Recentemente il nostro articolo su Adriano Panzironi e la dieta Life 120 ha stimolato un acceso dibattito, con molti lettori che hanno difeso questo regime alimentare, esaltandone gli effetti positivi riscontrati personalmente. Lo “stile di vita” proposto dal giornalista, del resto, era già stato aspramente criticato da più parti, e recentemente l’Ordine dei medici del Lazio ha denunciato l’autore per esercizio abusivo della professione.
Ma cosa sappiamo esattamente della dieta Life 120 e delle teorie professate da questo giornalista? Per capire le ragioni di chi apprezza questo programma alimentare, abbiamo deciso di tornare sull’argomento, interpellando il professor Enzo Spisni, fisiologo della nutrizione dell’Università di Bologna, che ha espresso considerazioni interessanti e non scontate.
La dieta Life 120 è sbagliata, ma…
Prima di prenderne in esame i punti salienti, il professor Spisni ci tiene a precisare che la Life 120 non è una paleodieta, essendo ricca di carne e povera di carboidrati. Tutti gli studi finora realizzati sulle popolazioni di raccoglitori-cacciatori ancora esistenti – che vivono in condizioni molto simili a quelle precedenti all’avvento dell’agricoltura – evidenziano il consumo di quantità molto elevate di vegetali e di tuberi contenenti amidi, ovvero carboidrati complessi. La carne costituisce una parte marginale dell’alimentazione preistorica, e l’essere umano non si è evoluto mangiando soprattutto cibi di origine animale. Alla luce di queste evidenze, perciò, è sbagliato associare la dieta Life 120 alla nutrizione primitiva, che per di più non poteva certo contare sui moderni integratori, che il programma di Panzironi propone.
Enzo Spisni afferma che l’elevata presenza di carne, peraltro, è il principale motivo che porta a ritenere la dieta Life 120 sconsigliabile. Gli alimenti di origine animale sono tre i più inquinati, mentre le carni rosse e processate sono state inserite fra i cibi potenzialmente cancerogeni. Col passare degli anni, quindi, la dieta di Panzironi potrà evitare alcuni problemi e causarne altri, perché mangiare troppa carne fa sempre male nel tempo, oltre a essere insostenibile ecologicamente. “Ritengo la Life 120 una dieta non salutare, anche se non voglio sminuire gli effetti positivi che alcune persone possono aver constatato abbandonando il loro regime alimentare precedente”, precisa Spisni. Ad ogni modo, l’intervistato sostiene che il programma di Panzironi nel lungo periodo non potrà prevenire le malattie croniche degenerative, favorite dall’avanzare dell’età. Peraltro, sappiamo che dalla celiachia e da patologie come la sindrome di Alzheimer non si può guarire, come invece sostengono i testimonial di Panzironi.
Riguardo all’uso degli integratori nella Life 120, il professore sostiene che queste preparazioni rivestono soprattutto una funzione commerciale, non indispensabile ai fini della nutrizione. Tuttavia, dalle numerose analisi sulle abitudini alimentari dei pazienti condotte dall’intervistato, emergono spesso carenze di vitamine o di altri micronutrienti, sempre a causa delle abitudini sbagliate a tavola. “In linea generale, una dieta equilibrata e un fabbisogno normale non necessitano di integratori, ma è anche vero che le persone spesso non mangiano correttamente”. In questo senso, gli integratori possono avere un significato, perché le persone tendono a consumare sempre gli stessi cibi e alcune carenze si possono recuperare con questi prodotti. L’integrazione, però, dev’essere una fase momentanea, nella quale si sopperisce a determinate mancanze, che nel medio-lungo periodo si bilanciano con un cambiamento della dieta. Tuttavia, è chiaro che chi produce integratori ha tutto l’interesse ad avere clienti assidui e fidelizzati.
La dieta mediterranea e l’equivoco sulla sua definizione
Enzo Spisni si sofferma su una precisazione importante, per chiarire una questione relativa all’uso scorretto della definizione di dieta mediterranea. Questo stile alimentare, storicamente celebrato per la sua salubrità, nel programma di Panzironi viene criticato e sconsigliato, a causa dell’apporto elevato di carboidrati. La vera dieta mediterranea, però, pur essendo costituita per il 50-55% da questi nutrienti, non prevede affatto farine raffinate, ricche di glutine ad alta forza e ad alto indice glicemico, che in un passato recente non esistevano nemmeno.
Oggi, erroneamente, con questa definizione si intende un’alimentazione basata su pane, pasta e pizza, realizzati con semole, farine 0 e 00, alle quali, come abbiamo visto, si possono trovare ottime alternative. Sono molte in Italia le persone che si nutrono soprattutto in questo modo, ma bisogna tener presente le differenze sostanziali con l’antica alimentazione seguita nel bacino del Mare nostrum, studiata da Ancel Keys negli anni Cinquanta e Sessanta, e giustamente valorizzata per la sua valenza salutistica ed ecologica. In sostanza, la piramide mediterranea non è sbagliata, ma spesso la sua interpretazione e la relativa applicazione sono errate.
Spisni parla di un caso significativo che chiarisce il quadro. Un recente studio sull’aderenza alla dieta mediterranea nelle varie nazioni del mondo, infatti, ha evidenziato che in Italia questo stile alimentare è seguito quanto negli Stati Uniti e meno che in India. Nel nostro Paese, pertanto, la vera dieta mediterranea è poco praticata e ci si nutre in gran parte di prodotti a base di carboidrati raffinati. Nel libro La dieta della tiroide dell’endocrinologa Serena Missori, pubblicato nel 2018, si afferma che le farine 0 e 00 dei grani moderni e i latticini, il latte in particolare, favoriscono l’infiammazione e sono fra le cause scatenanti delle malattie autoimmuni, come la tiroidite di Hashimoto.
Perché la dieta Life 120 funziona?
Anche se la dieta Life 120 è sconsigliabile, l’intervistato sottolinea l’importanza di comprendere il favore riscosso in molte persone che la seguono, un aspetto indispensabile, perché limitarsi a demonizzarla sarebbe superficiale e poco utile per chi desidera saperne di più. “È molto plausibile che ci siano persone alle quali la Life 120 ha giovato” afferma Spisni, perché prima, con tutta probabilità mangiavano ancora peggio, e passare da quello che facevano alla dieta di Panzironi è stato comunque un progresso. Chi ha commentato il nostro precedente articolo dichiarando con convinzione dei benefici, quindi, esprime senz’altro una parte di verità.
Il professore monitora abitualmente i diari alimentari di molti pazienti e studenti, verificando le abitudini delle persone nell’arco di dieci giorni, e in questa frequente osservazione ha potuto constatare che mediamente in Italia si mangia male. L’uso di carboidrati raffinati, di farine 0 o 00 e di latticini, è spesso spropositato. Il problema, quindi, esiste ed è grave. In base ai dati a disposizione, sappiamo che mangiando come oggi fanno in tanti in Italia è probabile andare incontro a problemi di salute rilevanti. Nel nostro Paese l’aspettativa media di vita è aumentata, raggiungendo una soglia di circa 85 anni, ma il periodo effettivo in salute non ha seguito questa crescita positiva, fermandosi a 56 anni. Ciò significa che i quasi trent’anni successivi sono vissuti nella condizione di malati cronici, o comunque accusando complicazioni da non sottovalutare, puntualizza l’intervistato.
Pertanto, l’eliminazione o la drastica riduzione dei cibi contenenti carboidrati, sostenuta da Panzironi, si può comprensibilmente tradurre in un miglioramento delle condizioni generali per tanti pazienti. D’altra parte, come precisa Spisni, stravolgere un’alimentazione fortemente sbilanciata porta quasi sistematicamente dei risultati positivi a breve termine, indipendentemente dal fatto che si stia proponendo un programma equilibrato o un piano complessivamente scorretto come la Life 120: le pessime abitudini seguite precedentemente saranno comunque abbandonate. Ma è proprio su questa evidenza che tanti presunti esperti si inseriscono, soprattutto sul piano mediatico, spesso proponendo diete sbilanciate, dettate più dal marketing che dal reale perseguimento della salute.
Cibo, salute e prevenzione
Al di là delle storture della Life 120, i pazienti dei nutrizionisti restano spesso sorpresi dall’efficacia insperata e sottostimata dei piani alimentari ben impostati. Il professor Spisni, che nella sua veste di docente universitario forma questi professionisti, conferma questo aspetto significativo. “L’alimentazione è stata sottostimata per anni, quando in genere si prescrivevano farmaci senza badare troppo alla dieta, che invece è un punto centrale della prevenzione delle patologie. Non conosco nessuna malattia che non sia migliorabile, se non totalmente prevenibile, grazie all’alimentazione”. Nel nostro approfondimento sull’immunonutrizione si partiva da questo interessante presupposto.
Il professore cita un progetto di convergenza fra nutrizione e oculistica, che ha evidenziato le potenzialità di un’alimentazione mirata nel contrasto alle degenerazioni della retina su base genetica, che possono portare alla cecità. Pur non guarendo, trattandosi di malattie genetiche, si ha comunque l’opportunità di ritardare notevolmente i sintomi più gravi, su tutti la perdita della vista.
Spisni ricorda che non ci sono cibi di per sé dannosi o miracolosi, ma è importante seguire un’alimentazione equilibrata, su base vegetale con prodotti poco industrializzati, perché “i processi industriali disperdono gran parte delle peculiarità protettive delle materie prime, aggiungendo invece caratteristiche pro-infiammatorie”. La linea da seguire, quindi, predilige sempre gli alimenti grezzi, come il riso integrale e le farine integrali, riducendo al minimo o evitando gli alimenti molto industrializzati e raffinati.
La scelta migliore, perciò, non è la Life 120, e nemmeno l’alimentazione ancor più scorretta che alcune persone seguivano prima di intraprenderla, bensì una dieta bilanciata, che dà grandi vantaggi sul breve e sul lungo periodo.
Riguardo alle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, ci sono degli studi che dimostrano incidenze drasticamente ridotte sulla loro comparsa – addirittura fino al 90% in meno – nelle aree (definite Zone blu) dove l’alimentazione è più salubre. Secondo l’intervistato “si tratta di un dato sconvolgente, che ribadisce il valore di una dieta corretta”.
Longevità e salute nelle Zone blu
Spisni prosegue descrivendo la casistica delle cosiddette Blue zone, le aree geografico-demografiche del mondo nelle quali si vive più a lungo e in salute. Tra questi santuari della longevità, si possono citare la provincia di Nuoro in Sardegna e l’isola di Okinawa in Giappone, luoghi da tempo studiati per diversi aspetti comuni, fra i quali l’alimentazione.
Chi vive nelle Zone blu, generalmente, assume quantità moderate di cibo e si nutre principalmente di prodotti grezzi e locali. Pur differenziandosi per determinate particolarità alimentari, inoltre, nessuna di queste autentiche diete della longevità prevede grandi quantità di carne, che invece favoriscono l’invecchiamento e la degenerazione fisica.
Oggi, per di più, sappiamo che la nutrizione può cambiare l’espressione genica, variando completamente le prospettive di salute o di malattie. E sotto questo aspetto, i cibi di origine animale non hanno un profilo particolarmente favorevole. Gli aminoacidi ramificati, molto presenti nella carne, sono collegati a processi di invecchiamento cellulare, pertanto una dieta fortemente carnivora tende ad accorciare la vita.
La formazione dei medici è sufficiente?
In alcune critiche al nostro precedente articolo, chi diceva che la dieta Life 120 non è sbagliata puntava il dito contro le presunte storture della medicina ufficiale in ambito alimentare. Su questo aspetto delicato, Enzo Spisni offre alcune osservazioni interessanti e non scontate.
Da un lato è vero che ogni tanto si palesano sui media figure prive di una reale formazione specifica, impegnate a proporre consigli sulla nutrizione, argomento nel quale inspiegabilmente tutti sono autorizzati a parlare, afferma l’intervistato. In questo senso, il caso della dieta Lemme è emblematico.
Anche la formazione medica, però, non è esente da responsabilità e mancanze, in quanto storicamente ha trascurato l’alimentazione. Questa impostazione – che tende a privilegiare troppo l’uso dei farmaci rispetto alla prevenzione a tavola – continua a influenzare negativamente i programmi universitari, dove lo spazio per la nutrizione è ancora insufficiente.
Il professore riporta il caso di un master universitario di secondo livello su questi temi, dove gli alunni medici potevano constatare – e fortunatamente colmare – le lacune della loro preparazione. Non di rado il medico si preoccupa dell’alimentazione solo in concomitanza con l’assunzione di determinati farmaci, per evitare reazioni nocive. I cibi, però, interagiscono sempre con la nostra fisiologia, non solo se si prendono le medicine, e bisogna essere sempre attenti a cosa si mangia. “Per esercitare al meglio la professione, è molto importante avere un quadro preciso sulle potenzialità della dieta e delle correzioni nutrizionali nella prevenzione e nel miglioramento dei quadri patologici dei pazienti, anche se solo una parte minoritaria di medici padroneggia queste conoscenze” precisa Spisni. Molte persone, perciò, finiscono per consultare medici che non hanno avuto una formazione ottimale su questo settore.
Ecco perché, sempre secondo l’intervistato, chi lamentava determinate inadempienze sollevava problemi realmente esistenti. “Ho un’ottima opinione dei medici, coi quali quotidianamente collaboro, ma tra medicina e nutrizione non ci deve essere distanza, ci sono tutte le basi scientifiche e conoscitive per unire queste discipline. Dobbiamo augurarci che in futuro i corsi universitari di medicina diano più spazio all’alimentazione”, conclude Spisni.