Oggi si celebra la V giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare. Nell’ottica di un’economia circolare, le eccedenze di cibo devono diventare risorse, non spreco, come è stato sottolineato qualche settimana fa in un incontro di Caritas Ambrosiana in occasione dell’apertura di un nuovo Emporio della Solidarietà, rivolto in particolare a famiglie con minori.
Sì, perché parlare di spreco alimentare oggi in Italia, significa inevitabilmente rapportarsi anche con la tematica della povertà alimentare che, secondo i dati Istat 2016, riguarda 4 milioni e 472mila italiani, coinvolgendo molti giovani sotto i 35 anni e il 12,5% dei minori.
Da settembre 2016 l’Italia contrasta lo spreco alimentare grazie alla legge Gadda, la 166/16 che puntando su incentivi e riduzione della burocrazia, può contribuire in maniera concreta se non a ridurre tali povertà alimentari, quantomeno a garantire che a tutte queste persone arrivi cibo a sufficienza, attraverso la donazione e la distribuzione di prodotti ai fini della solidarietà sociale.
Sappiamo, infatti, che c’è cibo per tutti, ma le contraddizioni sono tante dal momento che più di 800 milioni di persone al mondo non hanno accesso al cibo, spesso a causa di gravi conflitti, come avviene in Sud Sudan, Siria e Yemen, mentre in molte zone dell’Occidente la malnutrizione riguarda la sovrabbondanza di cibo, di cui 40 milioni di bambini obesi sono triste testimonianza.
È un problema di equilibrio, di educazione, di scorte alimentari e di spreco, per questo oggi Il Giornale del Cibo vuole dare il proprio contributo alla tematica aprendo una riflessione con l’Onorevole Maria Chiara Gadda, prima firmataria della legge 166/16.
Quali sono le nuove sfide che il nostro Paese deve affrontare sul tema della lotta allo spreco alimentare? Come fare prevenzione e in che modo coinvolgere le nuove generazioni, a partire dai luoghi dove sperimentano il cibo, ovvero le mense scolastiche?
Spreco alimentare e legge Gadda: a che punto è l’Italia?
Successi e critiche
All’inizio della nostra chiacchierata, l’On. Gadda ci racconta con soddisfazione uno degli esempi di successo di applicazione della legge: “Oggi Costa Crociere presenterà il suo progetto 4GOODFOOD per il recupero delle eccedenze da navi da crociera”. Si tratta di un esempio di recupero importante, poiché per la prima volta nel settore marittimo, Costa è riuscita a redistribuire per fini sociali il cibo preparato e non utilizzato a bordo. L’iniziativa è partita a Savona a luglio 2017 ed è stata estesa al porto di Civitavecchia, per un totale di 16.000 porzioni recuperate e ridistribuite in sei mesi. L’obiettivo del 2018 è attivare il progetto in nuovi porti nel Mediterraneo.
Tuttavia, ogni (buona) legge ha le sue critiche, per cui a poco più di un anno dall’entrata in vigore, c’è chi dice che si poteva fare di più. Numerose ricerche sostengono che il 50% dello spreco annuale di cibo avvenga tra le mura domestiche, motivo per cui alcune osservazioni mosse alla legge, ad esempio nell’intervista che abbiamo fatto a Luca Falasconi di Last Minute Market, criticano il fatto che “il problema dello spreco alimentare non si risolve unicamente donando”, ritenendo che l’aspetto della prevenzione, che dovrebbe essere centrale, sia invece trascurato. “Alcune di queste osservazioni mi stupiscono, è chiaro che la legge 166/16 è stata scritta per agevolare il recupero delle eccedenze per solidarietà sociale. Ma l’obiettivo della legge è anche quello di diffondere un messaggio culturale, e i numeri lo dimostrano più di tante teorizzazioni”, risponde Maria Chiara Gadda.
È una questione di obiettivi, dunque, secondo la deputata che sottolinea anche il fatto che
valore e solidarietà sono le due parole chiave che caratterizzano la legge 166 c.d. “antisprechi” a più di un anno dalla sua entrata in vigore. “Ridurre lo spreco attraverso il recupero delle eccedenze significa dare un nuovo valore al cibo, un valore che si misura in base agli effetti positivi che un gesto solidale come la donazione produce sulla nostra società. La donazione non è certo l’unico strumento, allo stesso tempo è importante prevenire, ottimizzando ad esempio i processi produttivi e soprattutto rendendo i comportamenti dei cittadini più consapevoli e virtuosi. La legge si inserisce a pieno titolo come esempio positivo di economia circolare, che lega le aziende agli enti del terzo settore, per realizzare insieme una impresa condivisa basata sulla solidarietà”
Perché la Legge Gadda è importante?
La 166/2016 nasce innanzitutto per definire con chiarezza il chi, come e che cosa, a partire dalla distinzione tra spreco ed eccedenze e dalla definizione di chi sono i donatori e chi i destinatari, aspetti molto rilevanti secondo l’Onorevole Gadda, che lamenta una certa confusione a riguardo, anche tra chi si occupa di comunicare dati e analisi sullo spreco alimentare: “a livello comunitario, siamo i primi ad avere definito questi aspetti”.
Eccedenze
“L’eccedenza – chiarisce la deputata democratica – è quel di più che si genera nell’intera filiera agroalimentare e che, fermo restando il mantenimento dei requisiti di igiene e sicurezza, può essere recuperato”. Si genera per diverse ragioni, come ad esempio:
- per mancanza di domanda, come nel caso di alcune specie di pescato, poco conosciute e richieste dai consumatori, che rimangono, quindi, invendute
- per dinamiche di mercato o logiche commerciali legate alla politica dei prezzi, in particolare nel settore ortofrutticolo. Si tratta, ad esempio, di alimenti o confezioni che non rispettano determinati canoni estetici o requisiti aziendali (dimensione, etichettatura) o che presentano piccoli danni nell’imballaggio, senza che la qualità venga meno, per cui non possono essere distribuiti nei circuiti di vendita
- per rimanenze di attività promozionali
- per errori nella programmazione della produzione.
Spreco alimentare
“Lo spreco alimentare, invece, è il rifiuto e come tale deve essere gestito. È ciò che rimane nel piatto e che non può più essere recuperato per il consumo umano o animale, per cui sarebbe forse più utile analizzare il fenomeno da un altro punto di vista, quello dell’eccedenza recuperata piuttosto che dello spreco”.
“La donazione di prodotti in eccedenza o non utilizzati è stata fino ad ora vissuta dalle imprese come una scelta costosa, costellata da oneri burocratici; oggi possiamo dire di esserci lasciati alle spalle quel modello, perché per la prima volta attraverso la legge 166/2016 abbiamo definito un quadro normativo chiaro ed estremamente semplificato rispetto al passato, in grado di coordinare disposizione civilistiche, fiscali, igienico-sanitarie. La buona notizia è che questa legge funziona, grazie anche al fatto che è stata scritta con il contributo di coloro che oggi si trovano ad applicarla”, sottolinea la deputata.
Questo ha dato luogo anche a collaborazioni virtuose e inaspettate, “tra enti caritativi, imprese, istituzioni e ordini professionali”.
Tuttavia recuperare non basta, come si può migliorare il sistema? “La legge è uno strumento, ma per funzionare deve trovare una rete di soggetti diversi che collaborano. Le eccedenze, si generano in tutte le filiere, dal campo, al ristorante, al mercato, alla ristorazione collettiva, fino ai catering dei grandi eventi sportivi o culturali.”
E’ fondamentale prevenire la generazione di sprechi anche in ambito produttivo e distributivo, per cui “un primo obiettivo è quello di investire nell’industria 4.0, con agevolazioni che permettano l’acquisto di macchinari più innovativi, ad esempio in sistemi gestionali che permettano di controllare le eccedenze”. Infine, non c’è dubbio che sia fondamentale continuare a promuovere l’economia circolare, di cui abbiamo parlato anche con il Prof. Segrè in riferimento al suo nuovo libro “Il gusto per le cose giuste”.
Impatto economico e risultati
Intanto, a poco più di un anno dalla sua applicazione, la legge sta ottenendo i primi risultati, con grandi punti di eccellenza in alcune regioni, come Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Lombardia e Veneto. Chiediamo quindi all’Onorevole Gadda, che sta girando l’Italia e l’estero per far conoscere la norma, com’è la situazione da noi: “l’Italia è sensibile e attenta e da sempre riconosce al cibo un grande valore. Il recupero delle eccedenze alimentari fa parte del nostro DNA da decenni, con tanti progetti virtuosi che coinvolgono centinaia di enti del terzo settore ed imprese. In un anno dall’entrata in vigore della legge 166/16 si è registrata una media nazionale pari al +21% di recupero, che significa migliaia di tonnellate di alimenti buoni sottratti al rifiuto e milioni di euro donati in solidarietà sociale. Ed è aumentata la varietà di prodotti recuperati assieme ad un numero maggiore di donatori. Poi c’è l’effetto indotto, per cui questa legge ha sicuramente avuto un ruolo culturale e influito in positivo sui comportamenti delle persone. Si parla di questi temi molto più che in passato”.
La parola d’ordine è educazione
A voler ben guardare, definendo la differenza tra eccedenza e spreco e promuovendo la diffusione di alcuni strumenti, come la family bag (o doggy bag) nei ristoranti, la legge Gadda agisce in maniera indiretta anche sul lato prevenzione, sensibilizzando e coinvolgendo anche i singoli cittadini che con le loro abitudini possono fare la differenza. “Ad esempio, se io cittadino chiedo al ristoratore di portare a casa quanto non ho consumato, significa che ho gradito: deve diventare una scelta normale per noi cittadini e un motivo di vanto per il ristoratore”, sostiene Maria Chiara Gadda, per cui tra gli obiettivi futuri c’è l’intenzione di incentivare sempre più l’uso della doggy bag. Una idea potrebbe essere quella di inserire nelle guide turistiche e gastronomiche un simbolo ad hoc per identificare i locali che ne fanno uso.
Prevenire, però, significa soprattutto giocare d’anticipo. Come si fa prevenzione rispetto allo spreco alimentare a livello normativo? “Ci sono degli aspetti della legge che possono avere un impatto positivo anche sul singolo cittadino. Pensiamo alla fondamentale differenza tra data di scadenza e termine minimo di conservazione – che corrisponde alla dicitura da consumarsi preferibilmente entro il – informazione che se si interpreta in modo errato può generare spreco, poiché si buttano via alimenti ancora consumabili”.
La data di scadenza, infatti, è un termine tassativo, solitamente presente nei prodotti freschissimi come i latticini, che se superato espone a rischi per la salute. Al contrario, “il termine minimo di conservazione non è una data di scadenza, ma una indicazione di consumo di tipo commerciale che riguarda alcune caratteristiche dell’alimento, come ad esempio la friabilità. In questo caso il cibo ben conservato può essere consumato senza rischi anche oltre il termine indicato come preferibile”, sottolinea l’intervistata.
Chiarito questo, l’importante novità introdotta dalla Legge 166/2016 è la possibilità per le imprese della grande distribuzione, i punti vendita, i piccoli esercizi commerciali e la ristorazione organizzata e collettiva, di donare i prodotti che hanno superato il termine minimo di conservazione: “oggi un punto vendita può donare i panettoni, i crackers o altri prodotti che hanno superato il tmc (termine minimo di conservazione), e questi prodotti sono assolutamente adatti per il consumo”.
Doggy bag nelle scuole, educazione alimentare e nuovi capitolati: cosa può fare la ristorazione collettiva?
All’interno di questo quadro, è interessante capire che ruolo avranno le nuove generazioni nella battaglia contro lo spreco di cibo.
In un articolo pubblicato sulla piattaforma web della legge 166/16, iononsprecoperché, Laura Mongiello – Presidente Ordine Tecnologi Alimentari di Basilicata e Calabria – ha detto che “educare nelle scuole alla corretta alimentazione è un ottimo esempio di applicazione della legge Gadda”. Certamente le mense scolastiche sono un luogo di educazione e prevenzione dello spreco, per cui stanno crescendo in tutta Italia iniziative ad hoc, tra le quali quella di Capannori, dove i bambini hanno ricevuto uno zainetto anti-spreco per recuperare il cibo che non hanno consumato a mensa.
Il parere della ristorazione collettiva
Su questo argomento si è espressa anche CIR food, impresa di ristorazione leader nel segmento della ristorazione scolastica con oltre 250 mila pasti serviti ogni giorno agli studenti italiani, dichiarando che “nelle scuole esistono sicuramente margini di miglioramento, legati prevalentemente a una sensibilizzazione e educazione al valore del cibo e al non spreco, per cui quotidianamente, ci impegniamo a promuovere questi valori, attraverso attività e iniziative specifiche, rivolte anche a insegnanti e famiglie”.
Come indicato all’interno dell’ultimo Bilancio di Sostenibilità CIR food, certificato secondo le linee guida del Global Reporting Initiative GRI 4, nel 2016 l’azienda ha recuperato 57.000 pietanze e oltre 1.000 kg di pane, anche attraverso la sottoscrizione di protocolli di intesa con Comuni, ASL ed Enti Caritatevoli per il recupero e la donazione di alimenti a favore di indigenti.
“Nei capitolati bisognerebbe contemplare la donazione”
“Il tempo mensa fa parte del piano dell’offerta formativa, dove la legge può essere una nuova chiave per fare educazione alimentare, ad esempio insegnando ai bambini che con il pane non si gioca, perché quello che rimane può essere recuperato, o promuovendo gli orti scolastici che coinvolgono direttamente i bambini e sensibilizzano a un diverso rapporto con il cibo”, evidenzia la deputata. Senza dimenticare di condividere queste iniziative con i genitori e le famiglie, raccontando i progetti di recupero delle eccedenze nelle mense e contribuendo così a diffondere una cultura del non-spreco.
Un altro aspetto rilevante in questo settore riguarda la dimensione organizzativa, per cui secondo la firmataria della legge contro lo spreco alimentare, nei capitolati per la ristorazione collettiva sarebbe opportuno contemplare la donazione dell’eccedenza: “la disponibilità del personale e la presenza di apparecchiature come ad esempio gli abbattitori, rendono più agevole in recupero del cibo non somministrato”.
Rispetto alla soluzione del piatto unico, invece, i bambini non dovrebbero poter scoprire tutti i gusti e conoscere l’importanza della diverse portate che compongono un sano pasto? “A me l’idea del piatto unico non dispiace, all’estero funziona e se comprende l’apporto nutrizionale corretto, potrebbe essere una possibilità da prendere in considerazione anche qui”, sostiene l’On. Gadda, che si dichiara, invece, contraria alla moda del panino da casa, sia per questioni igieniche, sia perché potrebbe causare discriminazioni tra chi si può permettere un pasto equilibrato e tra chi non ha questa possibilità e infine, perché “il tempo mensa è un momento di socialità e di formazione fondamentale”.
Novità e sfide future
Intanto, con l’approvazione della Legge di Bilancio entrata in vigore l’1 gennaio 2018, la 166/16 è stata estesa nei suoi campi di applicazione, ampliando il paniere dei beni donabili, che ora comprende anche:
- medicinali
- articoli di medicazione
- prodotti per la cura della persona e della casa
- prodotti di cartoleria.
“Infine – sottolinea Maria Chiara Gadda – grazie agli emendamenti approvati nella Legge di Bilancio, vengono semplificate le procedure per chi decide di donare e vengono rese più chiare ed omogenee le regole fiscali, consentendo all’impresa di dedurre tutti i costi ai fini Iva: le operazioni sono equiparate a quelle di distruzione dei beni: nessuna imposta sulle merci in uscita, mentre è riconosciuta la detrazione dell’Iva assolta a monte”.
Una maggiore sinergia con le Regioni e gli enti territoriali potrà dare ulteriore slancio alla lotta allo spreco alimentare e alle legge Gadda: “ad esempio assegnando agli enti del terzo settore spazi ed immobili pubblici inutilizzati, oppure favorendo le iniziative di alternanza scuola-lavoro per mettere al servizio delle associazioni impegnate su questo fronte le competenze dei giovani studenti, attraverso esperienze di grande valore formativo”.
Storie di lotta allo spreco alimentare
Fonte: iononsprecoperché
Infine, l’Onorevole Gadda esprime la speranza che la legge 166/2016 sia sempre più conosciuta, raccontata e applicata: “la legge è un’occasione di prevenzione, perché permette di parlare di questi temi, per cui alla fine non sprecare cibo dovrebbe diventare per tutti un’abitudine, come è successo con la raccolta differenziata dei rifiuti”.
Anche per questo è nata la piattaforma web iononsprecoperché, dove una sezione è dedicata alle storie di associazioni, imprese, Comuni e cittadini che si impegnano ogni giorno nella lotta allo spreco alimentare: “attraverso il racconto di queste esperienze vogliamo far vedere che tutto questo è possibile, basta crederci e impegnarsi”.
Tra queste esperienze virtuose troviamo ad esempio Pane Quotidiano, organizzazione laica, apolitica e senza scopo di lucro, che dal 1898 distribuisce ai bisognosi pane, latte, riso, pasta e altri alimenti confezionati, arrivando oggi a consegnare circa 900.000 borse alimentari all’anno.
Il Comune di Bergamo, invece, contribuisce alla lotta contro lo spreco alimentare puntando soprattutto su agevolazioni fiscali attraverso riduzioni del 5-6% della tariffa TARI, al massimo il 20% della parte variabile alle imprese che cedono e devolvono alimenti a enti non profit.
Insomma, le modalità per dare il proprio contributo alla nobile causa non mancano, anche perché Maria Chiara Gadda ricorda che “sul tema del recupero delle eccedenze per solidarietà sociale l’Italia è all’avanguardia rispetto a molti Paesi europei, sia dal punto di vista normativo, sia delle buone pratiche, con un terzo settore strutturato che all’estero ci invidiano. Questo deve essere motivo di orgoglio, perché siamo un modello in fatto di cibo: lo sappiamo produrre bene e non lo vogliamo sprecare”.
Se anche voi, non solo oggi, volete portare avanti azioni anti-spreco, potreste dare un’occhiata alla recente intervista a Lisa Casali che ci ha ricordato come in cucina serve solo un pizzico di organizzazione, seguendo la filosofia del “Quanto Basta”!
Se, invece, avete voglia di approfondire ancora un po’ il tema dell’accesso al cibo, vi consiglio l’articolo del World Food Programme a riguardo: secondo voi, qual è il luogo al mondo dove il cibo costa di più?