Cibo glitter, ugly, dark: Instagram può cambiare il modo in cui mangiamo?

food trend su instagram

 

 

Nel 2018 la foto con più like su Instagram è stata quella di un uovo. Ma non un uovo cotto in qualche ricetta speciale, e nemmeno appartenente a una razza particolarmente rara. Non un uovo preistorico, né creato da tecnologie portentose: un semplice, banale, insignificante uovo di gallina, su sfondo bianco, con il guscio integro e nemmeno qualche segno residuo della sua scatologica origine. Insomma, un uovo qualunque. Che però si è guadagnato 56 milioni di “mi piace” (dati aggiornati a luglio 2019). Il post era nato con l’intento di battere il record di like di un personaggio famoso, quindi possiamo ipotizzare che la partecipazione del pubblico sia stata legata alla competizione e al senso di ridicolo che ne sarebbe derivato (un uovo batte un vip), ma il suo successo è quantomeno significativo: le foto di cibo su Instagram tirano e raccolgono consensi a suon di millemila cuoricini.

Anzi, a dirla tutta, il cibo su Instagram non finisce mai: è come se il social fosse un ristorante in cui si serve colazione-pranzo-cena a tutte le ore, da mangiare rigorosamente con gli occhi (e, nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, sappiate che pizza e sushi svettano nella classifica delle foto di cibo più instagrammate). Ma questa esposizione continua a immagini di cibo, spesso imbellettato a seconda dell’estetica del momento, può avere effetti che vanno oltre la semplice fruizione? In altre parole, Instagram e i suoi chili di food possono cambiare il modo in cui mangiamo? La risposta è sì, e può non essere per forza un male.

cibo su instagram
astarot/shutterstock.com

Come Instagram cambia il modo in cui mangiamo 

Il flusso di Instagram quando si tratta di cibo è praticamente inesauribile: lo dimostrano i numerosi food blogger (e non solo) attivi quotidianamente sul social o, ancora meglio, le tonnellate di foto che vengono postate ogni giorno con hashtag inerenti al cibo e ai suoi simili. Qualche esempio? “#food” conta più di 346 milioni di foto, “#foodgram” oltre 11 milioni, mentre sono 200 milioni e passa gli scatti raggruppati sotto il segno, decisamente hot, del “#foodporn”. Considerando che, secondo le ultime stime ufficiali, sono 1 miliardo gli utenti presenti sulla piattaforma e circa la metà quelli attivi, non stupisce che qualche immagine di cibo passi anche per di lì. Chiunque lo frequenti ne è, quindi, inevitabile bersaglio. Le conseguenze di questo enorme fenomeno, che interessa in particolare Instagram ma coinvolge anche Pinterest e Facebook e che è trasversale a paesi e culture diverse, sono visibili sia nelle abitudini domestiche, che nei consumi fuori casa. Vediamo come.

Gli effetti positivi sugli “instagrammer”

La cultura delle immagini di cibo a cui siamo sottoposti ha diversi effetti collaterali, alcuni positivi e altri meno. Partiamo dalle buone notizie. Scattare foto di ciò che si mangia (in due parole, fare food photography) è un modo di posticipare l’atto della nutrizione per indugiare – cellulare alla mano, si intende – sull’immagine del cibo, concentrandosi così sull’aspetto del piatto e pregustandone il sapore. Tutto questo ha l’effetto di una cassa di risonanza per le papille (la famosa acquolina in bocca) e ne amplifica la sensazione una volta che il cibo verrà effettivamente ingerito. Questa specie di anticamera del gusto fa sì che si impieghi più tempo prima del pasto vero e proprio.

Più tempo prima, dunque, ma anche più tempo durante. Spesso impegnati nell’assaporare con attenzione ogni ingrediente, i food photographer amatoriali e non, finiscono infatti per mangiare con più lentezza, alla ricerca di una corrispondenza gustativa con ciò che poco prima avevano assimilato solo con gli occhi, con effetti positivi anche in termini di corretta masticazione e digestione. Ma non è tutto, perché chi sta dietro l’obiettivo può subire anche un altro tipo di influenza.

food instagram
Syda Productions/shutterstock.com

Secondo un recente esperimento, fotografare cibo salutare può aiutare ad apprezzarne di più il sapore, e questo non tanto – e non solo – perché se ne posticipa l’ingestione. La condizione principale affinché questo avvenga, sostengono i due studiosi Sean Coary e Morgan Poor, è che sia resa più esplicita e saliente l’affermazione di una norma sociale (e social) che sdogani questo tipo di alimentazione. In altre parole, se il beneficio che si trae dal cibo sano viene descritto per immagini e parole frequenti e significative, allora gli utenti saranno più propensi a fotografarlo e a gustarlo loro stessi. Che la riprova sociale sia un fattore chiave dell’attività di pubblicazione su Instagram lo dimostrano, d’altra parte, anche le numerose foto di cibo tutt’altro che salutare: quando postiamo un’immagine di cibo gratificante, sia esso un gelato, un piatto di pasta particolarmente ricco o un dolciume invitante, cerchiamo (e otteniamo) l’approvazione della rete. Anche in questo, in un certo senso, può essere ravvisato un effetto positivo e uno negativo: condividere il piacere del cibo, se non offline quantomeno online, può essere una forma di celebrazione di un atto edonistico sacrosanto. D’altra parte, come ogni eccesso, anche l’autocompiacimento rischia di portare fuori strada o, sarebbe meglio dire, fuori forma. Tornando al punto di partenza, quindi, immortalare cibo non necessariamente poco invitante, ma generalmente considerato più “buono” per il fisico che per il gusto, può portare comunque alla ricerca del beneplacito degli igers e quindi, a migliorare la percezione di chi lo mangia.

food instagrammer
Dasha Petrenko/shutterstock.com

L’altro lato della medaglia: ortoressia e spreco 

Questo per quanto riguarda gli aspetti favorevoli della moda della food photography destinata a Instagram. Ma, come spesso succede con le cose belle, c’è anche qualche aspetto negativo. Il primo riguarda un disturbo alimentare noto come ortoressia nervosa: “male” del nostro tempo, questa dispercezione porta chi ne soffre a essere ossessionato dalla dieta, in una specie di dipendenza da cibo sano molto poco salutare. Il consumo passivo di immagini di cibo generato da profili spesso famosi ma non necessariamente autorevoli, può alimentare questa tendenza o, peggio, portare a comportamenti autodistruttivi come la privazione di cibo o la perdita di peso. Anche di questo Instagram è tristemente pieno, basta guardare ai contenuti raccolti sotto l’hashtag #cleanfood. È sempre necessario tenere a mente, infatti, che non tutti i cosiddetti influencer sono dei nutrizionisti, e quello che professano come l’alimentazione migliore per loro, potrebbe non essere adatta a stili di vita e apparati digerenti diversi. Purtroppo il culto di queste figure non sempre rende chiaro il confine tra un rapporto di fiducia, per quanto virtuale, e la fede acritica e incondizionata in ciò che si vede.

Nota dolente numero due: lo spreco alimentare. Mangiare con gli occhi non significa necessariamente farlo anche con la bocca e questo, alla lunga, può essere un problema. La moda dello scatto perfetto spesso si traduce in pietanze fredde, ingredienti assemblati più per estetica che per gusto e setting studiati per essere belli più che buoni. Il risultato? Spesso quei piatti così invitanti finiscono nella spazzatura senza che nessuno li abbia davvero assaggiati, a dispetto di allettanti briciole e morsi riprodotti ad hoc. Il consumo diventa quindi solo un atto visivo che l’instagram-mania finisce per giustificare se non persino incentivare, rendendo la questione del cibo del tutto superficiale e accessoria. Se i social non modificano il modo in cui mangiamo, di certo possono cambiare quello in cui non mangiamo. E ciò che non viene mangiato, si sa, tendenzialmente finisce nella spazzatura: è a questo livello della filiera, infatti, che si verifica lo spreco maggiore di cibo, bello o brutto che sia.

ugly food
William McDill/shutterstock.com

Le conseguenze per la ristorazione

Di fronte a questa imponente cascata di immagini di cibo non tutti i ristoratori sono rimasti a braccia conserte. Se la maggior parte di loro ha preferito ignorare la cosa, alcuni si sono invece schierati decisamente a favore dei meccanismi imposti da Instagram. Solo poco più di un anno fa, la BBC documentava la decisione di alcuni gestori di assecondare la condivisione sui social modificando totalmente l’arredamento del loro locale o gli ingredienti delle loro ricette, solo per renderli più “instagrammabili”. Nel 2017, in occasione del menù natalizio, il pub Fox under the Hill ha iniziato a offrire ai suoi commensali una speciale salsa glitter che rendeva le pietanze estremamente glamour, perfette per la moda del cibo scintillante in voga online fino a qualche mese fa. “Nel 2016 abbiamo rimpiazzato ogni tavolo della compagnia con del marmo bianco, solo perché viene bene su Instagram” ha dichiarato invece il direttore creativo della catena di bar-caffè inglese Grind. Che dire poi del ristorante Dirty Bones che solo un anno dopo ha introdotto nella sua sede di Soho, nel cuore della Londra più alternativa, il “Foodie Instagram Pack”: un kit fornito su richiesta ai clienti e studiato apposta per eseguire scatti perfetti, perché provvisto di luce LED, lenti grandangolo e un bastone da selfie?

Certo, c’è anche chi decide di resistere opponendosi strenuamente a questa nuova tendenza di click compulsivi: Darren Yates, proprietario del ristorante giapponese Auradaz nella cittadina termale di Leamington Spa, ha vietato ai suoi ospiti di usare il cellulare nel suo locale perché lo considera maleducato e contrario alla logica di una cena fuori, che dovrebbe essere basata sulle chiacchiere e sul piacere del cibo, non sulle sue foto. Possono sembrare tutti esempi lontani da noi, ma quando si tratta di social – si sa – le distanze fisiche non sempre contano e i casi sopra citati rimangono un indicatore importante di quanto l’influenza generata da Instagram e dai suoi simili possa condizionare le nostre abitudini alimentari e pre-alimentari.

glitter food
Evgeniya Porechenskaya/shutterstock.com

Cibo su Instagram: dopo i glitter è tempo di ugly food

Se ogni periodo ha il cibo che si merita, sappiate che questa è l’epoca dell’ugly food e della dark cuisine. Tramontato il perfezionismo estremo del #foodporn, che richiedeva prestazioni da mestoli superdotati, con ancora visibili gli ultimi bagliori del #glitterfood – quello con la brillantina edibile multicolor che ricorda tanto gli anni ‘80 – il nuovo orizzonte delle foto di cibo è segnato dalla cucina “dark” e brutta. Ugly food etichetta oltre 20 mila immagini di piatti o materie prime non particolarmente invitanti o fuori dai canoni estetici convenzionali, tutti alimenti che normalmente sarebbero scartati perché brutti. Un espediente utilizzato anche da associazioni sensibili al tema dello spreco a tavola, per riabilitare e celebrare un modo di mangiare “terra terra”, naturale nel vero senso della parola. Viva il realismo dunque, anche quando questo cozza con l’aspetto estetico a cui il fino a ieri patinatissimo Instagram ci ha abituati.

Di più: viva il disgusto, con la dark cuisine che bussa prepotentemente ai cancelletti di Instagram. Il termine deriva da un manga nipponico anni ‘90 il cui protagonista si trova a combattere contro una segreta Dark Food Society e sta a indicare non tanto ciò che è visivamente brutto, quanto più l’insolito, l’inusuale. Dark cuisine può essere affibbiato a piatti fatti in casa, a ricette stellate o a street food, l’importante è che nelle foto il cibo dark crei una specie di momentaneo dubbio sulla sua commestibilità: o perché composto da abbinamenti arditi, o per via delle condizioni igieniche non proprio standard, e così via. La reazione, quindi, è quella che conta, perché si tratta di pietanze in cui la trasgressione è tale da suscitare incertezza, come minimo: un’omelette che racchiude spicchi di kiwi, una radice medicale cinese dissolta nel brodo di noodles istantanei, e simili. Insomma, dentro alla dark cuisine potrebbero rientrare benissimo molti dei cibi più strani di tutto il mondo.

cibo strano
Jason Patrick Ross/shutterstock.com

Mangiare (solo) con gli occhi: l’appetito vien postando?

Ovviamente non mancano le interpretazioni ironiche, come quella di Chef Jacques La Merde che nel suo profilo Instagram ricrea piccoli capolavori di arte culinaria servendosi solamente di “junk food”, cibo spazzatura, come a dire che l’occhio vuole la sua parte, ma spesso questa è l’unica esistente. E, con un nome così, poteva essere altrimenti? Meno esplicito, ma altrettanto sagace, Cooking for bae, che invece dedica i suoi post ai piatti “che si sforzano”, quelli cioè che vorrebbero tanto diventare qualcosa di gradevole, ma finiscono per essere solo dei “mappazzoni”, per dirla alla Barbieri.

Cosa ci dice tutto questo? Che le mode, per fortuna, vanno e vengono anche quando si tratta di cibo su Instagram. E che, però, anche se non porteremo mai a tavola un tacchino condito da un pollo o un milkshake cosparso di luccichini, non possiamo dirci davvero immuni dalla iconolatria dei nostri giorni spesso sollecitata in ogni modo, anche fuori dai social. Abbiamo aperto con un uovo e con un uovo chiudiamo: questa volta quello blu che, dopo 5 anni di esperimenti, la catena di supermercati inglese Sainsbury’s ha presentato sui suoi scaffali per la prima volta nel 2017. Le galline che lo producono seguono un’alimentazione a base di sementi e fiori colorati, come le calendule, e il risultato è un uovo estremamente saporito e decisamente instagrammabile. Se anche le uova cambiano colore solo per il gusto di una foto, quali altri risvolti si porterà dietro la moda delle foto di cibo su Instagram?

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