Si chiamano “arrosto” tutte le preparazioni cotte “a secco”, con solo grasso di cottura (olio o burro) e senza l’uso di liquidi. Va però immediatamente detto che l’assenza di liquidi non deve ritenersi categorica: una bagnatina a un arrosto già dorato, con vino, brodo o limone non gli cambia certamente l’identità. Anzi, purché si tratti di una doccetta veloce e non di un bagno, l’apporto di liquido è sovente indispensabile per conferire morbidezza a un arrosto, per aromatizzarlo e per favorire una cottura prolungata quando ce n’è bisogno. Inoltre il liquido di spennellatura (si chiama così perché si spennella o si sparge sull’arrosto) favorisce la formazione del sugo di cottura (detto anche “glassa”).
Le cose invece cambiano se la quantità di liquido è massiccia, in questo caso si parla di falsi arrosti o di arrosti morti, che sono pietanze a cottura mista: la prima metà arrosto e la seconda metà in umido.
L’arrosto si cuoce in quattro modi diversi: al forno, in tegame, sulle braci e sulla piastra.
Dunque anche le fiorentine sulle braci e la bistecca ai ferri sono da considerarsi arrosti da un punto di vista tecnico, perché obbediscono alla regola della cottura a secco. La testimonianza linguistica di questa antica verità la da un terzo d’Italia: da Napoli in giù la bistecca alla griglia si chiama “fettina arrosto” e genericamente si chiamano “arrosto” i tagli di carne per le bistecche. Quindi se siete del Nord e andate al Sud e chiedete dell’arrosto, aspettatevi delle bistecche. Per ottenere un arrosto di manzo chiedete un pezzo per roast beef, se volete un arrosto di vitello chiedete un rollé di vitello.
di Martino Ragusa