Rettangolare, a rombo o circolare. Poco più piccolo del palmo di una mano, oppure grande quanto un piatto. Un altro indizio? L’inconfondibile colore dorato dovuto dalla frittura. Ebbene sì, stiamo parlando proprio dello gnocco fritto – o forse dovremmo dire “del” gnocco fritto, sfidando qualunque regola grammaticale – che tra le colline e le pianure emiliano-romagnole ha trovato la sua casa ideale… ma con alcune differenze! Perché, forse più di altre, l’Emilia-Romagna è una regione dove tutte le cose importanti passano attraverso il buon cibo e una cucina ricca di tradizioni, in cui le ricette sono sempre portatrici di leggende che si perdono nel tempo, di epiche diatribe (vi ricordate lo scontro tra i cappelletti e i tortellini?) e, soprattutto, di sottili variazioni da paese a paese. Anche questa ricetta non è da meno e ci porterà alla scoperta di questa specialità unica e irresistibile: pronti a partire con noi e a scoprire tutte le varianti del(lo) gnocco fritto?
Origine e storia dello gnocco fritto
Lo gnocco fritto è una delle – tante – specialità simbolo della gastronomia emiliana. Tuttavia, forse non tutti sanno che, quasi sicuramente, le sue origini antiche sono da ricercarsi nella tradizione culinaria dei Longobardi, i quali, dopo la caduta dell’Impero Romano, hanno conquistato queste terre. Pare, quindi, che si sia così tramandato agli emiliani il segreto per la realizzazione di questa grande ricetta: lo strutto. Infatti, nella sua versione originale, lo gnocco fritto non è altro che un sostituto del pane realizzato con ingredienti semplici, come farina, acqua, sale e, ovviamente, strutto, usato sia nell’impasto sia nella frittura.
La cucina dei popoli celti era molto ricca di proteine e di grassi animali (come cinghiali e maiali) e, di conseguenza, hanno iniziato a usare questo ingrediente nelle realizzazione delle loro pietanze. Ma la storia dello gnocco fritto ha saputo andare oltre e, nel corso dei secoli, questa preparazione si è diffusa in tutto il territorio emiliano-romagnolo: è così che, fino alla metà del ‘900, è diventata l’alimento base della colazione invernale contadina. All’epoca, si usava uccidere il maiale tra novembre e dicembre per avere a disposizione scorte sufficienti per affrontare l’inverno: perciò, per via della grande disponibilità di strutto – com’è che si dice, del maiale non si butta via niente? – lo si impiegava per creare un pane povero d’ingredienti ma decisamente nutriente e ricco di sapori.
Gnocco, crescentina, torta fritta, chisolino o pinzino: un nome, una ricetta
Tra influssi longobardi e origini emiliane, questa ricetta ha piantato le sue radici nelle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna, tanto da ottenere il riconoscimento di “prodotto agroalimentare tradizionale” (PAT). Ma attenzione, perché tra una zona e l’altra ci sono alcune piccole differenze che si rispecchiano anche nei diversi nomi con cui viene chiamata. Curiosi di scoprire quali sono tutte le varianti di gnocco fritto?
“Il” gnocco fritto modenese
Gnocc frett, al gnocch frètt, ‘l gnoc: sono parecchie le versioni in dialetto per chiamare “il” gnocco fritto, variante diffusa più che altro nelle province di Modena e di Reggio Emilia. Secondo la Confraternita del Gnocco d’Oro, la ricetta originale prevede l’uso di ingredienti semplicissimi, come farina, acqua gassata, sale e strutto. Niente lievito, quindi: si gonfia naturalmente grazie all’effetto dell’acqua minerale gassata. Inoltre, niente “olio nella frittura ma solo strutto”. In alcuni casi, è accettata l’aggiunta del latte nell’impasto per ammorbidirlo. La pasta viene stesa col mattarello e tagliata in rombi o rettangoli di circa 10-15 cm circa, oppure in tondi più grandi dal diametro di circa 25 cm, che vengono poi fritti nello strutto bollente.
La crescentina fritta bolognese
A Bologna e provincia, lo gnocco fritto è anche conosciuto come “crescentina fritta” (attenzione, però, a non chiedere una crescentina a Modena, perché con quel termine si intendono le tigelle). A differenza della ricetta del gnocco fritto modenese o reggiano, questa preparazione prevede come ingredienti anche il lievito, olio extravergine, acqua tiepida e latte intero. Si taglia l’impasto a losanghe e si possono friggere le crescentine nello strutto oppure nell’olio di semi. Il risultato? Una specialità quadrangolare soffice e con rigonfiamenti circolari (dovuti alle bolle d’aria che si creano durante la fase di frittura), pronta per essere gustata!
La torta fritta di Parma
Come abbiamo visto, ogni città chiama questa sfiziosità fritta in modi diversi, e in tutto il territorio parmense si chiama “torta fritta”. Perché questo nome particolare? Pare che in quelle zone, prima di servirlo in tavola, era abitudine spolverarlo con lo zucchero e mangiarlo come perfetta conclusione del pasto. Perciò, all’inizio era considerato una sorta di dolce: solo col tempo si è scoperto che poteva essere degustato anche “salato”, in abbinamento a salume e formaggi. Per la sua preparazione si usano farina, olio, sale, lievito, acqua e, infine, lo strutto per la frittura.
Il pinzino ferrarese
Ci spostiamo verso il territorio ferrarese dove, a pochi km di distanza oltre l’argine del fiume Reno, le crescentine fritte sono chiamate “pinzini”. Originariamente, la forma era più piccola e circolare, bucherellata in superficie con i rebbi della forchetta, mentre adesso si possono trovare anche tagliati a rombi. Per quanto riguarda l’impasto, si tratta sempre di una pasta lievitata che può essere fritta in entrambi i modi, nello strutto o nell’olio.
Il chisolino piacentino
Concludiamo il nostro viaggio alla scoperta delle varianti del gnocco fritto nella Bassa piacentina, al confine tra il Parmense e il Cremonese: qui, questa specialità di pasta fritta è chiamata in dialetto locale chisulén e poi italianizzato con “chisolini”. Si tratta di un prodotto che appartiene alla cucina “povera”, perché doveva servire come alimento sostitutivo del pane, in caso di improvvisa mancanza nelle dispense.
Per quanto riguarda la sua origine, pare che sia legata in maniera indissolubile al patrimonio culturale e gastronomico di Fiorenzuola, tanto da essere anche valorizzato con il marchio De.Co. dalla città. L’impasto, realizzato con farina, acqua, lievito e strutto, veniva tirato sull’asse della madia (in piacentino, la “mesa”) con il mattarello (la “canela”), tagliato in forme diverse – rettangolari, a grissino o a bocconcino – e poi fritto nello strutto di suino.
Salumi e formaggi: come abbinare “il” gnocco fritto
Sapete com’è che si dice riguardo allo gnocco fritto? È così buono che uno tira l’altro!
Oggi, queste prelibatezze di pasta fritta sono diventate famosissime – vero e proprio orgoglio emiliano-romagnolo – e si possono gustare in moltissimi ristoranti e trattorie della zona, oppure durante le sagre di paese, principalmente fritte nell’olio (preferito rispetto allo strutto che è considerato troppo pesante). Ma quali sono gli abbinamenti “vincenti”? La parola d’ordine è: località! Infatti, il segreto è abbinare il gnocco fritto con prodotti locali, come la Mortadella di Bologna IGP, il Culatello di Zibello, i ciccioli o la meravigliosa coppa piacentina, accompagnati da un’abbondante cucchiaiata di formaggio tenero, tipo squacquerone o stracchino. La morte sua? Provatelo anche con le cipolline all’aceto balsamico e un bel pinzimonio di verdure, oppure anche con una marmellata. Poi, annaffiate il tutto da un buon lambrusco e… la magia è compiuta!
Questo viaggio nell’Emilia-Romagna si conclude qui: abbiamo scoperto tutte le varianti dello gnocco fritto, in un groviglio di nomi e di tradizioni diverse che, alla fine, racchiudono in sé lo stesso amore per la cucina. Diteci, quale preparazione avete preferito? E come amate abbinare il gnocco fritto (o crescentina, torta fritta, pinzino, chisolino)?
Fonti:
madeinparma.com
bolognawelcome.com
gnoccodoro.blogspot.com