Giovedì gnocchi, sabato trippa

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A grande richiesta è finalmente tornato in libreria in una nuova edizione ampliata e aggiornata “Giovedì gnocchi, sabato trippa”, il successo editoriale di Martino Ragusarieditato oggi da Edizioni IN Magazine.

Sottotitolo programmatico “Come imparare a cucinare con l’intramontabile scuola delle mamme”

 

Per i lettori del Giornale del Cibo, come sempre, un’anticipazione in esclusiva: copertina e quarta di copertina del mitico “manuale” e la prefazione integrale, scritta daPatrizio Roversi.

Buona lettura, trovate “Giovedì gnocchi, sabato trippa” in libreria, oppure direttamente on line.

 

giovedì gnocchi sabato trippa cover intera

La prefazione di Patrizio Roversi

Il nostro autore è nato in un piccolo paese, poi si è trasferito in una grande città, ma successivamente l’amore per il suo paesello natio si è fatto sentire. È un cultore della lingua, oltre che della cucina: appassionato di lettere, autore a sua volta. Nei suoi scritti relativi alle ricette ci mette del suo e soprattutto cerca di creare un linguaggio comune fra tradizioni regionali (e quindi dialettali e linguistiche) diverse.

È un gastronomo per caso, nel senso che ha sempre coltivato la passione per la cucina, ma è soltanto in età matura che ha fatto outing e ha deciso di raccogliere le sue ricette e pubblicarle. In particolare è un onesto “sperimentatore”: scrive di quello che ha provato e riprovato a fare e trasmette solo le ricette che funzionano. Il suo “sapere” è collettivo e collettore, nel senso che ha attinto alle esperienze di una comunità di cuochi e cuoche, casalinghe e casalinghi, appassionati di cucina, con i quali intrattiene fitti rapporti di scambio, sperimentali e teorici.

Il nostro autore è anche un turista per cibo, nel senso che la sua sapienza viene da molteplici viaggi per tutta l’Italia, durante i quali ha raccolto esperienze, storie, prodotti. A questo proposito è un convinto sostenitore dell’unità d’Italia, nel senso che ha promosso prodotti tipici della cucina del sud al nord e viceversa, e promuove di fatto una integrazione fra esperienze regionali diverse, senza temere le contaminazioni, sostenendo con ogni evidenza che la cucina italiana è cosa viva, che si evolve e cambia nel tempo. Quindi potremmo definirlo un gastro-filologo ma non un conservatore, semmai un innovatore che parte dalla tradizione. Infine il nostro autore ha un rapporto dialettico e molto speciale con le donne: è uno scapolone, che non ha mai preso stabilmente moglie e che ha piuttosto coltivato un rapporto con le donne tramite le sorelle, ma in realtà tiene in gran conto il ruolo e la sapienza femminile, in particolare come depositaria della tradizione culinaria, legata indissolubilmente alla salute e agli stili di vita. Il nostro autore infatti ci tiene molto ai comportamenti salutistici e conta molto sulla cucina come momento di medicina preventiva. Approccia ogni ricetta con metodo scientifico e porta decisamente “la scienza in cucina”.

Anche il lettore meno informato di storia della cucina ormai sarà arrivato alla conclusione che ho confezionato un vestitino su misura per introdurre il padre della tradizione gastronomica italiana, Pellegrino Artusi.
Invece no. Guarda caso questo vestito calza a pennello anche alla biografia e alla personalità del nostro autore: Martino Ragusa.
Martino nasce a Ribera, in provincia di Agrigento, ma poi “scappa” a Bologna per poi tornare a Ribera in età matura (Artusi scappa da Forlimpopoli per andare a Firenze, ma alla fine recupera il rapporto col paese natio). Martino ha alle spalle una carriera di medico e di letterato (da cui l’attenzione per la salute e per la lingua, come Artusi che tenne in gran conto i suggerimenti del suo amico medico Paolo Mantegazza). Anche Martino, come Artusi, ha percorso l’Italia in lungo e in largo per raccogliere ricette, prodotti e saperi. Artusi in calce alle edizioni del suo libro mette l’indirizzo di casa di Piazza D’Azeglio a Firenze, a cui i lettori mandano commenti, correzioni, suggerimenti. Martino gestisce un sito internet (www.ilgiornaledelcibo.it) tramite il quale dialoga quotidianamente con più di centomila appassionati di cucina. Artusi ha diffuso al nord la passione per la pasta, fino ad allora tipica del sud. Ragusa propone al sud il Parmigiano Reggiano e molti altri prodotti e poi rilancia nella tradizione del nord l’uso dell’olio extravergine d’oliva, tipico del centro-sud. Anche lui single convinto, Martino riesce – come l’Artusi – ad entrare in intimità con sfogline, “Cesarine” (pasionarie della cucina locale che invitano ospiti in casa, simili alle “Mariette” di artusiana memoria) e cuoche d’ogni ceto e provenienza, e anche lui ha nella sorella Fina la sua “spalla” in cucina (Artusi aveva appunto la sua fida collaboratrice Marietta). Infine l’atteggiamento nei confronti delle cucine regionali è lo stesso: all’insegna di integrazione & evoluzione, per arrivare appunto ad un linguaggio gastronomico condiviso. Non ultimo l’interesse comune, fra Artusi e Ragusa, per la materia prima che deve essere sana-pulita-giusta. E soprattutto una visione che abbraccia l’Italia gastronomica nel suo insieme, come cornice unica che contiene una infinita varietà di tradizioni locali. Se Artusi è il padre della Cucina Italiana, Ragusa è almeno il cugino…

Ma veniamo a questo libro.

È la riedizione (riveduta, corretta e soprattutto aggiornata) di un vecchio libro, uscito quasi vent’anni fa e che dopo che è andato esaurito, è stato ricercato e invocato a gran voce da moltissimi lettori (altra similitudine con l’Artusi, che curò un sacco di edizioni del suo manuale). Rispetto alla prima, questa edizione non poteva che essere molto più ricca, e non solo perché nel frattempo l’esperienza di Martino si è enormemente arricchita: questo testo infatti contiene una parte che potremmo definire di “Sociologia della gastronomia”, che consiste in tutta una serie di considerazioni sul bon ton in cucina e sul significato sociale del cucinare, che coi tempi che corrono  in termini di integrazione e di mutazione dei costumi, non poteva non essere riportata al presente.
E comunque anche questo di Ragusa – come quello dell’Artusi – è un manuale. E anche questo alla sua prima edizione ebbe successo soprattutto grazie al passaparola.
Nella suo volume “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” Artusi fa spesso appello al buon gusto, cioè a quella indefinibile dotazione genetico-culturale che noi italiani abbiamo nel nostro DNA. Io ho fatto il turista in giro per il mondo e ho imparato a relativizzare tutto, compresi i gusti gastronomici, ma alla fine sono arrivato alla conclusione – magari politicamente poco corretta – che noi italiani abbiamo un palato migliore di molti altri. A noi certi accostamenti di sapori non vengono neanche in mente e certe aberrazioni del gusto le riconosciamo al volo. Ecco, appunto: l’Artusi e il Ragusa fanno appello entrambi a questo “buon gusto” innato. Ed entrambi quindi tendono a fissare e trasmettere le basi della cucina italiana, perché ognuno di noi possa coltivare questo gusto.

In particolare Martino Ragusa in questo libro tende a mettere a fuoco i fondamentali della cucina: insegna cioè concretamente come cucinare. Illustra gli strumenti (gli oggetti, gli utensili) della cucina. Spiega il meccanismo dei vari tipi di cottura e il loro effetto sulle materie prime. Come l’Artusi, che spiega, tra le altre cose, che se vuoi un buon brodo metti la carne dentro l’acqua fredda, mentre se vuoi un buon lesso metti la carne dentro l’acqua già bollente. A proposito di lesso: un giorno Martino mi manda dal macellaio a comperare l’occorrente per il brodo e mi consegna una lista infinita, con sopra delle parole a me sconosciute. Vado dal macellaio, a Bologna, e timidamente comincio a recitare la lista, temendo che il macellaio si spazientisca o mi prenda in giro. Invece il macellaio è andato in visibilio: finalmente un cliente che se ne intende e che elenca tutte le parti necessarie a fare un vero brodo, con tanto di termini specifici e dialettali. Martino è così: si è studiato i nomi dei tagli di carne in tutti i dialetti, come Artusi che disquisisce sulla differenza che c’è fra il termine caciucco e la parola brodetto, che vogliono dire pressapoco la stessa cosa ma l’una sul Tirreno e l’altra sull’Adriatico.

Vorrei aggiungere però, da ultimo, una precisazione e un’auto-citazione che spero mi perdonerete: un certo merito per questo libro di Martino ce l’ho anche io! Infatti ho vissuto, da studente, per anni con Martino, che ha nutrito me e gli altri abitanti dell’appartamento di Via Nazario Sauro a Bologna con le sue ricette, ricavate dall’esperienza della sua mamma siciliana (tanto che era soprannominato Martinello Ragù). E quando Martino ha cominciato a scrivere il suo manuale, mi ha usato come cavia. E io l’ho subito subissato di domande e di lamentele: non capivo la metà dei termini che citava, non capivo i francesismi e i tecnicismi e alcune spiegazioni erano troppo sbrigative per chi – come me – in cucina faceva fatica a farsi una buona pasta. Ed ecco allora che Martino ha spiegato e ha approfondito, senza dare assolutamente nulla per scontato. Il risultato è questo: un libro concreto, utile, semplice eppure condito di digressioni culturali che ti motivano a contestualizzano il gesto di cucinare. Soprattutto un libro che ti trasmette i rudimenti essenziali per non fare sciocchezze tra i fornelli. Si sa che la creatività è la capacità di organizzare in modo originale i dati del reale. Ed ecco appunto: questo libro ti trasmette questi dati di base e poi il resto possiamo “crearlo” noi. La cucina è come un guanto: deve aderire perfettamente alle misure di chi la usa: Martino ci fornisce il modello, poi il resto dobbiamo cucirlo (cucinarlo) noi stessi.

 

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