Resoconto di una giornata sui Colli bolognesi per parlare di agricoltura, cucina e stili di vita sostenibili.
di Serena Canu
La giornata del 5 giugno è cominciata con il cielo nuvoloso e la minaccia di pioggia, ma ci si è avviati comunque verso l’Orto dei Giusti, armati di ombrello e k-way, pronti per celebrare la giornata internazionale del Pic nic della decrescita.
Fin dalla mattina, lo spazio sui colli è rimasto a disposizione di chi desiderava approfittare dell’occasione per fare una scampagnata in mezzo al verde. Fra tupperware, vino casalingo, panini e thermos di caffè, ci si è accomodati all’ombra degli alberi per gustare i prodotti portati da casa.
La giornata non è stata dedicata, però, solo al pic nic. Dopo il relax pomeridiano, ci si è spostati nella yurta antropologica di Syusy per dare il via a una tavola rotonda dedicata sia al mondo della produzione che a quello della cucina.
Ospiti di questo incontro sono stati Silvano Cristiani e Simona Ventura di OrTalon e di Agrisophia, che hanno spiegato ai presenti quali sono i principi di fondo del metodo di coltivazione biodinamico, Martino Ragusa, che ha raccontato in quanti e quali modi si possono nobilitare le verdure in cucina, Davide Bochicchio, che ha parlato delle città di transizione, e Gabriele Bertuzzi, agronomo e floricoltore.
L’incontro è stato intenso e gli argomenti trattati molto densi. Proviamo a ripercorrerli.
L’agricoltura biodinamica
Spesso confusa con l’agricoltura biologica, la coltivazione biodinamica nasce dal pensiero di Stainer, che aveva allargato la sua concezione di vita differente e il concetto olistico dell’universo anche ai metodi di coltivazione. E’ da qui che è partito Silvano Cristiani per spiegare la biodinamica, per aiutare anche chi non ha mai sentito parlare di questa tecnica a entrare nel giusto spirito di osservazione.
Ciò che caratterizza la biodinamica è principalmente un approccio poetico-artistico, che si differenzia dallo sguardo puramente scientifico solitamente adottato dai coltivatori. Da un punto di vista pratico, si cerca di curare la terra uscendo dalle logiche che relegano le piante al loro archetipo. In sostanza, è un percorso che si oppone a un’agricoltura snaturata, che rende le piante più deboli e più soggette ad ammalarsi.
Come si concretizza questo percorso? L’elemento fondamentale, ciò che darebbe forza ed equilibrio al terreno, è l’humus. Quasi tutti lo studiano fin dalle elementari, ma sappiamo realmente di cosa si tratta e quali sono i suoi benefici? L’humus si forma attraverso un processo di decomposizione della materia organica, che porta alla creazione di strati sovrapposti. L’esempio classico è quello del bosco, dove si può osservare questo stadio intermedio che precede la decomposizione totale. Ciò che rende l’humus speciale è la sua carica vitale: la sua natura colloidale trattiene numerosi microorganismi ed elementi nutritivi che – appunto – nutrono il terreno e aiutano la crescita delle piante.
La biodinamica, quindi, lavora per “coltivare” l’humus e facilitarne la formazione e lo fa anche attraverso l’uso di speciali preparatibiodinamici, che avrebbero il compito di vitalizzare il terreno. Sono la parte più esoterica del lavoro di Stainer e nascono sull’assunto che il pensiero può divenire energia e agire, portando degli effetti concreti. I due preparati di cui si è parlato durante l’incontro sono il 500 e il 501. Il 500 consiste in un corno con dentro letame di vacca che viene inserito nel terreno per 6, in autunno e inverno. Lo scopo è quello di attivare i processi vitali del terreno e di stimolare la produzione cellulare.
Il 501 è a base di quarzo finemente macinato e viene messo nel terreno dalla primavera all’autunno per migliorare le proprietà organolettiche, il colore e la resistenza delle malattie delle piante.
Sempre a proposito dell’humus, è stato spiegato che contribuisce a diminuire il bisogno di acqua delle piante. Sarebbe la chimica, infatti, ad aumentare il fabbisogno di acqua, perchè cerca di dare alle piante nutrimenti solubili che vengono assorbiti anche se non sempre necessari.
Non poteva mancare, naturalmente, un accenno a Podolinsky, un esperto australiano che poche settimane fa è stato a Bologna per parlare proprio di agricoltura biodinamica. Podolinsky è conosciuto per essere riuscito ad applicare il metodo staineriano anche nei grandi spazi australiani, meccanizzando il processo di dinamizzazione del terreno.
Città di transizione
Dai discorsi strettamente legati alle modalità di coltivazione, si è passati a parlare di città di transizione. In molti ne hanno sentito parlare, ma non tutti sanno di cosa si tratta. Ne ha parlato Davide Bochicchio, facilitatore transition town in Italia.
Le città di transizione nascono alcuni anni fa in Irlanda, in seguito a un progetto di studio di un docente e dei suoi studenti. Lo scopo di questo movimento è quello di creare e di stimolare interesse dal basso e dare forma a una voce che può farsi ascoltare con più facilità anche dalle istituzioni.
Incalzato da Syusy, Davide ha dato alcuni consigli per dare vita a un percorso di transizione. La domanda principale che bisogna porsi è: con tutti gli squilibri odierni, come si arriva a una situazione gestibile? Per muovere qualcosa bisogna rivedere ciò che non funziona, facilitando il cambiamento. L’orto, neanche a farlo apposta, è un primo passo per la creazione di una città di transizione. Attraverso l’orto, infatti, si stimolerebbe la resilienza, ossia la capacità di un ecosistema o di un organismo di autoripararsi dopo un danno.
Il percorso è complesso e presuppone un grande lavoro di gruppo e la volontà di cambiare il sistema che ci circonda per sostituirlo con un nuovo paradigma. Ciò che emerge con forza è il ruolo delle persone e la responsabilità di ognuno per portare avanti il processo di cambiamento, stimolando anche le amministrazioni ad ascoltare e a prendere in considerazione una nuova visione del mondo.
Davide Bochicchio ha parlato anche dell’alimentazione sostenibile e ha presentato il decalogo dell’alimentazione sostenibile che è stato realizzato nella città di transizione di Monteveglio:
1. biologico (prima la qualità)
2. alimenti integrali
3. poca carne, molti vegetali
4. olio di oliva e burro
5. alimenti riconoscibili, non trasformati, pochi ingredienti
6. cucina tu
7. consuma alimenti freschi e di stagione
8. locale, autoprodotto, senza confezione
9. bevi l’acqua del rubinetto
10. parliamone
Orto e mangiato
Dopo aver parlato di agricoltura e di alimentazione, Martino ci ha portato nel vivo del tema culinario. Dopo la coltivazione, infatti, la domanda che ci si pone è “come possiamo usare le verdure che abbiamo prodotto?”. Le possibilità sono molte e la loro varietà dipende anche dalla cultura gastronomica dei luoghi. Se in Sicilia le verdure sono un elemento portante, al nord gli ortaggi sono perlopiù un contorno, a volte neanche troppo ricercato. E’ quello che Martino ha definito lo scontro fra la civiltà dell’olio e quella del burro, dove prevalgono rispettivamente la cultura delle verdure e quella dei prodotti animali. E’ proprio per questo motivo che Martino ha fatto fare un breve ma significativo viaggio nella tradizione gastronomica siciliana, portando i bolognesi e le altre persone che hanno partecipato all’evento a scoprire specialità culinarie diverse da quelle alle quali sono state probabilmente abituate nel corso degli anni.
In Sicilia le verdure sono le regine della cucina e, spesso e volentieri, vengono usate per sostituire la carne anche in preparazioni di alto livello. Si possono trovare le cotolette di melanzane, le polpette di melanzane, la caponata, gli umidi di verdure, tutti piatti che contribuiscono a dare forma a quella che Martino chiama alta Cucina Vegetariana.
Ben diversa, invece, è la situazione nelle regioni del nord Italia: qui alla verdura viene riservato un ruolo marginale, spesso esiliandola in un misero piatto freddo a supporto della pietanza principale, naturalmente di carne.
L’orto può aiutare a migliorare il nostro rapporto con le verdure e fare da traino per arrivare a una gastronomia degna di tale nome e tendenzialmente vegetariana. L’obiettivo è quello di creare piatti presentabili e freschi, che sostituiscano le proteine animali. Dal polpettone alla genovese all’insalata nizzarda, dal pancotto allacarbonara vegetariana, le possibilità sono tante!
Naturalmente si è parlato anche del Giornale del Cibo, come punto di incontro e luogo nel quale raccogliere queste ricette, ma anche dellaCompagnia del cibo Sincero di Bologna che ha dato vita all’evento. E’ stato Patrizio a spiegare qual è lo scopo delle Compagnie comunali, che ha descritto come alla destra di Slow Food e alla sinistra del Gambero Rosso. La Compagnia del Cibo Sincero si preoccupa di come mangiamo tutti i giorni e cerca di mettere in evidenza tutte le situazioni in cui è possibile farlo a un buon prezzo, seguendo l’esempio di CIRfood che si preoccupa sia della qualità che della quantità.
Bisogna ritornare a una gastronomia sostenibile e alla promozione di ristoranti dove si fa anche cucina di ricerca, ma con prezzi onesti e senza eccessive autocelebrazioni.
La giornata si è conclusa con le danze popolari dentro la yurta a cura di Anna Filippini e del gruppoDjamamou, composto da Anna Malverisi (organetto), Stefano Musi (bouzouki e chitarra) e Paolo Giacomoni (violino e nickelharpa) e con le granite preparate da Elisabetta Filicori nel suo Lemonbar.
Hanno contribuito alla realizzazione dell’evento:
Florsilva e Vivai Ansaloni
Flò Fiori