Apicoltura contro il caporalato: Bee My Job e MEDU insieme a Rosarno

apicoltura

 

Imparare un mestiere e poterlo poi esercitare in condizioni di legalità è spesso un miraggio per migliaia di braccianti di origine straniera che, ogni anno, sono impegnati nella raccolta di pomodori, arance non soltanto nelle campagne italiane. Un’utopia che, per alcuni di loro, si trasforma in realtà attraverso progetti virtuosi che mettono in relazione rifugiati e richiedenti asilo con le aziende dei territori. Quasi un anno fa avevamo conosciuto Mara Alacqua, presidente dell’associazione di promozione sociale Cambalache, promotrice del progetto Bee My Job, un modello che unisce formazione e lavoro nel campo dell’apicoltura sostenuto anche dall’UNHCR – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Nato ad Alessandria, la scorsa estate, Bee My Job è “migrato” fino in Calabria, a Rosarno a due passi dalla Piana di Gioia Tauro, luogo tristemente noto proprio per le grandi e fatiscenti baraccopoli dove vivono (e muoiono) i braccianti stagionali, sfruttati dai caporali della zona. Abbiamo chiesto a Mara e a Chiara Cupo dell’associazione Vibosalus di raccontarci questa interessante collaborazione con Medici per i Diritti Umani.

ragazzi del progetto bee my job

Apicoltura contro il caporalato: l’esperimento Bee My Job a Rosarno

Sono cinque i nuovi apicoltori a Rosarno che, fino a pochi mesi fa, vivevano nelle tendopoli della zona, senza un tetto sopra alla testa né un contratto regolare. Oggi sono stati formati per questo lavoro, hanno imparato meglio l’italiano e in particolare quello settoriale e hanno l’opportunità di immaginare un futuro diverso per sé e per la loro famiglia. Sono soddisfatti ed emozionati i rappresentanti delle realtà che hanno permesso al modello di Bee My Job di svilupparsi anche in Calabria, a partire dall’inizio dell’estate scorsa.

Tutto è nato da una collaborazione tra l’associazione Cambalache di Alessandria e Medici per i Diritti Umani che, con il progetto Terragiusta, è attiva da sei anni sui territori toccati in maniera forte dal fenomeno del caporalato sia in Calabria che in Puglia. Togliere le persone dalle maglie dello sfruttamento non è impresa semplice, tant’è che anche per dare avvio a questo progetto è stata preziosa la collaborazione di una rete anche sul territorio composta dalla Cooperativa Sociale Vibosalus di Ionadi, dell’associazione A Buon Diritto, dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e l’Associazione Apicoltori Produttori Calabresi.

Le difficoltà di un territorio così fragile

“L’esperienza di Bee My Job in Calabria – spiega Chiara Cupo – si pone l’obiettivo di proporre un’alternativa ai ragazzi che sono costretti a lavorare in nuove forme di schiavitù, ma non è stato facile”. Tra le difficoltà più grandi, il reclutamento dei giovani che avrebbero poi partecipato al periodo di formazione e al tirocinio in azienda: “dopo lo sgombero della baraccopoli, per gli operatori difficile è stato capire come riorganizzare il programma in una situazione di grande incertezza e dove tanti ragazzi avevano perso i punti di riferimento”.

È stato complesso anche individuare aziende sul territorio che fossero disponibili a collaborare e rispettassero gli standard etici e di rispetto dei diritti umani richiesti dal progetto, ma in questo Cambalache ha avuto un ruolo di sostegno. “Siamo stati fortunati, insieme abbiamo trovato le realtà più idonee che hanno facilitato anche la ricerca della soluzione abitativa. Gli stessi titolari delle aziende si sono spesi in prima persona per individuare la soluzione migliore a ciascuno dei ragazzi con cui hanno avuto a che fare”.

apicoltore

Formazione, tirocini e il sogno di un lavoro fisso

Una volta individuati i partecipanti, anche a Rosarno è partito il percorso di formazione nel settore apistico e il corso di italiano avanzato a conclusione dei quali quattro dei cinque ragazzi partecipanti hanno iniziato un tirocinio in azienda. “Non è stato semplice – aggiunge Chiara Cupo – far capire a persone che sono abituate a muoversi seguendo la raccolta che l’apicoltura poteva rappresentare un cambiamento di vita. Per questi ragazzi è un’opportunità straordinaria: poter uscire dal degrado, da una situazione terribile, e iniziare a sognare”.

Idriss, 27enne proveniente dalla Sierra Leone, ha iniziato a lavorare nell’azienda Amusa Miele, Abdoul da Apicoltura Mele, Louis da Mielin, Malik (che in Mali faceva il saldatore) da Mellisape. La sua storia, ci racconta Chiara, è particolarmente interessante: la sua è una famiglia di contadini, quindi già conosceva la terra ed era il più impaziente di lasciare Rosarno per spostarsi seguendo la raccolta. Lo ha convinto a restare anche Raffaele Denami, titolare dell’azienda, che spiega: “Con lui c’è stato feeling fin da subito, gli abbiamo trovato una casa in paese, ad appena 200 metri dall’azienda. È una persona gioviale, rispettosa, ha vissuto in Libia e poi qualche anno fa è arrivato in Sicilia e dà lì ha iniziato a girare l’Italia, dal Piemonte alla Calabria per la raccolta stagionale della frutta e della verdura”. Al termine del tirocinio, Malik – così come Louis nell’azienda Mielin – è stato assunto. “Nella nostra azienda – spiega ancora Denami – al di là dei 1.000 alveari, con cui portiamo avanti la produzione di miele almeno fino a ottobre grazie al clima calabrese, abbiamo gli ulivi e di lavoro ce n’è molto anche in inverno. Ormai Malik è parte della nostra famiglia e speriamo che presto riesca a portare qui anche la sua”.

apicoltore che indossa la tuta protettiva

Diventare una famiglia lavorando insieme

Ciò che colpisce di questa piccola sperimentazione calabrese di un modello, quello di Bee My Job, che sta funzionando anche in altre parti d’Italia è proprio il calore quasi familiare delle relazioni che si instaurano tra le persone coinvolte. Il miele diventa salvezza, ma anche incontro, confronto e legalità. “ Oltre a garantire a queste persone un futuro più accettabile – conclude Mara Alacqua – l’idea è quella di poter dire che esiste un’alternativa e mostrarla in un territorio difficile. La forza di questa collaborazione è concreta: attraverso percorsi reali di accoglienza sui territori ci possono essere persone formate non soltanto da ‘accudire’, ma con cui lavorare fianco a fianco. È un’opportunità grande che, non abbiamo dubbi ormai, funziona”. La collaborazione tra Cambalache e MEDU proseguirà anche nel 2020, con il progetto Bee My Job pronto a sbarcare sul territorio toscano.

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