che mira a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di persone con fragilità, sfuggendo così alle maglie dello sfruttamento e del caporalato, e lo fa fornendo loro strumenti pratici e informativi. Parte delle attività promosse sono, infatti, corsi e workshop per persone migranti su diritti e doveri dei lavoratori, oltre che sulle tecniche colturali in sé.
Dall’altro lato, Naviglia sottolinea il ruolo attivo delle aziende agricole: “esistono forme di collaborazione molto leggere che permettono di condividere strumenti, strutture e lavoratori attraverso una semplice registrazione di rete presso le Camere di Commercio. Questa opportunità può aprire scenari importanti: laddove si riesce a creare cooperazione tra realtà, gli inserimenti lavorativi diventano più agili poiché gli stessi costi sono condivisi.”
Informare, formare e collaborare
Humus si muove su più piani: l’incontro domanda-offerta digitalizzato attraverso la neonata piattaforma Humus Job, la creazione di reti tra aziende agricole (e non) per facilitare il “job sharing”, e l’organizzazione di corsi finalizzati alla professionalizzazione e informazione di diritti e doveri dei lavoratori rivolgi a persone migranti. “Queste tre anime sono unite per creare un pacchetto di servizi per le aziende che si traduce nell’essere in rete, assumere in maniera condivisa e regolare, e utilizzare uno strumento dove trovare manodopera garantita e formata.”
Al vaglio per il futuro è anche la possibilità di assegnare alle realtà agricole che partecipano al progetto un “bollino di sostenibilità sociale” dei propri prodotti agricoli. “Immaginiamo un riconoscimento etico in maniera tale che l’imprenditore possa dire al consumatore che il prezzo che paga per il suo prodotto è questo anche perché lungo la filiera è stato riconosciuto a ciascuno la giusta retribuzione per il lavoro svolto.”
Humus Job: come funziona la piattaforma per trovare lavoro
Tra le iniziative promosse dal progetto, c’è anche il lancio della piattaforma Humus Job, finanziata attraverso una campagna di equity crowdfunding che ha portato al coinvolgimento anche di NaturaSì e Altromercato, e operativa da qualche mese. Si tratta di uno strumento digitale che permette ai lavoratori di registrarsi, presentando competenze e disponibilità, e alle aziende di reperire manodopera stagionale all’occorrenza. “Si tratta di un tool digitale che nasce anche dalle esigenze emerse durante il lockdown” precisa il CEO, “che andremo a testare e sviluppare per la prossima stagione. Siamo convinti che sia uno strumento utile, ma che la tecnologia non risolva da sola i problemi sociali.”
Per questa ragione, dal punto di vista aziendale, il cuore del progetto resta stimolare la collaborazione tra realtà diverse sullo stesso territorio. “Nel lungo periodo, siamo convinti che la condivisione aumenti la produttività, l’efficienza e lo sviluppo di un’azienda. E che gli sforzi iniziali, anche in termini di costi, verranno ampiamente ripagati.”
Realizzare il job sharing e le altre opportunità della rete richiedono la prossimità territoriale, tuttavia i fondatori di Humus desiderano stimolare anche una forma di partnership più ampia a livello nazionale che sia basata sulla condivisione dei valori. “In questo modo si creano ponti che potrebbero, per esempio, far sì che il gruppo di lavoratori che oggi è in Calabria a raccogliere gli agrumi, poi si sposta in Piemonte per le mele, e poi in Puglia per i pomodori. In maniera legale, etica e rispettosa dei loro diritti.”
Naviglia conclude ragionando sul nome stesso che hanno voluto dare al progetto: “L’humus (ovvero un insieme si sostanze organiche presenti nel suolo, ndr) può rappresentare uno scarto, ma insieme ad altre risorse genera nuova vita in un processo di lungo periodo. In parte, è ciò che desideriamo fare noi: unire elementi e realtà per stimolare il cambiamento sociale e rispondere a un problema complesso, come lo sfruttamento e l’illegalità nei campi.”