Sulle tavole natalizie, e soprattutto nel cenone di Capodanno, il cotechino è tradizionalmente protagonista. In molti lo apprezzano, anche se non tutti sanno di preciso cosa contiene e quali sono le sue origini. Qualche tempo fa ci siamo occupati di uno studio sui salumi italiani, che sembrava rassicurare rispetto al temuto collegamento fra il loro consumo e l’aumento del rischio di cancro al colon-retto. Questa volta, invece, vedremo se e quanto il cotechino fa male, approfondendo anche le differenze fra produzioni artigianali e industriali.
Cotechino: caratteristiche e origini
Il cotechino ha origini povere, nasce infatti per utilizzare nel modo migliore le carni meno pregiate del maiale, da consumare per prime in quanto meno idonee alle lunghe stagionature alle quale si sottoponevano prosciutti, salami e altre specialità. Per questo motivo, i cotechini erano particolarmente adatti per le tavole natalizie, perché la macellazione dei maiali avveniva in dicembre e la brevissima stagionatura – una semplice asciugatura – li rendeva disponibili dopo pochi giorni.
La preparazione tradizionale
L’ingrediente principale è la cotica di maiale, che tradizionalmente costituisce almeno la metà dell’impasto e a cui questo insaccato deve il nome. Le cotenne sono tritate insieme ai nervetti e ad altri tagli di risulta, come gli avanzi della testa, che in base alle diverse ricette sono conditi con sale, pepe, vino e spezie, in particolare noce moscata, chiodi di garofano e cannella. Questi ingredienti sono insaccati nel budello naturale del suino, precedentemente lavato con acqua calda. Anche se la pezzatura è variabile, in genere il peso medio di un cotechino è di circa 500 grammi, per una lunghezza massima di 30 centimetri.
Dopo l’insaccatura, il cotechino viene annodato con lo spago o cucito alle estremità, per evitare la fuoriuscita dell’impasto durante la cottura, che può avvenire solo ad asciugatura ultimata, a una temperatura di 80-90 gradi centigradi. Il cotechino va immerso in acqua fredda, avvolto in un panno per proteggere la pelle, che va precedentemente forata. Le carni dell’impasto, ricche di collagene e tessuti connettivi, necessitano di cotture prolungate – fino a cinque ore – per ottenere la tipica consistenza morbida e gelatinosa.
Storia e legame col territorio
Le origini geografiche non sono universalmente condivise, perché prodotti simili erano storicamente diffusi in buona parte dell’Italia centro-settentrionale, con nomi non troppo diversi. Tuttavia, è la Pianura padana – e in particolare il territorio di Modena – la patria eletta del cotechino, dove pare esistesse già prima del Cinquecento. La tecnica dell’insaccatura nel budello, che favorisce la conservazione delle carni, con tutta probabilità ha origini ancestrali e antecedenti al Rinascimento. Nelle cronache, i primi riferimenti espliciti e ufficiali a questo insaccato, comunque, risalirebbero al Settecento, mentre nell’Ottocento il cotechino è già conosciuto e popolare, citato anche dall’Artusi.
Le differenze con lo zampone
Per quanto riguarda l’impasto interno, il cotechino e lo zampone non presentano differenze. Nel caso dello zampone, però, l’insaccatura avviene all’interno della cotenna della zampa anteriore del suino, che essendo spessa mantiene maggiormente il volume e le caratteristiche delle carni da crude. Lo zampone, quindi, risulta meno delicato e meno morbido.
Si ritiene che il cotechino sia più antico dello zampone, che invece sarebbe nato a Mirandola nel 1511, durante l’assedio da parte delle truppe papaline. In quella situazione di ristrettezza, i mirandolesi improvvisarono un tipo di insaccatura che sfruttava la zampa anziché il budello.
Il salame da pentola, viceversa, si distingue per l’impasto, a dispetto di un estetica molto simile, soprattutto in quanto l’insaccatura avviene nel budello per entrambi i prodotti. Il salame da pentola, infatti, non contiene cotica e ha una grana più fine. La fetta, pertanto, è più soda e molto meno gelatinosa.
Il cotechino moderno
Finora abbiamo approfondito le caratteristiche e la preparazione del cotechino tradizionale, ma non possiamo dimenticare che oggi la maggior parte della produzione risponde a logiche industriali diverse, anche per soddisfare la richiesta di prodotti economici, duraturi e pronti in poco tempo. Soprattutto per quest’ultima ragione, i cotechini precotti dominano il mercato, e talvolta anche le produzioni artigianali sono proposte in questa versione. Senza dilungarci nei dettagli, possiamo ricordare che la tecnologia da tempo è entrata nei processi di lavorazione: nella macinatura, nell’asciugatura, nella cottura e nell’utilizzo del sottovuoto. In un nostro approfondimento ci siamo occupati degli allevamenti intensivi, alla base delle grandi produzioni industriali di carne.
Anche la composizione dell’impasto ha subito qualche modifica, con una netta diminuzione della percentuale di cotenna, a favore della gola e del guanciale, ma anche di tagli più magri, come la coscia, la spalla e la testa. Lo scopo di questa variazione è quello di avvicinare il prodotto a una fascia più ampia di pubblico, meno avvezzo al gusto rustico della cotica. Le produzioni industriali, inoltre, non utilizzano il budello suino per insaccare, bensì quello in collagene, più spesso e molto più economico.
Per la precottura, i cotechini vengono insacchettati ermeticamente e poi cotti per alcune ore in acqua o in forno a vapore. Successivamente, il prodotto viene trattato in autoclave a una temperature minima di 115 gradi centigradi, prima di essere confezionato sottovuoto e inscatolato. Questo procedimento allunga notevolmente la conservabilità – fino a diversi mesi a temperatura ambiente – ma tende a penalizzare il gusto.
Conservanti e insaporitori
Come la maggior parte degli insaccati industriali, anche i cotechini vengono trattati con antiossidanti e conservanti, in particolare con nitriti e nitrati, additivi non certo salutari dei quali ci siamo occupati in un precedente approfondimento. Per favorire la sapidità, spesso viene utilizzato anche il glutammato monosodico, mentre per incrementare la resa e favorire la conservazione possono essere aggiunte farine di latte.
Disciplinare e marchio IGP
Dal 1999 il Cotechino di Modena ha ottenuto il marchio IGP (Indicazione geografica protetta). Qui di seguito riportiamo alcuni passaggi significativi del disciplinare di tutela, che, come nel caso di altre grandi produzioni, non risulta particolarmente restrittivo.
- Il cotechino, pur facendo riferimento al territorio modenese, può essere prodotto in 21 province del Nord Italia, comprese fra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.
- Il disciplinare indica i tipi di carne per l’impasto, senza però fissare le diverse percentuali.
- La preparazione prevede la macinatura nel tritacarne, con fiori di dimensioni comprese tra i 7 e i 10 millimetri per la cotenna.
- L’impasto deve presentare queste caratteristiche chimico-fisiche: proteine totali: min. 17%; rapporto grasso/proteine: max 1,9; rapporto collagene/proteine: max 0,5; rapporto acqua/proteine: max 2,70.
- Come conservanti, il nitrito di sodio e il potassio non possono superare la dose di 140 parti per milione.
Il cotechino fa male?
Può apparire superfluo ricordare che il cotechino rientra a pieno titolo fra le carni rosse processate, e fra queste si distingue per essere uno degli insaccati più grassi. Se è stato insaccato nel budello naturale, solo lo zampone a fine cottura contiene percentuali superiori di lipidi, perché come si accennava la cotenna della zampa trattiene maggiormente i succhi e i grassi. Questi prodotti sono da tempo additati e quasi temuti per il loro profilo nutrizionale, che ora valuteremo.
Contenuto nutrizionale
Una porzione da 100 grammi di cotechino cotto indicativamente contiene:
- Calorie: 307 kcal
- Acqua: 51,4 g
- Proteine: 21,1 g
- Grassi totali: 24,7 g (di cui: monoinsaturi: 11,8 g; saturi: 8,2 g; polinsaturi: 3,5 g)
- Colesterolo: 98 mg
- Sodio: 875 mg
- Ferro: 1,5 mg
Come si può notare, nel cotechino l’apporto energetico è costituito soprattutto da grassi, con alte percentuali di colesterolo. Tuttavia, è anche ricco di proteine, che la cotica contribuisce a fornire, mentre le carni del guanciale e della gola sono più grasse. Le parti ricche di collagene, infatti, sono prevalentemente proteiche, contrariamente a quello che si potrebbe pensare. La cottura, peraltro, favorisce il calo della parte lipidica e, non a caso, il prodotto cotto perde una parte considerevole del suo volume originario. Questo insaccato, inoltre, contiene buone percentuali di ferro e vitamine del gruppo B, viceversa l’elevato apporto di sodio risulta assai meno salutare.
In sintesi, si tratta di un prodotto da consumare di rado e in dosi molto ridotte, comprensibilmente da bandire in caso di diete dimagranti, ipercolesterolemia, ipertensione e problemi cardio-vascolari. Per approfondire questi aspetti, possiamo consigliare una nostra intervista al professor Enzo Spisni, dove abbiamo fatto il punto sulle ricerche in merito alla nocività della carne.
Meglio quello artigianale
Come abbiamo visto, i numeri appena esposti suggeriscono un consumo limitato di questo insaccato, un’evidenza che deve spingere a scegliere un cotechino artigianale e di qualità, nelle poche occasioni scelte per gustarlo. La maggiore percentuale di cotica e di carni magre delle preparazioni tradizionali, per di più, migliora anche il dato nutrizionale. Chi è in cerca di consigli e varianti per usare il cotechino in cucina potrà trovare utile un nostro articolo dove si propongono tre ricette interessanti.
Parallelamente, è altrettanto importante orientarsi sempre verso insaccati privi di conservanti ed esaltatori di sapidità che, oltre a essere nocivi, mascherano la reale qualità delle materie prime. Questi additivi, seppur legali, in genere non sono impiegati nelle norcinerie artigianali. In linea di massima, è bene diffidare delle colorazioni troppo brillanti delle carni, così come delle fette particolarmente lisce e compatte. Questi aspetti, infatti, possono rivelare la presenza dei suddetti eccipienti.
Dopo questo approfondimento sul cotechino, può essere interessante leggere i nostri articoli sulla dieta natalizia per chi soffre di diabete e, in tempo di brindisi, sulla nocività dei solfiti presenti nelle bevande e negli alimenti.
Altre fonti:
Atlante dei prodotti tipici
Composizione degli alimenti – INRAN