Negli ultimi mesi si è discusso molto a proposito del glifosato, l’erbicida più diffuso in agricoltura, sul quale pesano dubbi di cancerogenicità. La comunità scientifica, peraltro, non si è espressa in modo univoco sull’impiego di questa sostanza, che comunque recentemente ha ottenuto una proroga quinquennale nell’Unione europea. Abbiamo già trattato questo argomento, ma stavolta torneremo a occuparcene, confrontando i pareri scientifici espressi finora e le novità legate a questo caso. La professoressa Patrizia Hrelia, presidente della Società Italiana di Tossicologia, ci aiuterà a entrare meglio nel tema, esprimendo alcune considerazioni.
Glifosato: prima e dopo l’autorizzazione UE
Recentemente e dopo diversi rinvii, il Comitato d’appello dell’Unione europea ha rinnovato l’autorizzazione all’impiego del glifosato per altri cinque anni. Nonostante la contrarietà di Italia e Francia, ha prevalso l’orientamento della Germania e di altri Paesi, favorevoli al via libera a questa sostanza, i cui effetti sono dibattuti da tempo.
Arriva una commissione d’inchiesta europea
Proprio per provare a fare chiarezza su questa intricata questione, e dopo mesi di diatribe, il 6 febbraio scorso il Parlamento Ue ha approvato l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul discusso erbicida, composta da trenta eurodeputati. Nei nove mesi di tempo concessi, questo organismo dovrà esaminare le procedure comunitarie che autorizzano gli agrofarmaci, con le loro eventuali pecche e conflitti d’interesse. A completamento dei lavori, la commissione dovrà presentare un documento da approvare in seduta plenaria a Strasburgo.
Alla luce di tutto ciò, l’esistenza di questo organismo testimonia implicitamente una certa sfiducia nei confronti dell’EFSA e della stessa Commissione europea, della quale l’istituto con sede a Parma è una diretta emanazione. I dubbi su questi organismi di controllo, però, sono cresciuti anche a causa di un’altra vicenda direttamente collegata all’autorizzazione del glifosato. Ecco di cosa si tratta.
Il caso dei “Monsanto papers”
All’inizio del 2017, nell’ambito di procedimenti giudiziari negli Stati Uniti, vengono resi noti quelli che saranno battezzati Monsanto papers, documenti che hanno messo in pessima luce la condotta della nota multinazionale, ma anche e soprattutto la sua influenza sugli organismi di controllo.
Bisogno innanzitutto precisare che, negli Usa, Monsanto avrebbe ricevuto più di tremila denunce, da parte di malati o di famiglie di persone decedute a causa del linfoma non-Hodgkin, un particolare tumore del sangue, per il quale si ipotizza un legame con l’esposizione al glifosato.
Anche alla luce di ciò, in un’inchiesta pubblicata da Le Monde emergerebbe uno scenario inquietante, che presupporrebbe una frode scientifica, oltreché un palese conflitto d’interessi. In sostanza, la multinazionale avrebbe arruolato esperti e i tecnici sotto compenso, per fargli pubblicare e firmare articoli scientifici in realtà scritti da impiegati della stessa Monsanto. Una situazione analoga avrebbe coinvolto anche l’accademico statunitense Henry Miller, che su richiesta della multinazionale pubblicò sulla rivista Forbes replicando alle conclusioni IARC sulla nocività del prodotto. Dopo le rivelazioni delle inchieste – che evidenzierebbero l’esistenza di un sistema che coinvolgeva numerosi esperti di varie nazionalità – Forbes ha ritirato dal suo sito web tutti gli articoli firmati da Miller.
Grazie alle carte dei processi americani, per giunta, si sarebbe scoperto che Monsanto aveva cercato di screditare in tutti i modi gli studi che mettevano in guardia sulla nocività del glifosato. I documenti, inoltre, palesano una posizione quantomeno dubbia per l’Environmental Protection Agency (EPA), la principale autorità ambientale statunitense, accusata di aver collaborato nell’insabbiare le ricerche sulla cancerogenicità dell’agrofarmaco.
In maniera non trascurabile, il caso dei Monsanto papers ha coinvolto anche l’EFSA, accusata di aver copiato il suo rapporto sui rischi del glifosato direttamente dalla richiesta di rinnovo redatta dalla Monsanto. Rispondendo al pesante attacco, l’agenzia europea ha affermato di aver sempre adempiuto correttamente al proprio compito, sottolineando che le accuse si sono fondate su un malinteso.
Da parte sua, invece, Monsanto sostiene che i documenti pubblicati sono solo una parte dell’intero fascicolo, peraltro decontestualizzata, ribadendo l’approccio rigidamente scientifico, la trasparenza e l’integrità del proprio operato.
La multinazionale statunitense, però, ha declinato l’invito a partecipare alle audizioni relative ai papers, organizzate dalle commissioni ambiente e agricoltura l’11 ottobre scorso. L’assenza è stata poi motivata dichiarando l’inappropriatezza di quella sede per affrontare le tematiche previste, sostenendo il possibile tentativo da parte di accademici, autorità regolatorie e organizzazioni non governative di influenzare il processo scientifico e regolatorio dell’Ue. Dopo questa scelta di mancata chiarezza, per decisione di tutti i gruppi politici, i rappresentanti di Monsanto non potranno più entrare al Parlamento europeo.
Glifosato in Italia: quanto è diffuso?
Vediamo, ora, qual è la situazione nel nostro Paese, per comprendere l’impatto di questo dibattito a livello mondiale: in Italia il glifosato è impiegato su larga scala, anche se alcune Regioni ne monitorano la diffusione. Secondo le analisi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), nel 2014 questo erbicida è stato rinvenuto nel 39,7% dei 302 punti di monitoraggio delle acque superficiali in cui è stato cercato, mentre in 76 casi (25,2%) si è rivelato responsabile del superamento dei livelli di qualità ambientali. Nelle acque sotterranee, invece, è stato rinvenuto nel 4,3% dei 185 punti controllati, in due casi (1,1%) con valori al di sopra dei limiti di legge.
Da segnalare anche la contaminazione dovuta all’acido aminometilfosfonico (AMPA), una sostanza che si genera con la degradazione del glifosato, presente nel 70,9% dei 289 punti di monitoraggio delle acque superficiali, in quantità al di sopra ai limiti in 151 casi (52,2%). Nelle acque sotterranee, invece, è stato rilevato nel 4% dei 177 punti di monitoraggio, di cui 4 casi (2,3%) con valori superiori ai limiti legali.
A partire dal 2016, in Italia è stato istituito un divieto, che riguarda le fasi prima del raccolto e della trebbiatura, oltre alle aree nei pressi di parchi pubblici e campi sportivi. Inoltre, si proibisce l’utilizzo e il commercio di prodotti contenenti glifosato con ammina di sego polietossilata, una combinazione particolarmente nociva.
Favorevoli e contrari
Come si ricordava precedentemente, il voto per il rinnovo dell’autorizzazione europea non è stato unanime. Analogamente, diverse istituzioni e realtà associative si sono espresse in modo differenziato su questa decisione. Alla contrarietà di principio espressa da Greenpeace – che sottolinea il ruolo delle multinazionali agrochimiche a scapito dell’ambiente e della salute – si aggiunge il parere scientifico dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) facente capo all’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Quest’ultimo istituto ha inserito la sostanza fra i “probabili cancerogeni”, invitando alla prudenza nell’uso e sottolineando la necessità di effettuare ulteriori studi sulla sua nocività, non sufficientemente dimostrata. Il pericolo evidenziato, innanzitutto, interesserebbe gli operatori che trattano il glifosato sul lavoro. L’OMS, ad ogni modo, ritiene che “l’uso eccessivo di pesticidi è molto pericoloso per la salute umana e per l’ambiente, ed è fuorviante affermare che i pesticidi sono vitali per garantire la sicurezza alimentare”. Seguendo i contenuti di questa affermazione, possiamo consigliare una nostra intervista al professor Gianumberto Accinelli sui vantaggi dell’agricoltura biologica.
L’autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), invece, ha affermato la sostanziale sicurezza del glifosato, negandone la genotossicità e la cancerogenicità, ma proponendo “nuovi livelli di sicurezza per rendere più severo il controllo dei residui negli alimenti”. A conclusioni simili giungeva anche l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), pur precisando che l’agrofarmaco può causare seri “danni agli occhi” ed è “tossico con effetti duraturi sulla vita in ambienti acquatici”.
Medici per l’Ambiente (ISDE) ha considerato incompleto il parere ECHA, che trascurerebbe i danni da esposizione prolungata. Inoltre, uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA) dimostrerebbe che i livelli di glifosato nell’organismo umano sono aumentati notevolmente negli ultimi vent’anni.
Un punto di vista che fa riflettere
Dalle colonne de il Foglio, il ricercatore del Cnr Roberto Defez e l’ecotossicologo Donatello Sandroni si sono espressi contro il no al glifosato, che in base agli studi risulterebbe tra i fitofarmaci meno tossici e persistenti nell’ambiente. Questo erbicida, però, sconterebbe il suo essere un prodotto dell’odiata multinazionale Monsanto, oltre a essere funzionale alla produzione di grano nordamericana, a sua volta largamente impiegata dall’industria alimentare europea e italiana.
Evidenziando le contraddizioni e i conflitti d’interesse di chi rifiuta il glifosato, i due studiosi ribadiscono l’importanza di considerare con criterio le dosi e la frequenza dell’esposizione, e non la presenza in sé, principio seguito invece dalla discussa ricerca IARC. Defez e Sandroni, pertanto, criticano la posizione del Ministero dell’Agricoltura, che ha sostenuto il principio di precauzione appoggiando il bando europeo dell’erbicida sopra citato.
Secondo questa visione, eliminare il glifosato significherebbe danneggiare l’agroalimentare italiano, nel solco della tendenza protezionistica e antiscientifica ora in voga, che si sarebbe già palesata nel caso mediatico dell’olio di palma.
Al netto delle diverse opinioni, va ricordato che nel nostro Paese le importazioni di cereali sono controllate, così come le norme sui quantitativi di pesticidi e diserbanti utilizzati, che sono severe, peraltro ben di più rispetto al passato. Allo stesso modo, sulle produzioni industriali made in Italy derivate dal grano bisogna precisare che le materie prime d’importazione non sono una sgradita novità di questi ultimi anni, ma vengono utilizzate almeno dagli anni Cinquanta del secolo scorso. In merito a questo aspetto, comunque, la recente normativa sulla provenienza del grano per la pasta offre un’informazione più completa e corretta per i consumatori, nell’ottica della tracciabilità.
Il parere della tossicologa Patrizia Hrelia
Per avere un quadro più chiaro sulla vicenda del glifosato, abbiamo coinvolto la professoressa Patrizia Hrelia, presidente della Società Italiana di Tossicologia e docente dell’Università di Bologna.
Secondo l’intervistata, la conflittualità tra i diversi responsi delle ricerche sopra citate ha contribuito a creare confusione ed eccessivo allarmismo nell’opinione pubblica, costruiti anche riferendosi al presunto conflitto d’interessi che coinvolgerebbe la Monsanto.
In questo senso, la tossicologa ricorda il caso delle carni rosse lavorate, inserite nel livello di cancerogenicità occupato dall’amianto, risultato dovuto alle modalità degli studi che vengono svolti su animali in condizioni molto spinte, per avere la massima probabilità di riscontrare l’effetto analizzato. In un nostro approfondimento ci siamo occupati dei nitriti e dei nitrati, conservanti presenti nelle carni processate e nei salumi industriali, spesso associati al tumore allo stomaco e al colon-retto.
Per riportare un altro esempio, IARC inserisce nella stessa categoria del glifosato (2A) anche le bevande ingerite molto calde, sopra i 65 gradi centigradi, che sarebbero in grado di causare micro ustioni a livello esofageo e gastrico, fattore che può provocare necrosi, favorendo così la cancerogenesi.
Questione di metodo
La valutazione di cancerogenicità IARC, pertanto, non è una classificazione di rischio, ma raggruppa le sostanze sulla base del livello di cancerogenicità dimostrato in studi scientifici, evidenziato senza entrare nel merito delle dosi che possono causare l’effetto, trascurando così un aspetto fondamentale. Come sottolinea l’intervistata, “l’effetto dipende sempre dalla quantità: una sostanza può essere cancerogena se assunta in quantitativi elevati, studiati in laboratorio, ma non alle dosi con le quali l’essere umano viene a contatto nella vita quotidiana”.
Se la valutazione EFSA si fonda sull’esposizione alla sostanza, quella di IARC, pur considerando i risultati scientifici, non tiene conto delle modalità e dell’entità di contatto.
Entrando nel merito del glifosato, la professoressa Hrelia ricorda che l’erbicida è impiegato da decenni, nonché sottoposto a precise norme riguardo al suo utilizzo e alla presenza negli alimenti. “Questi quantitativi – i livelli di norma per ogni residuo di fitofarmaco nei cibi – sono estremamente distanti da quelli che producono l’effetto cancerogeno nelle ricerche svolte”.
Negli studi di cancerogenesi è stato somministrato ai topi, quotidianamente e per due anni, l’equivalente di circa 500 grammi di prodotto per un individuo adulto di 70 chilogrammi. L’intervistata, quindi, sottolinea l’importanza di comprendere la distinzione fra il risultato sull’animale da esperimento e la reale assunzione di glifosato come residuo negli alimenti: si tratta di dosaggi veramente lontani. Ad ogni modo, dopo questi studi l’EFSA ha affermato la necessità di portare a termine ulteriori ricerche, per elaborare nuovi livelli di sicurezza e un più severo controllo dei residui di glifosato negli alimenti.
Quali sono i rischi reali?
Si è messo in dubbio che il glifosato potesse interferire negativamente con il sistema ormonale e con il DNA, ipotesi poi smentite. Oltre a questo, l’intervistata precisa che questo prodotto è impiegato dal 1974 senza evidenti effetti nocivi sull’essere umano, mentre le molecole pericolose sono state bandite già dagli anni Settanta e Ottanta, come nel caso del DDT. Nonostante le normative vigenti, sempre più rigide, il glifosato è ancora autorizzato all’uso. “Da tossicologo, quindi, mi sento sinceramente rassicurata. Non lo sto difendendo, però esiste una base scientifica confortante, come il resoconto EFSA sui residui di pesticidi nell’Unione europea”. Nel rapporto 2017, con dati del 2015, fra più di 5.000 campioni analizzati su frutta e verdura, meno dello 0,10% superava i livelli di legge sulla presenza della sostanza. Perciò, anche il residuo è davvero minimo, non a caso l’Italia è il Paese più controllato sul residuo di fitofarmaci, con dati ampiamente al di sotto dei massimi consentiti.
Il ruolo dell’agricoltura intensiva
Secondo la professoressa Hrelia, bisognerebbe ragionare con equilibrio sui vantaggi e sugli effetti indesiderati che dipendono dall’agricoltura intensiva, particolarmente diffusa in regioni come la Lombardia e l’Emilia-Romagna. L’argomento, in questo caso, si sposta sulle decisioni di politica agricola. “La chimica può essere nociva, ma ci ha aiutati a raggiungere i livelli odierni di civilizzazione e salute, con il conseguente allungamento della vita media. Spesso si tende ad avere una percezione aberrante e completamente sbagliata dei rischi” puntualizza la tossicologa.
Glifosato nelle acque e nei terreni
L’intervistata aggiunge che l’uso di questo erbicida è indubbiamente legato all’agricoltura intensiva. Da questa evidenza dipende la presenza di glifosato nei terreni e nelle acque, a causa del dilavamento e in base alle variabili geologiche. Gli aspetti appena citati, peraltro, sono favoriti dall’alta solubilità del prodotto, ma va ribadito che le linee guida sul suo utilizzo sono rigide e dettagliate.
La tossicologa sostiene che gli aumenti nei quantitativi rinvenuti, riportati con enfasi dai media, possono dipendere semplicemente da misurazioni più raffinate e scrupolose, che un tempo non si facevano. Oltre alla sensibilità su questi temi, quindi, aumentano anche i controlli e la precisione di analisi, che evidenziano livelli di presenza superiori rispetto al passato. Nella cerealicoltura e nella frutticoltura, del resto, il glifosato è particolarmente diffuso perché molto efficace, e il suo impiego massivo, evidentemente, è anche una conseguenza dei certificati di sicurezza ottenuti.
Un’informazione distorta
In chiusura, l’intervistata valuta negativamente il clamore mediatico sorto intorno all’attesa per la proroga europea del glifosato, quando sono stati diffusi messaggi sbagliati e non legati all’evidenza. “Bisogna sempre attenersi al dato scientifico, con una visione d’insieme. Vedere la malafede ovunque è sbagliato e pericoloso, possiamo fidarci dei risultati riportati dagli enti governativi”.
Dopo questo approfondimento, può essere interessante leggere il nostro editoriale sul rinnovo dell’autorizzazione per il glifosato.
Altre fonti:
AGI
ANSA
Greenpeace
Autorità europea per la sicurezza alimentare – EFSA
Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA
Agenzia europea per le sostanze chimiche – ECHA
Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – IARC
Medici per l’Ambiente – ISDE
Journal of the American Medical Association – JAMA
Le Monde
il Foglio