I dubbi sui residui di pesticidi nelle mele esistono da tempo, considerando che la coltivazione convenzionale di questi frutti tanto popolari, in genere, implica un uso consistente di agrofarmaci. Recentemente, inoltre, il tema ha trovato nuova attenzione grazie a due documentari sull’inquinamento e i rischi per chi vive nelle principali zone di produzione italiane. Le mele possono essere nocive? Quanto pesa sulla salute e sull’ambiente l’uso intensivo della chimica? Dopo aver approfondito il caso della presenza di pesticidi nelle banane – probabilmente la coltura più trattata con queste sostanze – stavolta sposteremo l’attenzione sulle mele, cercando di capire se i rischi per i consumatori e per gli ecosistemi sono seri e concreti, come diversi segnali portano a pensare.
Pesticidi nelle mele: uso e diffusione
La coltivazione delle mele, se condotta con metodo convenzionale, prevede un uso considerevole di agrofarmaci, anche superiore a 10 chilogrammi di prodotti per ettaro, allo scopo di proteggere i frutti e le piante dai parassiti e dalle malattie. I problemi legati all’utilizzo di questi trattamenti, come vedremo tra poco, riguardano l’intero ecosistema agricolo: le piante, gli animali, i terreni e le acque. Tuttavia, ciò che più preme ai consumatori è sapere se le mele che si trovano in commercio possono contenere sostanze nocive. A questo proposito, nell’agosto 2018 il mensile tedesco Öko-Test ha condotto delle rilevazioni su 27 campioni, di cui 5 da agricoltura biologica e 3 coltivati in Italia, acquistati in Germania nella grande distribuzione, ma provenienti da varie nazioni di tutto il mondo.
Gli esiti della prova non sono stati confortanti: solo 9 mele sono risultate prive di residui indesiderati, 5 delle quali erano quelle biologiche, mentre una delle non bio era prodotta nel nostro Paese. Solo 4 delle 22 mele da agricoltura convenzionale, pertanto, non contenevano residui, mentre una mela italiana su tre è risultata “pulita”. Oltre ad accertare la presenza di determinati pesticidi, e in alcuni casi i frutti ne contenevano diversi, il test ha offerto informazioni sulla provenienza e sul ciclo produttivo delle mele che arrivano nei supermercati, coltivate anche a migliaia di chilometri dai punti vendita e talvolta stivate per mesi nelle celle frigorifere, per poter essere commercializzate tutto l’anno. A preoccupare, inoltre, è la progressiva riduzione di varietà indotta dall’industrializzazione dell’agricoltura, una situazione di portata globale, come abbiamo visto nei nostri approfondimenti sui frutti dimenticati.
Il test di Greenpeace e la risposta di Agrofarma
Considerando le dimensioni assai limitate dei campioni e della copertura, è giusto valutare questa rilevazione come puramente indicativa e non necessariamente corrispondente alla realtà europea e italiana. Nel 2015, però, un’altra indagine condotta per conto di Greenpeace aveva già ravvisato una situazione simile sui pesticidi nelle mele. Infatti, conteneva residui indesiderati l’83% dei frutti da agricoltura convenzionale acquistati nei supermercati di undici Paesi europei, mentre nel 60% erano presenti più sostanze chimiche. Questa rilevazione, più strutturata, contava 126 campioni di mele, di cui 109 prodotte convenzionalmente e le rimanenti da agricoltura biologica. I frutti erano stati comprati in 23 catene di supermercati, e in seguito analizzati in un laboratorio indipendente. Nel complesso, le analisi hanno individuato 39 componenti chimici diversi, e solo il 17% delle mele non bio testate è risultata priva di residui.
A essere rintracciato più spesso è stato il THPI, un metabolita del fungicida captano, mentre secondo la ong ambientalista, metà dei pesticidi rilevati hanno effetti tossici noti per gli organismi acquatici, le api e altri insetti utili. Alcune di queste sostanze, infatti, sono considerate persistenti e potenzialmente bioaccumulabili: ciò vuol dire che, risalendo la catena alimentare, colpiscono un’ampia gamma di organismi viventi e danneggiano tutto l’ecosistema. Inoltre, non sono ancora del tutto noti gli effetti della presenza congiunta di più sostanze, e non si possono escludere rischi per la salute umana. Nel nostro approfondimento sulla crisi del miele, un apicoltore biologico si era espresso molto nettamente sull’impatto nefasto di queste sostanze sugli alveari e sull’ambiente in genere.
Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace, in occasione della pubblicazione dei dati, ha dichiarato che “anche se tutti i residui individuati rientrano nelle soglie stabilite dalle normative, la varietà di sostanze chimiche trovate mostra che nelle coltivazioni convenzionali è pratica comune irrorare i meleti con applicazioni multiple di pesticidi”. Tutto questo, insieme alla scarsa conoscenza dei possibili impatti dell’effetto ‘cocktail’ sull’ambiente e sulla salute, è fonte di grande preoccupazione. Perdipiù, secondo Ferrario, non è accettabile che gli agricoltori e le loro famiglie debbano sopportare il carico tossico di questo sistema di agricoltura industriale.
Rispondendo alle dichiarazioni di Greenpeace, Agrofarma, l’associazione nazionale imprese agrofarmaci, ha sostenuto che l’analisi resa nota dalla ong ambientalista non si riferisce ai controlli di autorità competenti. Viceversa, il Ministero della Salute in Italia e l’Efsa a livello europeo, negli ultimi report pubblicati, hanno confermato alti standard di sicurezza alimentare, che pongono l’Italia tra i leader mondiali su questo aspetto. I residui di fitofarmaci rilevati, quindi, rappresenterebbero quantitativi molto inferiori rispetto ai limiti di guardia, che assicurano un’ottima qualità igienico-sanitaria degli alimenti, mentre anche il superamento occasionale di una soglia legale non comporterebbe automaticamente un pericolo per la salute. Queste conclusioni, in sostanza, sono simili a quello che aveva dichiarato la tossicologa Patrizia Hrelia nella nostra intervista sul glifosato.
Rifiuti e veleni: il problema del vuoto normativo
Queste rassicurazioni, tuttavia, non hanno fermato la diffidenza sul tema dei pesticidi nelle mele, tornato recentemente alla ribalta grazie a un documentario sulla situazione nelle aree del Trentino Alto Adige note per la produzione di questi frutti. Veleni in paradiso, infatti, ha fatto luce sul traffico di rifiuti pericolosi e sui trattamenti chimici nella coltivazione intensiva in questa regione, con le gravi ripercussioni sull’ambiente e sulla salute che l’assimilazione di queste sostanze comporta. L’attenzione, soprattutto, andrebbe rivolta sui vuoti normativi e sulle contraddizioni del sistema, perché i controlli legali rilevano solo i livelli delle singole sostanze, ma nei meleti i frutti vengono sottoposte a più di trenta trattamenti con agrofarmaci diversi. Il documentario, inoltre, tratta l’aspetto ancora poco conosciuto delle conseguenze sulla salute umana dovute ai mix di diversi componenti.
Il lavoro di Andrea Tomasi e Jacopo Valenti nel 2018 è proseguito con Pesticidi, siamo alla frutta, un’altra inchiesta sul tema, che descrive l’uso di questi trattamenti in Italia e racconta l’esito delle analisi delle urine e del sangue di un gruppo di abitanti della Val di Non, l’area produttiva più nota per le mele nel nostro Paese. I test hanno dimostrato la presenza di fitofarmaci in un campione di donne in gravidanza, aspetto particolarmente grave data la nocività di queste sostanze per il feto in via di sviluppo. Persino nel corpo degli orsi e nella cera delle api si possono rinvenire pesticidi, a testimoniare un grado di diffusione ambientale davvero capillare.
Pesticidi nelle mele: si rischia davvero?
Ad allarmare ulteriormente sui danni dovuti all’uso di pesticidi nelle mele sono state le recenti dichiarazioni di Roberto Valcanover, presidente dell’Ail in Trentino Alto Adige, in merito alla maggiore incidenza di leucemie nella Val di Non e nella Rotaliana. “Sono dati certi del reparto di ematologia dell’ospedale di Bolzano, sui trentini che sono stati trapiantati a Bolzano”, ha dichiarato Valcanover negli studi di Radio Tele Trentino Regionale. Le valli delle mele, quindi, sarebbero proprio le più colpite, dato che suggerisce un nesso inquietante con la coltivazione, anche se questa ipotesi non è ancora avallata da dimostrazioni scientifiche inequivocabili.
Le ricerche e le conferme su questi aspetti, tuttavia, non mancano (vedi fonti), e non è sbagliato affermare che un’esposizione ambientale intensa può indurre e favorire reazioni pericolose – mutazioni del DNA, cancro e danni al feto – specialmente nei soggetti predisposti o durante periodi particolari, come le gravidanze o le fasi iniziali della formazione di tumori. Per fare chiarezza, è importante precisare che i casi studiati si riferiscono all’assorbimento di sostanze da ambienti fortemente contaminati, e non al consumo alimentare dei frutti comunemente in commercio.
Anche se sui frutti le concentrazioni dei prodotti chimici autorizzati concesse per legge non sono considerate pericolose, come ha confermato l’Efsa nel suo ultimo rapporto del 2017, sono comunque utili alcuni consigli per diminuire la presenza di queste sostanze nei prodotti.
Come evitare il contatto alimentare?
Per ridurre la concentrazione di pesticidi nelle mele e in tutti i vegetali si può adottare un metodo semplice, economico e piuttosto efficace, come attesta anche una ricerca pubblicata sul Journal of Agricultural and Food Chemistry. Immergere i prodotti in acqua e bicarbonato di sodio (soluzione all’1%) per 15 minuti, infatti, eliminerebbe gran parte dei residui, risultando il procedimento migliore da praticare a casa, che però non può togliere le sostanze penetrate nella buccia. Sbucciare le mele, quindi, è il modo per stare più sicuri, anche se ci si priva del buon apporto di fibre presenti in questa parte dei frutti. Alcuni produttori eseguono un lavaggio prima della commercializzazione, ma, come i test hanno mostrato, è meglio non fare troppo affidamento su questo eventuale passaggio.
I nostri acquisti possono fare la differenza
Al netto di queste indicazioni, tuttavia, evidentemente l’alternativa migliore sarebbe quella di preferire frutti senza residui di sostanze nocive. In questo senso, l’agricoltura biologica e, più in generale, i produttori di fiducia e che si affidano primariamente alla lotta integrata possono essere una garanzia in più contro la contaminazione.
Il mercato e la produzione, peraltro, possono essere riorientati verso metodi agricoli rispettosi dell’ambiente grazie alle scelte dei consumatori, a patto che questi siano disponibili a pagare prezzi superiori per alimenti più sani e sostenibili. Come abbiamo visto, il problema dei pesticidi è innanzitutto una questione di inquinamento ambientale, che interessa in primis chi vive nei pressi delle coltivazioni, ma, a lungo termine, finisce per ricadere su tutte le forme di vita, compresa quella umana.
Conoscevate le implicazioni e i rischi dovuti all’uso di pesticidi nelle mele?
Fonti:
Autorità europea per la sicurezza alimentare – Efsa
Öko-Test
Greenpeace
Veleni in paradiso
Pesticidi, siamo alla frutta
Trento Today
Journal of Agricultural and Food Chemistry
Molecolar Nutrition and Food Research
Mutagenesis
Cancer Epidemiology
PubMed