Raccontiamo un progetto bolognese: Ortalon
Tutti vorremmo avere buone verdura sulle nostre tavole, di sicura origine e poco e per niente trattate.Sono già in molti ad avere mollato i carrelli del supermercato e si sono attrezzati con vanga ed rastrello per scendere in un Orto cittadino condiviso.
Dopo anni di pesticidi, di piccole e grandi allergie o intolleranze alimentari e di dibattiti su “ogm o non ogm” si sta alzando, finalmente, un po’ di polverone sulla necessità di avere orti cittadini e sulla qualità dei cibi che finiscono sulle nostre tavole. Un po’ per moda e un po’ per necessità, si è iniziato a parlare di agricoltura alternativa, ad esempio quella biologica o biodinamica. Ma cosa significano questi termini? Ci sono delle prove sulla qualità e il miglioramento dei prodotti agricoli nati con questi metodi di coltivazione?
Lo abbiamo chiesto a Simona Ventura, architetto paesaggista bolognese, che ha creato insieme ad un gruppo di persone volenterose e desiderose di cibo sano un progetto chiamato “OrTalon”.
– Com’è nato il progetto Ortalon? Qual è stata la molla che ha fatto scattare questo desiderio collettivo?
Simona Ventura: Ortalon è il nome dato all’orto del Parco della Chiusa di Casalecchio di Reno (Bo), alle porte di Bologna, più conosciuto dai bolognesi come “Parco Talon”; dedicato non solo all’agricoltura biologica e biodinamica, ma anche (e soprattutto) alla condivisione dei frutti e degli ortaggi con i cittadini che hanno aderito all’iniziativa decidendo di lavorare e curare l’orto all’insegna della collettività.
– Quante famiglie e quante persone frequentano Ortalon?
SV: Le persone che fino ad oggi hanno frequentato un corso propedeutico per accedere al programma di Ortalon sono circa 120. Il numero dei frequentatori dell’orto, invece, varia moltissimo a seconda della stagione. Di solito la maggior frequenza è registrata nei mesi primaverili ed estivi. Faccio fatica a darti dei numeri precisi, poiché la variabilità è altissima: possono esserci settimane con una frequenza di 5/6 persone al giorno, giorni con 1 persona soltanto o giorni in cui non vi è nessuno.
– Le persone vengono e lavorano volentieri? Possono raccogliere le verdure da soli?
SV: Le persone che partecipano al lavoro dell’orto hanno dei vantaggi sull’acquisto degli ortaggi. Ad esempio se vengono una volta alla settimana a lavorare hanno uno sconto del 40% sulle verdure. Se vengono più di una volta ricevono, oltre allo sconto sull’acquisto, anche una cassetta del valore di 5€. Le persone che vengono a comprare le verdure e sono disposte a raccoglierle da sole (naturalmente coloro che prendono parte alla condivisione devono essere soci dell’associazione Ortalon) hanno diritto ad uno sconto del 20%.
– Chi sono coloro che beneficiano di più di Ortalon?
SV: Ne beneficiano tutti. In primis la nostra cooperativa, semplicemente perché riesce ad avere mano d’opera più numerosa. Certamente, non tutti partecipano alle attività pratiche dell’orto: mediamente 1/3 degli interessati prima o poi “mette le mani in pasta”. Complessivamente, comunque, il sistema funziona. Ne beneficiano i cittadini-ortolani che, oltre ad avere l’opportunità di mangiare ortaggi buoni e sani che hanno seguito direttamente, hanno la possibilità di lavorare all’aperto, immersi nella natura e conoscendo altre persone. L’aspetto sociale è indubbiamente uno dei risvolti più importanti nella conduzione di un orto condiviso.
– Perché è un progetto di utilità e di educazione sociale?
SV: Come dicevo poc’anzi, l’aspetto sociale è il più importante di questa esperienza: l’orto è diventato una ‘grande piazza’ dove si incontrano persone diverse per età e per tipologia. Inoltre, l’aspetto divulgativo di tecniche virtuose in ambito agricolo ha un ruolo altrettanto importante. Gli ortolani-cittadini entrano in contatto con una tecnica, l’agricoltura biodinamica, che ha il grande ruolo di mettere in sinergia l’uomo con la natura e i suoi ritmi. Una conoscenza questa che si è totalmente persa nella nostra società.
– Spiegaci che cos’è esattamente la biodinamica. Da dove ha origine? Che prove si hanno di questa tecnica a livello produttivo e di qualità?
SV: La diffusione in Italia risale agli anni trenta soprattutto nel nord del paese, per continuità geografica con il nucleo di origine di questa disciplina, cioè fra Austria e Svizzera. La base della biodinamica è sicuramente ascrivibile ad una convinzione filosofica, ma la sua sperimentazione è veracemente pratica. Il metodo ha prima interessato la frutticultura e l’orticoltura e poi, successivamente, l’allevamento e la viticoltura. Il metodo biodinamico si concentra sulla fertilità del suolo e sulla capacità delle piante diessere sani vettori del territorio di provenienza. Il suo principale scopo è, appunto, la qualità e la sanità degli alimenti. Questo per una zucchina è evidente e non servono prove scientifiche di sorta.
– Che differenza c’è fra un pomodoro da coltivazione biologica e uno da coltivazione biodinamica?
SV: Un pomodoro biodinamico è anche biologico, dunque non è prodotto con uso di pesticidi, di parassiti, di anticrittogamici per le erbe infestanti del terreno, o di fertilizzanti chimici che incrementino la crescita del pomodoro con metodi non naturali: tutti elementi questi, che possono essere dannosi per la salute. Un pomodoro biodinamico deve essere coltivato rispettando i principi dell’agricoltura biodinamica derivanti dagli insegnamenti di Rudolf Steiner (1861-1902) e ormai consolidati in decenni di sperimentazione. In particolare, l’azienda che pratica l’agricoltura biodinamica è considerata un organismo vivente, dove la produzionevegetale si integra con l’allevamento animale che fornisce il giusto concime per le coltivazioni. La stessa tiene conto, inoltre, dei cicli astronomici e lunari nel calendario delle lavorazioni. Il terreno è trattato come un enorme laboratorio, “dinamizzato” con preparati a base di sostanze naturali e letame per incrementare la sua vitalità e le sue difese. Per milioni di anni l’uomo ha mangiato cibo biologico: è soltanto con l’avvento dell’agricoltura intensiva che la frutta ha cominciato ad essere trattata prima e dopo la raccolta, che i terreni si sono impoveriti sempre di più di humus e che i cibi presenti sulle nostre tavole hanno iniziato ad essere carenti di vitamine!
Per maggiori informazioni visitate il sito di OrTalon
di Isabella Guerrini.