“Emergenti, ma sfigati”, ovvero il paradosso della nuova economia digitale

il paradosso dell'economia digitale

Giuliano Gallini

Continuo a saccheggiare vecchi numeri di pagina 99 dove trovo sempre punti di vista originali e informazioni che reggono alle mie verifiche.

Roberta Carlini ci racconta di una ricerca inglese sulle classi sociali, che analizzando sette strati di reddito disegna un’immagine realistica della società. Negli altri paesi non sarà proprio come in Inghilterra ma ci andiamo vicino. Vediamo.

L’elite è formata da circa il 6% della popolazione. Si tratta di persone che hanno un reddito medio annuo intorno alle 90.000 sterline, hanno almeno 150.000 sterline di risparmi e valori immobiliari di oltre 300.000 sterline. All’altro capo del filo il precariato, circa il 15% della popolazione, reddito medio 8.000 sterline anno e patrimonio prossimo allo zero. Ci sono poi, sempre alla base della piramide, la classe lavoratrice tradizionale, circa il 14% della popolazione con un reddito di 21.000 sterline e i nuovi lavoratori del terziario, il 19% con 13.000 sterline di reddito. La classe media, circa il restante 46%, è frastagliata in diversi segmenti: lavoratori benestanti, quadri, autonomi, professionisti.

Il paradosso dell’economia digitale: connessi, acculturati, ma poveri

Andando a cercare tra la categoria dei nuovi lavoratori del terziario abbiamo una sorpresa che è il segno forse più importante di questi tempi e che la ricerca segnala. Si tratta di giovani (nelle elite l’età media è 57 anni, nella underclass, quella più bassa, l’età media è 50 anni, per esempio) sono alla base della piramide come reddito ma sono colti, ben connessi tra di loro, hanno un alto capitale di relazioni sociali e un grande capitale culturale emergente. Ma sono abbastanza poveri, precari, sfruttati e senza diritti. Si potrebbe parlare di paradosso della nuova economia digitale: a parte pochissimi fortunati, chi la padroneggia non ne gode i vantaggi.

Qualcuno si ritrova in questa descrizione?

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