La riapertura e la cosiddetta “fase 3”, anche per le rivendite alimentari, non sono prive di criticità, evidenziando la situazione complessa di un settore che è sbagliato ritenere immune alla crisi. Come abbiamo visto nella nostra intervista a Luigi Scordamaglia di Filiera Italia, anche la produzione alimentare ha sofferto le conseguenze della lunga chiusura, pur non essendo interessata dal fermo imposto dal lockdown. Ma qual è la situazione del retail? Cosa si sta facendo per uscire da questo periodo così difficile? Per saperne di più abbiamo interpellato Mario Resca, presidente di Confimprese.
Riapertura del retail: quanto ha pesato il lockdown?
Le attività associate a Confimprese hanno accusato l’impatto economico dei tre mesi di chiusura, con perdite fino al 100% del fatturato. Il presidente Resca descrive un quadro che non lascia spazio ai dubbi. “Prevediamo notevoli difficoltà di gestione dei negozi e del conto economico, anche il prossimo trimestre. Avremo un autunno freddissimo, il retail perderà migliaia di dipendenti, con tassi di disoccupazione sempre più alti. Per motivi sanitari, si venderà di più su Internet, anche perché è cresciuta la confidenza con gli acquisti online da parte di tutti, anziani compresi. Tra online e offline, però, il totale sarà comunque al di sotto dei numeri consueti. Il nostro è un grido d’allarme, il Paese si sta impoverendo come mai negli ultimi settant’anni. Il governo deve aiutare adesso il commercio, finanziandolo anche a fondo perduto. Gli imprenditori vanno ascoltati, considerando che, a differenza dell’industria, il settore è frazionato ed è fatto anche da piccole realtà, la cui sopravvivenza è a rischio”.
Il cambiamento del profilo delle vendite durante e dopo il lockdown
Nello scenario senza precedenti che abbiamo vissuto, anche gli acquisti sono cambiati, a partire dalle loro modalità, che la vita in casa ha plasmato. Come puntualizza Mario Resca, “l’e-commerce è stato il vero grimaldello su cui le imprese hanno puntato, per adeguarsi al lockdown. Oltre il 54% dei retailer ha riconvertito l’attività sulle consegne a domicilio, mentre il 66% ha puntato sul take away e quasi il 9% sul drive through. Ma c’è anche una parte consistente, pari al 31%, che non ha svolto alcuna attività. L’online in questi mesi è cresciuto del 213% nel nostro settore, spinto dalle necessità dei consumatori. E giocherà sempre più un ruolo rilevante anche nella futura fase di normalizzazione, guidato da nuovi modelli di acquisto che sono stati sperimentati in maniera crescente durante la crisi”.
La ristorazione è il settore più colpito
Come abbiamo approfondito nelle nostra intervista a Luciano Sbraga di Fipe, la ristorazione paga care le conseguenze della chiusura prolungata, “sia per le norme di sicurezza, sia per le dimensioni dei locali, che necessitano di molta forza lavoro, dagli assistenti di sala, ai cuochi, ai cassieri. Le spese di sanificazione, mediamente, hanno inciso per un valore 15 mila euro per ogni punto vendita. L’andamento è fluttuante, e ci aspettiamo un consolidamento in tempi più lunghi, ma non è paragonabile a quello dell’anno scorso, nel quale i consumi, peraltro, erano già in flessione. Gli imprenditori, come i consumatori, non sanno cosa li aspetta. Navighiamo a vista, quello che va bene oggi non è più tale domani. Questi sono gli effetti di medio periodo, sul lungo termine tutto può succedere, perché la gente ha voglia di consumare e di esorcizzare il lockdown. I negozi aprono e stanno accelerando sulla domanda dei consumi, che è rimasta depressa per più di due mesi”.
Fase 3 e rivendite alimentari: una ripresa lenta e costante, che premia i centri commerciali
Uscire presto da questo periodo gravemente recessivo è l’imperativo per tutte le attività, non solo per quelle imprenditoriali, che però si trovano alle prese con bilanci economici difficili da far quadrare. A questo proposito, aggiunge il presidente di Confimprese, “sulle riaperture dei negozi nella fase 2 registriamo un passo in avanti rispetto ai dati diffusi in aprile, in pieno lockdown. Il Centro studi Confimprese ha rivisto al ribasso le percentuali dei retailer che non apriranno più i negozi. Il dato al 30% registrato in aprile (chiuso un negozio su tre) è passato oggi al 25%, per effetto, da un lato, di una ripresa lenta ma costante e, dall’altro, della voglia dei cittadini di ricominciare a uscire, nonostante gli ingressi contingentati e le norme di sicurezza”.
I retailer, sottolinea Resca, “stanno lottando con grandi sacrifici per riaprire le saracinesche, anche se ci sono forti tensioni sulla rinegoziazione degli affitti e non mancano le difficoltà finanziarie. Solo i punti vendita marginali non vengono riaperti. In questo momento, soffrono maggiormente i centri storici e reagiscono meglio i grandi centri commerciali, rispetto a quelli medi e di prossimità. Il traffico nei centri commerciali – che è arrivato a -71% a maggio rispetto allo stesso al 2019, con punte del -95% alla fine del mese – ha infatti guadagnato qualche punto percentuale nella prima settimana di giugno, attestandosi al -35%. Gli outlet, invece, risentono della mancanza dei turisti stranieri e concentrano le aspettative nel fine settimana, puntando sul traffico interregionale”.
La (difficile) applicazione delle misure di sicurezza
Adeguarsi pienamente ai protocolli di sicurezza – come ha fatto la ristorazione collettiva – è complesso e costoso, aspetto che porta a chiedersi se tutte le realtà imprenditoriali siano effettivamente in grado di mettere in pratica le misure previste. Resca afferma che “i protocolli di sicurezza sono poco chiari, dal lavaggio della stoviglieria, alle attività di sanificazione, all’obbligo per il personale delle mascherine, che non si trovano. Una via d’uscita potrebbero essere le agevolazioni per l’occupazione del suolo pubblico, richieste dal 97% delle imprese, stando alle indicazioni di privilegiare spazi aperti per le attività di somministrazione, ma anche in questo caso non mancano le difficoltà. Le norme sono stabilite dalle singole amministrazioni locali e differiscono da Regione a Regione. Un ginepraio, insomma, a cui le istituzioni sembra non facciano caso. Questo può portare a una crisi ancora più grave sul piano economico e sociale, con migliaia di persone che potrebbero perdere il posto di lavoro”.
Ripensare l’esperienza di acquisto, per sostenere la domanda
I dubbi sulla reale entità della domanda nei prossimi mesi rappresentano la questione più incerta del post-lockdown, un’incognita che lascia spazio a diverse interpretazioni. Come puntualizza il presidente di Confimprese, “il commercio continua a soffrire. Dopo una cauta ripresa negli ultimi dieci giorni di maggio, il mese di giugno è partito al rallentatore, ma si riducono le perdite rispetto ai mesi precedenti: la realtà è più incoraggiante e si riduce lo scarto rispetto allo stesso periodo del 2019. Soffrono ancora tutti i settori, anche a causa delle norme di sicurezza. Il Centro Studi Confimprese, sui primi dieci giorni del mese di giugno, evidenzia che la ristorazione autostradale segna un -65%, mentre il food, nel complesso, fa registrare un -40%, anche se inizia a riprendersi, in parallelo con la riapertura delle attività commerciali”.
Le previsioni pessimistiche, quindi, si stanno allentando, nonostante persista il segno meno davanti ai fatturati. “Il commercio online continuerà a crescere, perché la gente si è abituata a comprare sul web, ma ritornerà ad acquistare anche nel negozio fisico. Per fare ripartire il retail, bisogna ripensare l’esperienza d’acquisto, con infrastrutture dedicate, facilità di spostamenti con i trasporti pubblici e orari flessibili. I turisti torneranno in Italia, ma il governo deve dare il via a un serio piano di rilancio del turismo e pensare a finanziamenti a tasso ridotto per sostenere le strutture ricettive. Turismo e retail devono ripartire insieme”.
Gli interventi pubblici sono sufficienti?
A tenere banco, in questo periodo, sono i dibattiti e le polemiche sulle iniziative pubbliche a sostegno delle attività imprenditoriali. A questo proposito, secondo Mario Resca, “occorre fare una prima riflessione sul capitolo degli affitti di ramo d’azienda. All’inizio del lockdown abbiamo lanciato al Consiglio nazionale dei centri commerciali (Cncc) un appello, rimasto inascoltato, per trovare un punto d’accordo e rinegoziare i canoni d’affitto, ma non l’abbiamo trovato. Le aziende hanno continuato a pagarli, e per di più l’art. 31 del Dl Rilancio ha escluso dal credito d’imposta sui canoni per gli immobili ad uso commerciale l’85% delle imprese con fatturato superiore a 5 milioni. Restano dunque escluse tutte le grandi catene che, pur essendo in numero limitato, rappresentano oltre il 99% del totale fatturato Confimprese e 600mila occupati, pari al 35% dell’occupazione del commercio al dettaglio in Italia”.
Inoltre, come aggiunge l’intervistato, “le grandi imprese sottolineano che si creerebbe anche una discriminazione non giustificata con il turismo: alle strutture alberghiere il credito d’imposta spetta, infatti, indipendentemente dal volume di affari registrato nell’anno. In questa situazione, non è difficile comprendere i motivi che hanno portato il 90% delle imprese a revocare – vista la mancanza di liquidità – i Sepa per il pagamento anticipato dei canoni d’affitto per il trimestre aprile-giugno. Questo ha creato tensioni con le proprietà immobiliari, rendendo urgente l’adozione di misure volte a disinnescare una conflittualità, che sarebbe un ulteriore elemento di negatività all’interno della filiera”.
Confimprese e l’accordo con Finiper
Mario Resca, su questo tema, sottolinea il valore di una partnership siglata alla fine di aprile tra l’associazione da lui presieduta e Finiper (grande azienda della GDO), che ha accordato la sospensione di due mesi dei canoni d’affitto nel 2020. “Un’iniziativa che accoglie il nostro grido d’allarme – rimasto inascoltato – sulla crisi del commercio e sulla rinegoziazione dei canoni d’affitto. L’assoluta assenza di adeguate indicazioni e agevolazioni per il settore del commercio non può lasciare spazio a un’ulteriore fase di stallo e attesa, perché rischia di diventare letale per l’intero sistema. Per sostenere il commercio, il gruppo Finiper, guidato da Marco Brunelli, è sceso in campo per agevolare i retailer associati a Confimprese”.
Questi i punti dell’intesa citata:
- Finiper rinuncia a due mesi di canone nel corso del 2020.
- Finiper si impegna ad approntare un significativo contenimento delle voci di spesa afferenti le gestioni dei centri commerciali.
- Confimprese e Finiper concordano che, alla ripresa delle attività, il contesto di contrazione economica risulterà particolarmente gravoso. Per tale ragione, si impegnano ad applicare anche ulteriori forme di sostegno economico e finanziario, laddove le condizioni del mercato alla fine del secondo semestre 2020 risultassero particolarmente penalizzanti.
L’accordo, secondo Resca, ha l’obiettivo di creare un precedente nel contesto italiano: “un modello di riferimento di una partnership tra imprese, capace di guidare un’inevitabile trasformazione socio-economica, non limitandosi a subirla. Tale modello, oltre a essere un esempio per altri contesti commerciali, potrà rappresentare un utile contributo alle istituzioni comunali, regionali e nazionali, che hanno la responsabilità di definire regole e strumenti per gestire la ripresa dopo l’emergenza Covid-19. Il Gruppo Finiper e Confimprese condividono la visione dei centri commerciali, intesi come luoghi produttivi, di occupazione e di socialità, importanti nel contesto attuale e, per tale ragione, si impegnano ad attuare una serie di iniziative, comportamenti e attività virtuose in termini di responsabilità e sicurezza nella gestione dell’emergenza, ponendo sempre al centro dell’attenzione il bene più prezioso: i clienti”.
Riapertura e retail: cosa ha proposto Confimprese al governo?
La lista delle proposte di Confimprese per aiutare le attività di rivendita a uscire dalla crisi è articolata in base a tre temi chiave: fiscalità, lavoro e credito.
Fiscalità
- Il primo punto è l’eliminazione del limite di 5 milioni di fatturato previsto dall’art.31 del Dl Rilancio, permettendo di fatto l’accesso al credito d’imposta a tutti gli operatori retail, a prescindere dalle dimensioni aziendali.
- Viene richiesto, inoltre, un intervento governativo per la rinegoziazione dei canoni di locazione o affitto di ramo d’azienda per gli immobili ad uso commerciale, con particolare riferimento al canale dei centri commerciali e degli outlet.
- In merito al credito d’imposta per dispositivi di protezione individuale e spese di pulizia, igienizzazione e sanificazione sostenute dalle imprese in attuazione dei protocolli di sicurezza, si propone un ricalcolo del tetto, in considerazione del numero di dipendenti e sedi produttive e operative. Pensando al settore commercio, infatti, non si ritiene equo che lo stesso cap sia previsto per singole attività commerciali e per catene retail, quali quelle che Confimprese rappresenta, con centinaia di negozi sul territorio e migliaia di dipendenti.
- Da promuovere sarebbero anche gli investimenti in digitale nel retail. Infatti, si ritiene che sarà inevitabile, a stretto giro, un’evoluzione permanente – e quindi non solo temporanea in relazione all’emergenza Covid-19 – del modello di servizio in questo settore. A tal fine, si auspica di poter contare con certezza sull’attivazione di leve fiscali da parte del governo, per favorire un progressivo impiego da parte degli operatori retail delle tecnologie digitali.
Lavoro
- In materia di lavoro, Confimprese propone una deroga in materia di licenziamento, in caso di cessazione dell’attività dell’unità produttiva o operativa.
- Inoltre, si richiede uno snellimento delle procedure, con una riduzione dei tempi di erogazione per cassa integrazione guadagni in deroga e fondo di integrazione salariale.
Credito
- Parlando di credito, sarebbe fondamentale un allungamento delle durate massime dei mutui, con garanzia pubblica dagli attuali 6 anni ad almeno 20, al fine di rendere maggiormente sostenibile il rimborso del piano di ammortamento, per finanziamenti sia con garanzia Fondo PMI che con garanzia Sace.
- La semplificazione dell’iter di accesso alle garanzie accelererebbe le procedure di concessione della liquidità alle imprese, per far sì che l’immissione nel sistema sia tempestiva e, dunque, efficace, come nelle intenzioni del legislatore.
Altre priorità per il retail
- In aggiunta ai punti precedenti, occorrerebbe chiarire che i provvedimenti adottati dall’Autorità pubblica per contenere l’emergenza Covid-19 sono da considerarsi causa di forza maggiore, ai fini della disciplina dell’inadempimento delle obbligazioni (artt. 1218, 1256, 1258, 1463 e 1464 del codice civile). Così facendo, verrebbero escluse le responsabilità del debitore che, per effetto dei suddetti provvedimenti, ritardi ovvero non esegua l’adempimento delle sue obbligazioni contrattuali.
- Per sostenere la ristorazione, le procedure autorizzative per i dehors dovrebbero essere semplificate nelle modalità autorizzative e nei tempi. Questo per permettere l’utilizzo da parte dei clienti degli spazi esterni, dove l’eventuale presenza del virus risulta comunque più rarefatta, in considerazione anche del dimezzamento del numero di coperti, dovuto al mantenimento delle distanze di sicurezza.
Le difficoltà e le molteplici esigenze del settore vendita testimoniano la complessità della situazione economica che stiamo vivendo, dalla quale sarà possibile uscire solo con la collaborazione di tutti gli attori coinvolti. In questo senso, anche il comportamento e le scelte di acquisto dei cittadini saranno determinanti.