Dai primi anni 2000 ad oggi sono aumentate notevolmente le lamentele, da parte di critici e persone comuni, per l’elevata rumorosità dei ristoranti causata dal mix, spesso sgradito, di suoni, voci e movimenti di oggetti e persone. E probabilmente anche a voi sarà capitato almeno una volta nella vita di uscire da un locale infastiditi dal frastuono dei suoi interni. Ma se, oltre a disturbare la conversazione, questo fattore condizionasse anche la percezione di ciò che stiamo mangiando? Il rapporto tra cibo e musica e gli effetti dei suoni sul gusto non sono materie nuove per chi si occupa di studiare i condizionamenti delle nostre esperienza gastronomiche. Eppure i loro risultati non sono noti a tutti: vediamo allora cosa dicono le ultime ricerche in merito.
Cibo e musica: il suono condiziona il nostro modo di mangiare?
Pare che il primo ad aver alzato un po’ troppo il volume in un ristorante sia stato lo Chef Mario Batali del Ristorante Babbo (oggi di proprietà di Joe Bastianich, l’imprenditore e chef statunitense star di Masterchef Italia) che, a metà degli anni Novanta, decise di diffondere anche in sala la musica che veniva ascoltata nelle cucine: prevalentemente successi anni Settanta a volume piuttosto elevato. Proprio la relazione tra suoni e sapori è stata, anche prima di allora, al centro di numerosi studi che hanno dimostrato come i primi possano influenzare i secondi, soprattutto per quello che riguarda l’apprezzamento di alcuni alimenti e bevande. È stato così dimostrato che, indipendentemente dal fatto che la melodia ci piaccia o meno, il nostro giudizio finale sul menù può dipendere anche dalla velocità della traccia e dalle sue tonalità, oltre che dal volume con cui viene diffusa.
Cosa dicono gli esperti
La letteratura in questo ambito è piuttosto ricca, ma quelle condotte da Charles Spence, docente di Psicologia sperimentale a Oxford, sono sicuramente tra le tesi più significative. Come abbiamo visto parlando di cibo in aereo, Spence ha dimostrato come sia le nostre narici che le nostre papille siano condizionate negativamente dal rumore di sottofondo, ma anche come la giusta melodia possa aumentare del 15% la piacevolezza percepita di un bicchiere di vino. In un recente esperimento su 116 soggetti ha evidenziato inoltre come la sensazione di cremosità e dolcezza del cioccolato possa essere incrementata o diminuita se accompagnata da note più o meno “morbide”. Sempre il cioccolato è stato al centro di un altro studio ad opera questa volta dell’Università dell’Arkansas che, nel 2014, ha somministrato questo e altri ingredienti, tra cui dei peperoni, a circa un centinaio di volontari facendogli ascoltare musica di vario genere, come hip-hop, jazz, classica e rock. Il risultato? Il jazz intensificava il gusto del cioccolato, ma non quello dei peperoni, lasciando così intendere che il cibo con valore edonistico sia più sensibile alla variazione sonora. E questo non vale solo a tavola. Come confermato da alcuni test di neuromarketing, anche quando si tratta di scelte d’acquisto al supermercato o di tempo di permanenza all’interno di un ristorante, il ritmo della melodia può modificare il nostro comportamento, accelerando o rallentando le nostre azioni.
Qual è il volume giusto?
Tornando alla questione iniziale del volume nei locali pubblici, qual è dunque il livello di sonorità consigliabile per trascorrere una piacevole serata al ristorante sotto tutti i punti di vista? Secondo uno dei maggiori critici di cibo statunitensi, Robert Sietsema, le cose stanno più o meno così:
- Sotto i 60 decibel il locale è tranquillo. Consideriamo che 50 db circa è il suono di una pioggia moderata;
- Tra i 60 e i 70 db è facile conversare, un normale dialogo si assesta sui 60 db circa;
- Tra i 71 e gli 80 db la voce si alza, è come se fossimo in presenza di un aspirapolvere rumoroso;
- Oltre gli 80 db, un vero chiasso, come quello del traffico in città.
Superare gli 80 db, come a volte accade nei posti più affollati e con la musica ad alto volume, è considerato un azzardo e, a lungo andare, potrebbe inibire l’udito di chi vi è esposto. Secondo un’indagine recente, inoltre, più il volume si alza e più aumentano le probabilità che venga ordinato cibo poco sano.
Cosa dire allora del silenzio: potrebbe essere una buona soluzione per evitare di essere disturbati – e condizionati – da rumori e suoni molesti? La risposta è sì e no. No, perché chi va a ristorante lo fa anche e proprio per quell’ingrediente in più che trova in un locale pubblico: le persone, l’atmosfera, in un certo senso anche il baccano. Stare a tavola insieme comporta, almeno nella nostra cultura, una qualche forma di socializzazione, mentre calma e quiete possono essere più facilmente ottenuti se si decide di mangiare da soli, meglio ancora se a casa. Sì, perché quando tutto il resto tace, possiamo pienamente concentrarci sul gusto e, al massimo, sui rumori di stoviglie e piatti che provengono dalla cucina, accrescendo così il piacere dell’attesa.
Deve averla pensata così anche lo chef del ristorante Eat, a nord di Brooklyn, che dal 2013 organizza le Silent dinner, un appuntamento mensile in cui né i commensali, né tantomeno il personale di sala è autorizzato a parlare. Ed è dallo stesso anno che questi eventi riempiono il locale, attirando gli amanti del cibo con la promessa di un’esperienza di gusto piena, proprio perché indisturbata. I giusti abbinamenti tra musica e cucina non sono certo cosa facile (anche perché estremamente soggettiva), ma quella dei ristoranti music free, per sempre o per pochi giorni all’anno, sembra essere una moda non proprio passeggera. Di fronte alla sempre maggiore gentrificazione alimentare e all’incremento massiccio dell’offerta fuori casa, la relazione tra cibo e musica è un fattore di primo piano per la scelta di un locale. E qualcuno ne sta facendo una questione di principio, non solo all’estero.
Locali per pensare: la nuova moda dei ristoranti music free
L’idea dei Locali per pensare è nata nel 2018 ma i suoi autori, Valerio Corvisieri e Francesca Silvestri ci hanno messo circa un anno prima di riuscire a metterla in pratica. Dopo una prima “falsa partenza” – ci racconta Valerio – sono infatti riusciti ad andare online con il loro sito: un portale che ha l’obiettivo di catalogare tutti i Locali per pensare italiani. Ma cosa sono esattamente e come si diventa Locale per pensare? Il nome è fuorviante – e può sembrare anche un po’ snob – perché si tratta di bar e ristoranti in cui il pensiero e la comunicazione sono favoriti da un ambiente privo di schermi, senza musica a tutto volume e dotato, invece, di spazi dedicati al pasto, alla riflessione e allo scambio di idee, senza interferenze. “Non è che noi siamo contro la musica” – prosegue Valerio – “lo abbiamo anche scritto sulla nostra pagina Facebook. La musica dal vivo, ad esempio, va benissimo, perché quella sì che è una manifestazione culturale.”
Ciò che non va bene, secondo questa filosofia, è l’imposizione di suoni e immagini che costringono l’avventore ad alzare la voce o a fare uno sforzo di concentrazione per evitare di essere distolto da ciò che sta mangiando o di cui sta conversando. Una condizione che, nel tempo, non è certo migliorata data la diffusione di stili estetici che non sempre hanno tenuto conto di accorgimenti importanti come gli impianti di contenimento acustico, utili a evitare che i suoni rimbalzino sulle pareti, riverberandosi così nell’ambiente invece che attutirsi, come la moda imperante dello stile industrial, con pareti di nuda pietra e oggettistica in metallo, ad esempio.
E voi, avete mai fatto caso all’effetto che la musica, o il rumore in generale, hanno su ciò che mangiate?