Giro d’Italia dei salumi e degli insaccati tipici, da Nord a Sud

Salumi italiani

 

La cultura degli insaccati nel nostro Paese è forte e ben radicata, come esprime bene il famoso detto “del maiale non si butta via niente”. Infatti, la tradizione contadina votata all’allevamento del bestiame, soprattutto dei suini, e le condizioni di povertà che hanno scandito per anni la vita di tante famiglie hanno portato a sfruttare tutto quello che gli animali potevano offrire: dal latte alle carni. Ogni regione e ogni territorio, tuttavia, ha saputo trovare modi diversi d’interpretare la necessità di conservare a lungo la carne, contribuendo a creare una varietà di prodotti che, oggi, rappresentano una vera ricchezza del nostro Paese. Quello in cui vogliamo condurvi è, dunque, un goloso tour, da Nord a Sud, tra i salumi italiani tipici, alla scoperta di alcune delle nostre eccellenze. 

Dalla conservazione della carne all’arte norcina: i salumi italiani come espressione di un territorio

La tradizione dei salumi e, più in generale, degli insaccati nasce proprio dalla necessità di conservare nel tempo le carni animali. Essendo un bene facilmente deperibile, per le famiglie era impensabile poter consumare tutta la carne prodotta dalla macellazione di un maiale. Questo ha fatto sì che, in antichità, quando non si poteva contare su mezzi come frigoriferi o congelatori, si siano sviluppate tecniche di conservazione tramandate di generazione in generazione, affinandosi nel tempo e acquisendo caratteristiche che contribuiscono a raccontare qualcosa delle abitudini di popoli e territori. Se salagione, essiccatura e stagionatura sono tre aspetti fondamentali, l’aromatizzazione con vino, spezie, aglio e altri accorgimenti sono espressione dell’arte norcina italiana. E da Nord a Sud, ogni regione ha saputo interpretare quest’arte a modo suo, sfruttando al meglio e spesso valorizzando altre risorse tipiche della zona. Ovviamente, è impossibile citarli tutti: intraprendiamo dunque questo ideale tour scoprendo alcuni degli insaccati e dei salumi italiani tipici, da quelli più rappresentativi a quelli meno noti, ma che vale la pena scoprire.

Valle d’Aosta e Piemonte: le bontà che vengono dai monti

Mocetta
Paolo Bernardotti Studio/shutterstock.com

Iniziamo il nostro viaggio tra i salumi italiani partendo dal Nord e, in particolare, dall’estremo ovest di Valle d’Aosta e Piemonte, dov’è di casa la mocetta (che in varie declinazioni dialettali diventa motsetta, motzetta o mocëtta). Questo salume si ottiene da tagli di carne magra, come muscolo o coscia, tipicamente di bovino adulto, anche se sono diffuse quelle di cavallo, pecora, capra, e altre versioni realizzate con carne di selvaggina, quali cinghiale, cervo e camoscio. Caratteristica della mocetta è utilizzare tagli di piccole dimensioni, che vengono sottoposti a salatura e a una conciatura a base di spezie ed erbe aromatiche: in genere, aglio, salvia, alloro e rosmarino, cui possono essere aggiunte altre erbe di montagna e, in alcuni casi, del vino rosso. A questo punto, si passa a  una prima fase di essiccazione, della durata di venti giorni, che avviene in contenitori di legno o di terracotta, dove la carne viene pressata e lasciata insaporire. Dopodiché si procede con la stagionatura, che può arrivare sino a un massimo di tre mesi: più stagiona, più il prodotto finale presenterà una consistenza compatta, che richiede un’affettatura sottile e accurata, e un gusto più deciso.

Restando in Valle d’Aosta, citiamo un’eccellenza il cui nome tradisce la vicinanza e l’influenza francese. Si tratta del Jambon de Bosses DOP, un prosciutto crudo dalle antiche origini (le prime tracce storiche riconducono al 1397) nell’area del comune di Saint-Rhémy-en-Bosses. Prodotto a partire da cosce di suino stagionate per almeno 13 mesi, si caratterizza soprattutto per le note aromatiche delle erbe di montagna, che gli conferiscono un retrogusto selvatico.

Il cuore della Valtellina: la Bresaola

Le prealpi lombarde sono culla di un prodotto molto simile alla mocetta, ma con alcune significative differenze, che lo rendono a suo modo unico: stiamo parlando della Bresaola della Valtellina IGP. Un salume caratteristico di quest’area geografica, che non a caso vanta dal 1996 la denominazione IGP e può contare su un Consorzio che ne tutela il disciplinare di produzione. Allo stesso modo della mocetta, la bresaola si ottiene dalla coscia di bovino, in particolare sono cinque i tagli utilizzabili: fesa, sottofesa, sottosso, magatello e, infine, punta d’anca, che corrisponde alla fesa privata però del muscolo adduttore ed è la più pregiata. Una volta selezionati, i tagli di carne sono privati delle parti più grasse e sottoposti a salagione e speziatura. Dopo circa dieci giorni, si procede con l’insaccatura e l’asciugatura in apposite celle. Qui si segna una delle differenze più significative con la mocetta, che viene invece fatta asciugare direttamente nella sua conciatura di sale ed erbe aromatiche. Segue, infine, la stagionatura, che avviene in appositi locali dalla temperatura compresa tra i 12 e i 18 °C e che può durare dalle 4 alle 8 settimane. Generalmente, si presenta di color rosso vivo, con poche striature di grasso. La consistenza è tenera e il gusto delicato, con una sapidità appena accennata e una complessità aromatica che dipende dalla speziatura. 

Trentino Alto Adige, terra di speck e carne salada

speck
studiogi/shutterstock.com

Sconfinando in Trentino Alto Adige, si entra nella patria dello speck. Di fatto, è un prosciutto crudo ricavato dalla coscia di suino e caratterizzato dall’affumicatura e dalla stagionatura all’aria aperta. Un salume le cui origini riconducono al XVIII secolo, anche se diverse tracce storiche lasciano intendere che abbia origini molto più antiche (addirittura intorno al 1200). Il suo nome deriva da un termine tedesco, sinonimo di “spesso” e “grasso”. Proprio la fascia di grasso ben evidenziata, dal bianco lucido che contrasta con il rosso purpureo della parte carnosa, è un tratto caratteristico di questo prodotto. Lo Speck Alto Adige è oggi un’eccellenza alimentare italiana, che si fregia del marchio IGP. Col suo gusto deciso, molto sapido, è protagonista sia dei piatti della tradizione regionale, quali i canederli di speck, sia dei rustici taglieri, dove, insieme a pane, vino e ai gustosi formaggi locali, va a costituire la tipica merenda altoatesina. 

Un altro pilastro regionale in fatto di salumi è la carne salada. Si tratta di una specialità generalmente ottenuta dalla fesa di bovino, anche se esistono varianti che includono diversi tagli (come magatello, sottofesa e girello) o altri tipi di carne (di cavallo o di cervo). La carne viene ripulita dalle parti più grasse, massaggiata con una miscela di sale e spezie e lasciata maturare per un periodo variabile tra le due e le cinque settimane, all’interno di locali al riparo da luce e calore. Si consuma tipicamente cruda, tagliata in fette sottili, a mo’ di carpaccio, da condire a piacere (con zucchine, Trentingrana e un filo d’olio, ad esempio), oppure anche in fette più spesse da cuocere alla griglia o in padella. 

L’orgoglio friulano: il San Daniele

Scendendo dalle aree montuose a partire da est, incontriamo una serie di salumi che sono caratteristici dei territori di produzione. A partire dal rinomato Prosciutto di San Daniele, un crudo dal colore rosa gentile e dalla carne tenera, che si presenta molto delicato al palato, con un sorprendente retrogusto aromatico. Protetto dal marchio DOP, è un’eccellenza italiana prodotta a partire da cosce suine dal peso non inferiore a 12 kg e con un processo di lavorazione delle durata di almeno 13 mesi, in cui non è prevista l’aggiunta di alcun aroma, spezia, né tantomeno conservante. Si procede solo alla salagione e alla stagionatura, dov’è il microclima dell’area collinare di San Daniele del Friuli (provincia di Udine) a fare la differenza.

La strada dei salumi tra Veneto e Lombardia

Simile al San Daniele nell’aspetto e nella delicatezza del gusto, pur con qualche sostanziale differenza a livello di sapidità e di profilo aromatico, è il Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP. Si produce nell’area pedecollinare compresa tra le province di Padova, Vicenza e Verona, dove il disciplinare impone che avvengano tutte le fasi di lavorazione. Anche in questo caso, sono i fattori climatici e ambientali dei Colli Euganei a incidere sulle caratteristiche organolettiche del prosciutto, la cui stagionatura minima è di 10 mesi. 

Studio Cru/sopressavicentina.it

Altro salume veneto di spicco è la Soppressa Vicentina DOP, ottenuta dalla lavorazione di varie parti del maiale: coppa, spalla, coscia, pancetta, lombo e il grasso estratto dalla gola. Si realizza poi un impasto che viene insaccato e lasciato stagionare, a seconda della dimensione, da 2 a oltre 6 mesi. Ne risulta un salume dalla consistenza morbida, con un ottimo equilibrio tra carne e parti grasse, che dà il meglio di sé in taglieri con pane e formaggi o in piatti locali come la polenta con funghi e soppressa.

Sconfinando dal Veneto alla Lombardia, entriamo in una regione dov’è soprattutto il salame a essere protagonista. Tra i prodotti di spicco, il Salame Brianzolo DOP: il territorio di produzione è circoscritto a un’area che tocca le province di Lecco, Como e Monza-Brianza. In base alla pezzatura, può essere di grana fine o di grana grossa. Dalla forma cilindrica e dal colore rosso rubino, si caratterizza per una pasta tendenzialmente morbida e compatta, con un sapore dolce e mai acido. L’altra DOP lombarda in fatto di salumi è il Salame di Varzi, dall’omonimo comune dell’Oltrepò pavese tra le colline della Valle Staffora. Le sue origini portano all’antica tradizione dei monasteri, dove fin dal XII secolo si diffuse la cultura dei prodotti trasformati, dall’esigenza di conservare a lungo alimenti facilmente deperibili come latte e carni . Il Salame di Varzi DOP si caratterizza per l’impasto morbido e compatto, col rosso vivo della carne (che comprende tutte le parti nobili del maiale) irregolarmente punteggiato dal bianco perlaceo del grasso, e per il gusto dolce e aromatico, che può essere più o meno complesso a seconda della speziatura.

Una tipicità tutta lombarda e della Lomellina (zona della provincia pavese compresa tra i fiumi Sesia, il Ticino e il Po) in particolare è il salame d’oca. Realizzato con almeno il 30% di tagli magri dell’oca, cui si aggiungono circa il 30% di parti magre del maiale e si completa con un altro 30% di grasso suino (in genere, pancetta o guanciale), viene poi insaccato nella pelle d’oca, legato a mano, quindi fatto asciugare per qualche giorno, prima di essere cotto e lasciato raffreddare. Una specialità tipica, che nel 2015 ha ottenuto il riconoscimento IGP con la denominazione di Salame d’Oca di Mortara, la cittadina dove, nel mese di settembre d’ogni anno, si tiene l’omonima sagra.

Emilia Romagna, miniera di salumi

In fatto di salumi, l’Emilia Romagna merita un capitolo a parte. L’elenco di prodotti d’eccellenza che s’incontrano lungo la via Emilia è davvero ricco e succulente. A partire dal piacentino, che conta su tre DOP, quali salame, coppa e pancetta: prodotti onnipresenti nei taglieri locali e capaci di toccare varie corde di gusto: dal profilo dolce e aromatico del salame, alla consistenza più tenace e alla sapidità che caratterizzano la coppa, per finire con l’impronta più oleosa e speziata della pancetta.

Prosciutto di Modena
consorzioprosciuttomodena/facebook.com

L’Emilia è, però, anche patria di prosciutti d’eccellenza, tra cui spiccano due DOP come il Prosciutto di Parma e il Prosciutto di Modena. Quest’ultimo è legato alla zona collinare che abbraccia il corso del fiume Panaro e che comprende comuni delle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna. È qui che il disciplinare ne impone la produzione, caratterizzata da una stagionatura minima di 14 mesi, con le cosce di suino che, dal lato non protetto dalla cotenna, vengono ricoperte con un impasto di grasso, sale, farina e spezie. Ne risulta un prodotto dal colore interno rosso vivo e un gusto sapido ma non salato.

Il Prosciutto di Parma DOP ha, invece, una stagionatura minima di 12 mesi. Si tratta di uno dei prodotti italiani più noti e apprezzati anche all’estero, ricavato da cosce di suino autoctono di grandi dimensioni (da un minimo di 7 Kg, fino a oltre 10 Kg per quelle con osso). Il disciplinare del Parma DOP ammette solo il sale come elemento capace di agire sia da conservante, sia da fattore di sapidità, senza risultare però predominante. Anzi, il prodotto finito, contraddistinto dal famoso marchio con corona a cinque punte e la scritta “Parma” al suo interno, presenta un basso contenuto salino, che lascia spazio a un profumo e un’intensità aromatica inconfondibili. Oltre a essere consumato crudo, dove sprigiona il meglio delle sue caratteristiche, è base di una ricetta della tradizione, quale la Rosa di Parma: filetto di bovino battuto, che viene arrotolato con un ripieno di prosciutto e Parmigiano Reggiano a scaglie, chiuso a mo’ di arrosto e cotto in padella in una salsa aromatizzata con Lambrusco e Marsala.

Restando nel parmense, non si può fare a meno di rendere omaggio al Culatello di Zibello DOP, una delle stelle del patrimonio enogastronomico italiano. Specialità legata all’omonima frazione di Polesine Zibello e agli altri sette comuni limitrofi, si ricava dalla coscia di maiali adulti, allevati e alimentati secondo quanto stabilito dal disciplinare di produzione. Insaccato nella caratteristica forma a pera, viene lasciato stagionare nelle tipiche cantine locali per un minimo di 10 mesi. Il Culatello di Zibello DOP si distingue anche per il periodo di produzione, che è limitato ai mesi tra ottobre e febbraio. È in questi mesi, infatti, che sussistono le condizioni climatiche ideali, con la nebbia e la fredda umidità della cosiddetta bassa parmense a giocare un ruolo fondamentale nelle caratteristiche del prodotto finito. Il gusto delicato, tendenzialmente dolce, e la complessità aromatica dovuta alla stagionatura e alla speziatura sono gli elementi che lo rendono unico.

Concludiamo il nostro passaggio in Emilia Romagna con una doverosa tappa a Bologna. La città capoluogo è legata, infatti, alla Mortadella di Bologna IGP. Un salume le cui prime tracce storiche risalgono al 1661, data cui risale il bando attraverso cui il Cardinal Farnese ne codificava la produzione. Per anni bistrattata come un parente “povero” di altri più nobili insaccati, la mortadella sta oggi vivendo una stagione di rinascita, grazie soprattutto alle nuove metodologie applicate sia nell’alimentazione dei suini, sia nel processo di produzione. Il Consorzio Mortadella di Bologna IGP ne tutela tutte le fasi e certifica un prodotto inconfondibile già nell’aspetto: la forma esterna è ovale o cilindrica, mentre la sezione interna rosa e punteggiata da quadrettature di grasso bianco perlaceo, uniformemente distribuite. A incidere in maniera particolare sul profilo aromatico del prodotto finito è la lenta cottura, che avviene mediante stufe ad aria secca. Affettata sottile o tagliata a cubetti, la mortadella è tenera, profumata, scioglievole al palato, dove sprigiona tutta la sua golosità.    

La Toscana e le sue eccellenze

La Toscana è un’altra regione dalla grande tradizione in fatto di salumi. Tra i prodotti più rappresentativi, in questo senso, c’è il Prosciutto Toscano DOP: si ottiene dopo un lungo processo di lavorazione che prevede varie fasi, tra cui la salatura, la sugnatura, la stagionatura e la spillatura, decisiva per stabilire se il prosciutto ha raggiunto il giusto grado di maturazione. Si introduce un osso di cavallo modellato a forma d’ago in diversi punti della coscia, in modo da valutare sia il profilo aromatico, sia eventuali difetti nella consistenza della carne, che deve risultare piuttosto compatta e asciutta. Tradizionalmente tagliato al coltello, il prodotto finale si caratterizza per una spiccata sapidità, accentuata dalla speziatura a base di sale, pepe, alloro, aglio, rosmarino, bacche di ginepro e altri aromi tipici del territorio. 

Prosciutto Toscano
prosciutto.toscano/facebook.com

La regina della salumeria toscana è senza dubbio la Finocchiona: specialità le cui origini sembrano ricondurre all’età medievale, dal 2015 vanta la denominazione IGP. Si tratta di un impasto di carne di maiale (in genere pancia e spalla), con l’aggiunta di sale, pepe, aglio, eventualmente del vino rosso, e semi o fiori di finocchio. Sono quest’ultimi gli elementi caratterizzanti, che conferiscono al prodotto finale un aroma inconfondibile. Leggenda vuole che la finocchiona nasca proprio dalla necessità di insaporire le carni con un prodotto, come i semi di finocchio appunto, meno costoso del pepe e quindi alla portata delle famiglie contadine dedite all’allevamento dei suini.

Concludiamo la tappa in terra toscana citando un’eccellenza unica nel suo genere: il Lardo di Colonnata IGP. Prende il nome dall’omonimo comune in provincia di Massa-Carrara, noto per le cave da cui si estrae il pregiato marmo. E proprio il marmo è elemento decisivo nella produzione del Lardo di Colonnata. I blocchi di lardo suino vengono, infatti, cosparsi con un mix di sale, pepe, spezie ed erbe aromatiche e, successivamente, disposti all’interno delle conche di marmo, la cui porosità garantisce un’umidità costante, fondamentale per il processo di stagionatura. Dopo un periodo tra i 6 e i 10 mesi, si estrae il prodotto finito, che si distingue per la superficie esterna grigio-nera, dal lato della speziatura, e per il colore bianco, tendente appena al rosato, della parte interna. Morbido al taglio, rivela umidità e scioglievolezza al palato, con una dolcezza cui segue il retrogusto speziato. 

Umbria: dove nasce l’arte norcina

In Umbria, nel cuore dell’Italia, c’è un luogo che simboleggia la tradizione secolare legata ai salumi. Si tratta di Norcia, comune dell’alta Valnerina (provincia di Perugia), da cui deriva il termine norcino, col quale ci si riferisce a chi è addetto alla castrazione, alla macellazione e alla lavorazione delle carni suine. Da qui nascono due insaccati tipici come il Prosciutto di Norcia IGP e il salame corallina. Il primo, insaccato nella caratteristica forma a pera e stagionato per un minimo di 12 mesi, è noto e apprezzato per il suo equilibrio aromatico: sapido ma non salato, e con una delicata nota speziata. La corallina, invece, si ottiene dai tagli più magri del maiale (la spalla soprattutto), cui vengono aggiunti cubetti di lardo e un mix di sale, pepe e eventuali altri elementi aromatici, come aglio e vino, che ne arricchiscono il gusto.

Marche, tra ciauscolo e Prosciutto di Carpegna DOP

Ideale ponte di passaggio tra Umbria e Marche è il ciauscolo. Prodotto della tradizione contadina, è una sorta di salame spalmabile, ricavato da vari tagli del maiale, tra cui spalla, pancetta, prosciutto, lombo, lardo, che vengono lavorati insieme a un mix di sale, pepe e altri aromi. L’impasto ottenuto viene macinato più volte, prima di essere insaccato nel budello suino, dove stagiona per minimo quindici giorni. Ne risulta un prodotto dal colore rosato, dalla consistenza umida, che lo rende una pasta spalmabile assai profumata e aromatica. La varietà più pregiata è quella prodotta nell’area compresa tra le province di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno e che vanta il marchio IGP. 

Prosciutto di Carpegna DOP
consorzioprosciuttodicarpegna.it

Restando alle Marche, una citazione la merita anche il Prosciutto di Carpegna DOP. Tipico dell’omonimo comune della provincia di Pesaro-Urbino, si realizza con carne di suini nostrani e prevede una stagionatura minima di 13 mesi. Ne risulta un prodotto dal colore rosa tenue e dal sapore molto delicato.

Le eccellenze laziali: Porchetta di Ariccia e Guanciale di Amatrice

Trasferendoci nel Lazio e, in particolare, sui colli romani, incontriamo Ariccia. Una tradizione millenaria lega questa cittadina nelle immediate vicinanze della capitale al prodotto che ne porta il nome. Nel 2011, infatti, l’Unione Europea ha definito la denominazione Porchetta di Ariccia IGP: carne di suino femmina, cotta e aromatizzata con una speziatura che prevede sale, pepe, aglio e rosmarino. La lavorazione è complessa e richiede vari passaggi, dalla disossatura, alla conciatura delle carni, che andranno poi a costituire il ripieno della carcassa, fino alla cottura e ai controlli decisivi per garantire che il prodotto finale presenti quella crosticina croccante esterna e un interno tenero, compatto e di grande sapidità. La Porchetta di Ariccia IGP si può trovare intera al banco, disponibile al taglio, oppure in tronchetti dal peso intorno ai 10 Kg.

Porchetta di Ariccia IGP
porchettaleonirandolfo/facebook.com

Parlare di salumi nella regione laziale non può prescindere dal citare il Guanciale di Amatrice. Noto soprattutto per il suo utilizzo nella pasta all’amatriciana, si ricava dalla guancia del maiale, che viene distaccata a partire dalla gola. Se ne ottiene un blocchetto di forma triangolare, dalla sezione bassa e schiacciata, che presenta evidenti strisce di grasso alternati al rosa tenue della carne. La parte esterna, invece, è tempestata da grani di pepe e peperoncino, che, insieme al sale, ne costituiscono la speziatura. A completare il profilo aromatico di questo pregiato salume è la leggera affumicatura, che è tradizionalmente fatta con l’esposizione a fumo di legno di quercia.

I salumi del Sud: non solo capocollo e soppressata

Passando al Sud Italia, l’arte norcina si esprime soprattutto in salumi di carne suina, come il capocollo e la soppressata. Il primo si ottiene dai muscoli del collo, un taglio magro, che permette di avere un prodotto finale dal colore rosso intenso, inframezzato da lievi striature di grasso, con una consistenza compatta e un sapore intenso e speziato. La soppressata si ricava, invece, dai lombi del suino. Anche in questo caso, si tratta di un taglio pregiato, lo stesso tipicamente usato nel Centro-Nord Italia per la produzione del prosciutto, cui viene aggiunta una parte di grasso e una speziatura a base soprattutto di pepe, per una specialità particolarmente sapida e aromatica. Sia il capocollo che la soppressata sono salumi diffusi in tutta l’Italia meridionale, dalla Campania alla Puglia (dov’è particolarmente noto e apprezzato il Capocollo di Martina Franca), passando per la Basilicata.

Quest’ultima vanta poi una specialità dalle origini povere, come il nome stesso suggerisce, ma rivalutata nel tempo, al punto di essere considerata, oggi, una delle eccellenze gastronomiche lucane. Si tratta del salame pezzente, prodotto incluso nel registro PAT del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che si realizza con i tagli meno pregiati del maiale (fegato, milza, polmoni e pancetta soprattutto), cui si aggiungono sale, aglio e, in genere, peperone secco dolce macinato e semi di finocchio. Insaccato nel budello di maiale e conservato in scantinati freschi e asciutti o, in alternativa, all’interno di vasi di vetro, ricoperto dalla sugna, si usa consumarlo sia da solo sia come ingrediente fondamentale per insaporire zuppe, minestre di verdura o per ricette della tradizione, quale lo ntrupp’c (termine dialettale che sta per “inciampo”), il tipico ragù di Potenza.

Spostandoci, invece, in Sicilia troviamo il Salame Sant’Angelo IGP, prodotto tipico dell’area afferente a Sant’Angelo di Brolo, comune dell’entroterra messinese. È da una razza di maiale autoctona come il suino nero dei Nebrodi che si ottiene questo salume. Tagliata a punta di coltello, la carne è impastata a grana grossa insieme a sale e pepe, insaccata nel budello e lasciata quindi stagionare per un periodo di almeno 45 giorni. Le particolari condizioni ambientali della vallata santangiolese contribuiscono a definirne le caratteristiche organolettiche e gustative, che ne fanno il prodotto di punta della norcineria siciliana.

Calabria: la regina dell’arte norcina al Sud

Restando al sud, è soprattutto in Calabria che l’arte norcina trova espressione in prodotti d’eccellenza, alcuni dei quali insigniti del marchio DOP. Oltre a capocollo e soppressata, che sono veri e propri simboli della cultura gastronomica locale, c’è la Salsiccia Calabrese DOP. Per produrla si utilizzano gli stessi tagli della soppressata, ma di seconda scelta, motivo per cui ne è considerata una sorta di “parente povera”. Il fatto di essere realizzata con carni di minor pregio ha contribuito però alla sua diffusione, al punto che, ancora oggi, gode di una popolarità e di un apprezzamento che vanno ben aldilà dei confini regionali. 

Altra DOP tipica è la Pancetta Calabrese: a differenza di quella piacentina, che è arrotolata su se stessa e insaccata a mo’ di cilindro, si presenta “tesa”, ovvero in forma di blocco schiacciato e allargato. Si ottiene da sottocostato inferiore e cotenna di suini autoctoni, cui, dopo la prima fase di salagione e l’asciugatura, viene aggiunto un macinato di peperoncino dolce, che contribuisce sia a definirne il colore, sia a caratterizzarne il gusto. 

nduja di spilinga
Foto di Licia Giglio

Come non citare, infine, la ‘nduja? Si tratta di un salume simbolo della Calabria, particolarmente legato a Spilinga, piccolo comune della provincia di Vibo Valentia. Si produce con tagli grassi del maiale, come il lardo e la pancetta, cui si aggiungono sale e peperoncino piccante. Proprio quest’ultimo, che in genere rappresenta il 50% della massa del prodotto, ne caratterizza il gusto. Altro elemento distintivo della ‘Nduja di Spilinga è la consistenza pastosa, tipo paté. Come già visto per il ciauscolo, si tratta infatti di un salume spalmabile, che si presta dunque a essere consumato sia sul pane, come antipasto, sia come base di alcuni piatti tipici, quali i fileja alla ‘nduja e la zuppa fagioli e ‘nduja. 

 

Si conclude qui il nostro ideale viaggio tra i salumi d’Italia, che ci ha condotto attraverso una vera e propria miniera di specialità, da cui – solo per ragioni di spazio – abbiamo dovuto sacrificare molti altri prodotti degni di nota. Ne conoscete altre che meritano di essere citate? Qual è la specialità norcina che apprezzate di più? E quale, invece, tra quelle che non vi erano note, avreste più curiosità di assaggiare? 

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