124 milioni di persone nel mondo non hanno la possibilità di mangiare a sufficienza, di accedere a cibo nutriente, di procurarselo per le proprie famiglie, di bere acqua potabile. Una porzione di popolazione doppia rispetto a quella italiana, per avere un ordine di riferimento, si trova, secondo la definizione delle organizzazioni internazionali che si occupano del tema, in una condizione di grave insicurezza alimentare e ciò è determinato da guerre, conflitti, terrorismo, disastri ambientali, cambiamento climatico.
Questo, in sintesi, il fosco quadro che emerge dal Global Report on Food Crises 2018, secondo rapporto sulle situazioni di crisi alimentare, fortemente voluto dalla Commissione Europea per fotografare quali sono le aree del mondo maggiormente colpite, quelle dove è più urgente intervenire e i paesi da tenere d’occhio per il nuovo anno.
Crisi alimentare mondiale: il punto con il Global Report on Food Crises
La parola “carestia” ci fa probabilmente pensare al passato, ad una condizione di difficoltà estrema ormai superata e reale solo nei libri di storia. Ebbene, non è così: il report, infatti, evidenzia come vi si trovino Somalia, Lago Chad, Yemen, Sud Sudan e Nigeria. Secondo la FAO, il World Food Programme e tutte le agenzie delle Nazioni Unite coinvolte nella realizzazione del report, 124 milioni persone, nel mondo, sono vittime di quella che viene chiamata “crisi alimentare”, un numero addirittura superiore all’anno precedente.
Nel 2016, infatti, erano 108 milioni le persone che si trovavano in questa condizione di deprivazione estrema. Oggi sono 16 milioni in più: si tratta di persone che vivono in 51 paesi e, secondo gli autori, è cresciuta dell’11% anche la percentuale di popolazione che ha urgente bisogno di un intervento per contrastare la fame.
Tra i fattori che hanno portato a questo peggioramento su scala globale c’è, da un lato, l’aggravarsi delle condizioni umanitarie in territori sconvolti da conflitti, formali ed informali, come il Myanmar con la crisi di Rohingya, il nord est della Nigeria dove imperversa Boko Haram, la Repubblica Democratica del Congo, vessata dai conflitti per le risorse naturali; il Sud Sudan, paese più giovane del mondo e tra i più poveri, e lo Yemen dove, dal 2015, è in corso una guerra che sta affamando la popolazione.
Contemporaneamente anche il cambiamento climatico, che ha un impatto anche sulle nostre tavole, sta modificando le condizioni di vita in ampie aree geografiche che, nelle più rosee ipotesi, sono costrette a ripensare le proprie fonti di sostentamento, mentre nei casi più gravi sono diventate completamente inospitali e inadatte alle attività agricole e d’allevamento.
Quando la guerra genera insicurezza alimentare
Il report evidenzia in maniera molto chiara il numero di persone che vivono in condizioni di insicurezza alimentare a causa della guerra. Si parla, dunque, di 17 milioni di yemeniti, 9 milioni di nigeriani, 7,7 milioni di congolesi, 7,6 milioni di afgani. Le endemiche crisi in Siria, Iraq e Palestina fanno sì, inoltre, che più di 10 milioni di persone si trovino in situazioni di estrema difficoltà, senza accesso continuativo e sicuro al cibo e senza possibilità di bere acqua potabile.
La situazione è talmente grave che, nel 2017, in due regioni del Sud Sudan è stato dichiarato lo “stato di carestia”, ovvero lo scenario peggiore dal punto di vista della sicurezza alimentare, determinato da almeno il 20% delle famiglie dell’area che non può accedere al cibo e ad altre risorse basilari. In questa condizione, gli effetti della fame e il pericolo di morte sono evidenti.
Si teme, sempre secondo quanto riportato dalla FAO e dal WFP, che si arrivi ad uno stato di carestia anche nel nord est della Nigeria e in Somalia dove si sommano drammaticamente gli effetti del conflitto e quelli della siccità. Secondo le previsioni dell’Humanitarian Needs Overview dell’ONU, tra il settembre 2017 e il settembre 2018 saranno 1,2 milioni i bambini che soffriranno di malnutrizione acuta, tra i quali saranno 87,250 quelli probabilmente in condizioni gravissime.
Per quanto riguarda lo Yemen, invece, il fatto che ben 10 milioni di persone siano attualmente costrette a vivere in situazioni precarie lontani dalle loro case, mette a repentaglio le loro possibilità di accedere al cibo. Secondo i dati raccolti dalle organizzazioni internazionali, ben il 60% della popolazione vive così, profondamente in bilico: la chiusura di porti e aeroporti, infatti, fa sì che sia particolarmente complicata l’azione umanitaria che, dunque, fatica a consegnare ciò di cui c’è bisogno alle persone in difficoltà.
Nel complesso, i conflitti sono considerati il principale fattore delle crisi alimentari in 18 dei 51 paesi colpiti: 11 di questi si trovano in Africa, 4 in Medio Oriente, 2 in Asia, 1 soltanto in Europa, ovvero l’Ucraina. È importante riflettere su come i conflitti condizionino le vite di chi ne subisce le conseguenze: il riferimento, infatti, non è soltanto all’effettiva minaccia legata agli scontri armati o ai bombardamenti, perché una guerra in corso comporta un aumento dei prezzi, la crescita del mercato nero e il blocco delle forniture. Tutti elementi che mettono seriamente a repentaglio la vita delle persone, in alcuni casi in maniera altrettanto grave ed invasiva rispetto alle bombe.
Siccità che consuma i cibi
Secondo un recente studio della Banca Mondiale, entro il 2050 saranno 140 milioni le persone che si troveranno costrette a lasciare le proprie case a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. Le ragioni profonde di questi spostamenti sono infatti da ricercarsi in siccità e disastri ambientali che vanno a minare l’accesso al cibo e all’acqua.
Il Global Food Crisis report denuncia che ben 39 milioni di persone sono state colpite dalla crisi alimentare nel 2017 a causa di siccità, cicloni, uragani e alluvioni: 15 paesi si trovano in Africa, 5 in America Latina e nei Caraibi, 3 nel Sud-est asiatico. L’impatto è particolarmente grave sull’agricoltura: le calamità naturali non solo riducono drammaticamente il raccolto dell’anno in cui esse avvengono, ma condizionano anche la produzione delle stagioni successive. Sono milioni le persone che già oggi subiscono queste situazioni: 8,5 milioni in Etiopia, 5,1 milioni in Malawi, 4,1 milioni nello Zimbabwe, 3,4 milioni in Kenya per fare solo alcuni esempi.
Quali prospettive per il 2018?
Guerre, conflitti e disastri ambientali mettono, dunque, in serio pericolo la sopravvivenza delle persone che vivono nelle aree più colpite, ma il report evidenzia con forza come questi elementi non dipendano esclusivamente da fattori esterni. Al contrario, esistono delle responsabilità umane molto precise e per queste ragioni l’appello della FAO e del World Food Programme è all’azione concreta per risolvere queste “crisi alimentari” e ridurre le situazioni di “insicurezza”, in altre parole si chiede a stati e governi del mondo di agire contro la fame.
Il tutto con un occhio di riguardo a quelli che, se non si agisce in tempo e con risorse adeguate, saranno i paesi più colpiti nell’anno a venire. In primo luogo, si evidenzia che la crisi alimentare più grave sarà quella dello Yemen a causa delle restrizioni dell’accesso concreto al cibo, della crisi economica e dal diffondersi di malattie ed epidemie.
Molto drammatica si prospetta anche la situazione in Sud Sudan: ci si aspetta che, nel mese di luglio, almeno 155.000 persone vedranno peggiorare pericolosamente la propria condizione di vita e avranno serie difficoltà a procurarsi ciò di cui c’è bisogno per sopravvivere. Saranno invece 13.000 le persone colpite dalla fame in Nigeria entro il mese di agosto.
Anche le stime sull’andamento climatico ci forniscono alcuni strumenti per immaginare dove sarà necessario intervenire: si prevede, infatti, che pioverà meno della media tra i mesi di marzo e maggio in tutto il Corno d’Africa. Mentre le conseguenze della siccità dello scorso anno complicheranno la situazione in molti paesi dell’Africa occidentale e del Sahel come Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger e Senegal.
Sotto i riflettori potrebbero finire anche Venezuela e Corea del Nord, due paesi che stanno affrontando delle gravi e profonde crisi politiche, lontano dall’attenzione dei media internazionali. Mentre, infine, gli osservatori sono preoccupati anche per gli effetti dei gravi uragani che hanno colpito le isole caraibiche nell’autunno dello scorso anno: in particolare, ad Haiti la somma della siccità e dei disastri ambientali ha fortemente ridotto la capacità di resilienza della popolazione locale. Più di un milione di persone continuerà a soffrire per la mancanza di cibo e nutrienti.
Nel complesso, saranno i conflitti a peggiorare la situazione in Medio Oriente, la mancanza di sicurezza e le migrazioni interne nel Sud Est Asiatico, l’endemicità delle guerre in Africa meridionale e orientale, la siccità in quella occidentale e nel Sahel, i disastri ambientali in America Latina e nei Caraibi. Le organizzazioni che hanno curato il Global Report on Food Crises concludono appellandosi non solo alle istituzioni che possono, intervenendo in maniera tempestiva, evitare l’esacerbarsi delle crisi, ma anche alle realtà della società civile che possono dare il loro contributo.
Conoscevate i numeri delle crisi alimentari nel mondo?